L’errore tipico e prevedibile non interrompe il nesso causale

Vittorio Nizza
03 Novembre 2023

È possibile istituire un nesso causale tra la menomazione psico-fisica correlata al ritardo diagnostico della patologia e l'infortunio avvenuto sul luogo di lavoro?

Massima

L'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'infortunio e la successiva morte della vittima (o l'aggravamento delle lesioni) posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale. In altri termini, la morte della vittima (o l'aggravamento delle lesioni subite) è addebitabile al comportamento dell'agente, perché questi, provocando le originarie lesioni, ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale.

Il caso

La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, è stata chiamata a pronunciarsi in merito ad una contestazione per lesioni personali colpose mosse nei confronti di un datore di lavoro.

Tale vicenda trae origine dall'infortunio di Z.E., dipendente con la qualifica di operaio specializzato “tuttofare” della società di cui l'imputato era Presidente del Consiglio di Amministrazione, nonché relativo datore di lavoro.

La persona offesa, durante la costruzione di un muro in calcestruzzo, mentre cercava di tagliare una radice sporgente colpendola con il bordo tagliente della pala, veniva colpito all'occhio sinistro, non protetto da occhiali di sicurezza o da altro schermo, da una scheggia metallica.

L'incidente comportava la rimozione del cristallino e la sostituzione con uno artificiale, nonché un trapianto corneale non riuscito per rigetto con conseguente inabilità al lavoro per 553 giorni e menomazione dell'integrità psico-fisica riconosciuta dall'Inail in misura del 25%.

L'imputato veniva così condannato alla pena di mesi 6 di reclusione oltre al risarcimento del danno causato. Tale condanna veniva altresì confermata dalla Corte d'appello.

Avverso tale decisione veniva pertanto proposto ricorso per Cassazione deducendo l'erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p. lettera b) in relazione all'omessa valutazione di decorsi causali autonomi incidenti.

La questione

La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la possibilità di istituire un nesso causale tra la menomazione psico-fisica correlata al ritardo diagnostico della patologia e l'infortunio avvenuto sul luogo di lavoro.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, pur annullando con rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello, ha ritenuto che le doglianze formulate dal ricorrente in ordine alla sussistenza del nesso causale fossero infondate.

Poichè è “causa” di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato, per effettuare il giudizio controfattuale, si rende necessario ricostruire con precisione la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento lesivo si sarebbe o meno evitato o posticipato (Cass. pen., sez. IV, n. 43459/2012).

In tema di responsabilità medica diviene indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, laddove il sanitario avesse posto in essere la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o differito (Cass. pen., sez IV, n. 43459/2012).

Occorre tuttavia tenere ben distinto il profilo della ricostruzione della sequenza eziologica che, rerum natura, ha portato alla verificazione dell'evento, da quello del giudizio controfattuale. Il primo profilo inerisce alla ‘'causalità materiale'', mentre il secondo alla ‘'causalità giuridica''.

Secondo il ricorrente non era stata valutata l'incidenza del ritardo diagnostico, in quanto la menomazione dell'organo della vista dipende proprio dalla non immediata estrazione del corpo estraneo dall'occhio.

Al momento all'accesso al Pronto Soccorso da parte della persona offesa, infatti, la sera del sinistro i sanitari si sono limitati a comunicare l'assenza dello specialista e a rimandare a casa il paziente.

Secondo il ricorrente, il ritardo, da parte dei sanitari, dell'estrazione del corpo estraneo dalla cornea del paziente, sarebbe stata da identificarsi quale causa sopravvenuta sufficiente a determinare l'interruzione del nesso causale.

Non sembrerebbe dunque possibile addebitare le conseguenze di tali omissioni al datore di lavoro che aveva dato origine all'infortunio, in quanto circostanza autonoma addebitabile esclusivamente ai sanitari e dunque sciolta da qualunque  rapporto con l'evento che aveva causato la lesione.

Tuttavia, come rilevato dalla Corte d'appello, la tesi difensiva che sembra ipotizzare una condotta colposa della vittima o di terzi soggetti successivamente all'infortunio, con conseguente efficienza causale rispetto all'indebolimento permanente dell'organo, non trova alcun appiglio nell'istruttoria espletata.

La Corte di cassazione richiama il principio, ormai costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'infortunio e la successiva morte della vittima (o l'aggravamento delle lesioni) posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 25560/2017 Ud. - dep. 23/05/2017 - Rv. 269976).

In altri termini, la morte della vittima è addebitabile al comportamento dell'agente, perché questi, provocando le originarie lesioni, ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale (v. Cass. pen., sez. IV, n. 20270/2019, Rv. 276238; Cass. pen., sez. IV, n. 41943/2006, Rv. 235537).

Per tale ragione la Corte ha ritenuto tale censura inammissibile.

Osservazioni

La Corte nel caso di specie viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare che vede un datore di lavoro imputato per lesioni personali colpose di un suo dipendente con la qualifica di operaio specializzato “tuttofare”, a seguito di un infortunio avvenuto sul luogo di lavoro.

Nello specifico viene lamentato dal ricorrente l'omessa valutazione relativa alla condotta dei sanitari che, avendo ritardato l'estrazione del corpo estraneo dalla cornea del paziente, viene considerata dalla difesa idonea a interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'infortunio e la menomazione dell'integrità psico – fisica.

Nel diritto penale, l'imputazione di un evento lesivo richiede infatti, come presupposto di partenza, che il reo abbia materialmente contribuito alla verificazione del risultato dannoso.

Riconoscere questa imprescindibile esigenza non equivale però a risolvere il problema relativo alla determinazione concettuale e ai modi di accertamento del rapporto di causalità: com'è noto, il concetto di causalità presenta implicazioni, prima ancora che di ordine giuridico – penale, di natura filosofica e scientifica.

In realtà il concetto di causalità non è univoco, ma varia in base al “punto di vista” di volta in volta prescelto dal soggetto dell'indagine. Se lo scienziato naturale indaga i processi causali al fine di scoprire e formulare leggi scientifiche sulla causalità, il giudice o il giurista hanno un interesse di natura diversa: nel senso che l'accertamento del nesso causale è appunto finalizzato a emettere un giudizio di responsabilità.

Da questo punto di vista, infatti, la causalità funge da criterio di imputazione del fatto al soggetto, in quanto il nesso causale tra condotta ed evento di regola comprova che non solo l'azione, bensì lo stesso risultato lesivo, è opera dell'agente per cui, sussistendo gli altri presupposti di natura psicologica, quest'ultimo può essere chiamato a rispondere penalmente.

L'esigenza di un legame causale tra azione ed evento viene esplicitamente riconosciuta all'articolo 40 comma 1 c.p., che stabilisce che l'evento dannoso o pericoloso dal quale dipende l'esistenza del reato, sia conseguenza dell'azione del reo.

In tema di attività medico chirurgica, non è consentito trarre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso da una legge statistica la conferma o meno dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base di circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosicché all'esito del ragionamento probatorio - che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi - risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale.

Tuttavia secondo una diversa formulazione dottrinale, ovverosia quella della “causalità adeguata”, causa non è quella condotta che, oltre ad essere conditio sine qua non, è idonea a cagionare eventi del tipo di quello verificatosi in concreto secondo l'id quod plerumque accidit: deve trattarsi di un'azione che, in base all'esperienza comune, è idonea ex ante a produrre il risultato prodotto.

L'evento si verificherebbe per effetto di un'azione proporzionata, adeguata, cioè idonea a determinare un certo evento, escludendo tutti gli effetti considerati tipici o straordinari dell'azione.

Nel caso in esame, la Cassazione infatti ha confermato che gli unici errori idonei ad escludere il nesso causale oggetto del caso, devono essere del tutto eccezionali, abnormi, da soli determinanti l'evento letale, non rilevando invece gli errori tipici e prevedibili.

Per tale motivo, avendo l'originaria lesione reso necessario l'intervento dei sanitari, la loro imperizia e negligenza non costituirebbe, secondo i Giudici, un fatto del tutto imprevedibile e atipico, bensì un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale.

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