Lesioni stradali gravi e fuga del conducente: per la Corte costituzionale la pena fissa di tre anni è legittima

30 Ottobre 2023

La Corte costituzionale ha risposto al seguente quesito: la pena fissa di tre anni stabilita dall'art. 590-ter c.p., in tema di lesioni stradali gravi aggravate dalla fuga del conducente è costituzionalmente legittima?

Massima

Sono infondate le questioni sollevate sull'art. 590-ter c.p.p. nella parte in cui, se il conducente si dà alla fuga, porta il giudice ad applicare, per le lesioni personali stradali gravi, la pena invariabilmente fissa di tre anni di reclusione, in quanto non può non essere riconosciuta ragionevolmente proporzionata, anche perché non suscettibile, per effetto dell'eventuale riconoscimento delle attenuanti, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccessivi rispetto alla gravità dell'illecito commesso.

Il caso

Il Tribunale di Milano con l'ordinanza del 22 settembre 2022 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 590-ter c.p., introdotto dall'art. 1 legge 23 marzo 2016, n. 41, in relazione agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost., nella parte in cui prevede la pena minima e fissa di tre anni di reclusione per il delitto colposo di lesioni personali stradali gravi, nella manifestazione aggravata dalla fuga del conducente. L'incidente di legittimità costituzionale si inserisce in un processo per il delitto di cui agli artt. 590-bis, commi 1 e 6, 590-ter c.p. in concorso con quello di cui agli artt. 99, comma 3, c.p., 189, commi 6 e 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada). Secondo la prospettazione accusatoria, in conseguenza della violazione di più regole cautelari, l'imputato, quale conducente di un veicolo a motore, non è riuscito ad evitare la collisione con un pedone in transito sull'attraversamento pedonale, procurandogli lesioni personali gravi (art. 590-bis, comma 1, c.p.), con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto con patente sospesa (art. 590-bis, comma 6, c.p.) e di essersi dato alla fuga (art. 590-ter c.p.), vieppiù non ottemperando all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alla persona ferita (art. 189, commi 6 e 7, C.d.S.).

A distanza di poco meno di un anno, il Tribunale di Monza, con ordinanza del 28 aprile 2023, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 590-ter c.p., in relazione agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost.

L'incidente di legittimità sollevato dal giudice brianzolo si innesta in un procedimento in cui l'imputato è stato tratto a giudizio per rispondere del reato colposo di lesioni personali stradali gravi di cui all'art. 590-bis, comma 1, c.p. (che punisce con la pena da 3 mesi a 1 anno di reclusione) nella manifestazione aggravata dalla fuga del conducente ex art. 590-ter c.p. (per il quale la legge commina la pena non inferiore a tre anni di reclusione) in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, c.p. Nel caso di specie, l'imputato, alla guida del veicolo, giunto in prossimità di un incrocio e in corrispondenza dell'attraversamento pedonale rialzato, investiva il pedone impegnato nell'attraversamento del predetto incrocio, dandosi successivamente alla fuga senza prestare l'assistenza occorrente alla persona offesa. Da tale evento, ne conseguirono lesioni personali gravi dalle quali derivava sia una malattia sia un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, entrambe per un tempo superiore ai quaranta giorni.

La Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni sollevate sull'art. 590-ter c.p. nella parte in cui, se il conducente si dà alla fuga, porta il giudice ad applicare, per le lesioni personali stradali gravi, la pena invariabilmente fissa di tre anni di reclusione.

Invero, la condotta dolosa che il conducente, dandosi alla fuga, pone in essere dopo l'incidente, esprime la cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti: costui «decide scientemente di fare prevalere su tutto la propria impunità […] a scapito dell'interesse immediato delle persone coinvolte nell'incidente». Il giudice delle leggi ha innanzitutto ribadito la propria giurisprudenza secondo cui previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il volto costituzionale del sistema penale, risultando “indiziate” di illegittimità costituzionale, precisando, tuttavia, che, nel caso della fuga del conducente, la pena minima di tre anni di reclusione che la norma censurata richiede comunque di applicare, “non può non essere riconosciuta ragionevolmente proporzionata”, anche perché non suscettibile, per effetto dell'eventuale riconoscimento delle attenuanti, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccessivi rispetto alla gravità dell'illecito commesso. Ha quindi concluso precisando che la scelta di approntare una soglia minima di tre anni da applicare alla fuga del conducente trova anche giustificazione in termini sistematici nel quadro del complessivo intervento realizzato dalla legge n. 41/2016, volto a inasprire il trattamento sanzionatorio per le condotte che, attraverso la violazione delle regole della circolazione stradale, offendono l'incolumità personale e la vita. In mancanza della soglia minima dei tre anni, infatti, il calcolo di convenienza potrebbe indurre il conducente a scegliere la fuga, sia nella fattispecie base delle lesioni (perché a fronte del modesto aumento di pena si sarebbe evitato il coinvolgimento nella causazione dell'incidente), sia nell'ipotesi di lesioni gravi causate in caso di guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre una certa soglia di tasso alcolemico) o sotto l'effetto di stupefacenti.

La questione

La questione in esame è la seguente: la pena fissa di tre anni stabilita dall'art. 590-ter c.p., in tema di lesioni stradali gravi aggravate dalla fuga del conducente è costituzionalmente legittima?

Le soluzioni giuridiche

Con la l. 23 marzo 2016, n. 41, il legislatore ha introdotto i reati di omicidio stradale (art. 589-bis c.p.) e lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis), commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale, nonché ha previsto più circostanze, aggravanti e attenuanti speciali, di cui alcune a effetto comune e altre a effetto speciale. In particolare, può attenuare la pena sino alla metà la particolare circostanza che l'evento non sia esclusiva conseguenza della condotta del colpevole. Diversamente, rilevano nel senso dell'aumento di pena le circostanze di essersi posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di sostanze psicotrope; di essersi posto alla guida in assenza di un titolo abilitativo valido ed efficace; di essersi dato alla fuga. Ebbene, ai sensi dell'art. 590-quater, tali circostanze aggravanti sono privilegiate in senso forte, vale a dire indefettibilmente prevalenti nel giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

La pronuncia in commento si confronta con la tematica dei limiti della discrezionalità politica del legislatore; atteso che essa deve misurarsi con i canoni costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 Cost.

La stessa Corte costituzionale ha affermato che «la traiettoria della giurisprudenza costituzionale in materia di pena si dispiega tra due poli, in costante tensione fra loro: da un lato, il dovuto riguardo alle scelte politiche, quale componente necessaria del principio di legalità; dall'altro, la indefettibile tutela degli ulteriori principi e diritti costituzionali, a cui deve conformarsi anche il legislatore della punizione. Preservare l'armonia tra i due livelli di legalità – ordinaria e costituzionale – è compito del giudice delle leggi in ogni settore dell'ordinamento e nei confronti di qualsiasi illegittimo esercizio del potere legislativo, tal che, quante volte la discrezionalità politica trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio determina un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti dalla responsabilità penale e, di conseguenza, merita l'intervento della Corte costituzionale» (C. cost., 13 luglio 2017, n. 179).

Con riferimento alla specifica questione che qui rileva, in più occasioni la giurisprudenza ha sottolineato come la tendenziale contrarietà delle pene non graduabili al “volto costituzionale dell'illecito penale” deve intendersi riferita alle pene fisse nel loro complesso e non ai trattamenti sanzionatori che coniughino segmenti rigidi e articolazioni elastiche, tali da lasciare adeguati spazi di discrezionalità al giudice comune (C. cost., 12 marzo 2008, n. 91). Ed infatti, la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, commi 1 e 3, c.p., come sostituito dall'art. 4 l. 5 dicembre 2005, n. 251, sul duplice fondamento che, nonostante la norma preveda un aumento di pena in misura fissa, il giudice del merito decide discrezionalmente se riconoscere e applicare tale circostanza aggravante e comunque determina la pena base, fissandone l'estensione tra il minimo e il massimo edittale, ai sensi dell'art. 133 c.p. Sulla scorta di argomenti consimili, la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 291-bis d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43 (contrabbando di tabacchi lavorati esteri), nonostante la fissità della pena pecuniaria ivi prevista, osservando come quest'ultima sia comminata in aggiunta ad una pena detentiva con forbice edittale di ampiezza significativa. Ed infatti, la graduabilità della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria - offrendo al giudice un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarità del caso concreto, anche in rapporto a parametri oggettivi e soggettivi diversi dalla semplice dimensione quantitativa dell'illecito - esclude … che la pena edittale del reato in questione possa, nel suo complesso, considerarsi fissa (C. cost., 22 novembre 2002, n. 475).

A questo proposito, la Corte costituzionale si è occupata diffusamente di individualizzazione del trattamento sanzionatorio e proporzionalità della pena, dovendo scrutinare la legittimità dell'art. 121, comma 3, T.U. 15 maggio 1959, n. 393 (norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), nella parte in cui punisce con pena congiunta fissa (15 giorni di arresto e 800 mila lire di ammenda) chiunque circoli con un veicolo dal peso irregolare. Ebbene, muovendo dall'assunto secondo cui «l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti in termini di uguaglianza e/o differenziazione del trattamento contribuisce a rendere personale la responsabilità penale», la Corte ha affermato che «sussiste di regola l'esigenza di una articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento individualizzato delle pene» e che «di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono l'argomento normale». Pertanto, in linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia con il volto costituzione del sistema penale (C. cost. 14 aprile 1980, n. 50).

Osservazioni

La fattispecie disciplinata dall'art. 590-ter c.p. è omogeneamente aggravata dall'elemento della fuga; d'altra parte deve considerarsi che si tratta pur sempre di una pena detentiva base, non altrimenti modulabile che remunera non soltanto il disvalore della fuga ma anche e senza meno quello di aver procurato, per colpa, delle lesioni personali.

Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, il dubbio d'illegittimità costituzionale può essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato.

In altri termini, è lecito presumere che una pena fissa mal si attagli all'armonia costituzionale, ma si tratta, pur sempre, di una presunzione superabile.

La pronuncia in commento ha ritenuto la pena fissa di tre anni proporzionata e adeguata a sanzionare ogni fatto di lesioni gravi aggravato dalla fuga del conducente.

Al riguardo si osserva che non si tratta di una previsione eccentrica, atteso che il sistema conosce delle comminatorie fisse di pena (prima tra tutte, l'ergastolo, ma anche la reclusione di trent'anni ex artt. 280, comma 4, 289-bis, comma 2, 630, comma 2, c.p.).

Del resto, in considerazione della ratio ispiratrice della legge n. 41/2016 diretta a inasprire il trattamento sanzionatorio per le condotte che, attraverso la violazione delle regole della circolazione stradale, offendono l'incolumità personale e la vita, è agevole ritenere che la previsione di una sanzione minima di tre anni non è di per sé insostenibile in relazione a fattispecie fortemente selettive, che selezionano fatti equiparabili al massimo livello di disvalore.

Non si tratta di escludere ogni margine di discrezionalità al fine di stigmatizzare nella misura più clamorosa il disvalore di un fatto che attenti al bene della vita.

La pena fissa di tre anni – contemporaneamente soglia minima e tetto massimo –si coniuga in modo coerente con la divergente possibilità di dosare la sanzione “base” delle lesioni stradali gravi, sulla scorta dei criteri previsti dall'art. 133 c.p.

In conclusione, nella pronuncia in epigrafe, la Corte costituzionale ha escluso la sproporzione sanzionatoria valorizzando alcune caratteristiche specifiche della aggravante della fuga sottoposta al suo scrutinio, atteso che tale condotta “esprime, del resto, la cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti”, sintomatica del carattere di fondo della condotta di fuga essendo finalizzata a evitare le “proprie responsabilità”.

Ad ogni modo, viene assicurata la possibilità per il giudice di valutare la sussistenza delle circostanze e di modulare conseguentemente la pena.

In particolare, resta in ogni caso aperta l'applicabilità delle circostanze attenuanti. Il che significa possibilità di considerare, ai fini dell'adeguamento della sanzione, da un lato i più rilevanti fra i profili della personalità dell'imputato (quali le circostanze inerenti alla persona del colpevole), e dall'altro lato, qualsiasi profilo, oggettivo e soggettivo, che appaia meritevole di considerazione (e suscettibile di considerazione come attenuante generica) al fine di meglio proporzionare la pena nella prospettiva (di tutela, o di limite della potestà punitiva) segnata dagli invocati principi costituzionali.

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