La Corte costituzionale sul reato di omicidio in famiglia previsto dal codice rosso

31 Ottobre 2023

La Corte costituzionale, con sentenza n. 197/2023, ha dichiarato incostituzionale l’ultimo comma dell’art. 577 c.p., introdotto dalla l. 69/2019, c.d. codice rosso, il quale vieta al giudice di dichiarare prevalenti le due attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio.

Il caso. Con ordinanza del 16 novembre 2022 la Corte d'Appello di Cagliari ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 577, comma 3, c.p. in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, censurandolo «nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza, ai sensi dell'art. 69 c.p., della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro il coniuge, dall'art. 577 comma 1 n. 1) c.p.». La Corte de qua, nello specifico, sta procedendo nei confronti di un uomo, sessantenne al momento del fatto, accusato di aver ucciso la moglie in un momento di disperazione provocato dai continui comportamenti aggressivi della vittima, alcolista ed affetta da tempo da un disturbo bipolare della personalità. Il giudice a quo, pertanto, pur non riconoscendo all'imputato la scriminante della legittima difesa, ritiene sussistenti i presupposti per riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche e l'attenuante della provocazione, di cui all'art. 62, comma 1, numero 2), c.p., avendo egli agito in uno stato d'ira, determinato dal fatto ingiusto costituito dal comportamento della moglie.

Parimenti la Corte d'assise d'appello di Torino ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale in due diversi procedimenti. In un primo caso, l'intervento della Corte è stato richiesto con ordinanza del 4 maggio 2023: la Corte de qua sta procedendo nei confronti di un giovane, neomaggiorenne al momento del fatto, accusato di aver ucciso il padre nel corso di un ennesimo episodio aggressivo perpetrato nei suoi confronti, della madre e del fratello. Il padre, infatti, teneva da anni un comportamento persecutorio e intimidatorio nei confronti dei familiari, e in particolare della moglie, il che aveva indotto i due ragazzi ad assumere il ruolo di «custodi» della madre. L'imputato e suo fratello, infatti, si erano fatti carico della protezione della donna, cercando di non lasciarla mai sola e di difenderla dalle più gravi aggressioni del marito. Il giudice a quoqualificato il fatto come omicidio volontario, ritiene tuttavia che debbano riconoscersi all'imputato tanto le circostanze attenuanti generiche quanto l'attenuante del vizio parziale di mente (art. 89 c.p.), in ragione della patologia accertata sull'imputato da una perizia psichiatrica effettuata in primo grado, la quale aveva ravvisato un «disturbo di adattamento post traumatico», e in particolare una «condizione stress-reattiva» che comportava «una compromissione del sentimento di realtà sotto una spinta ansioso-interpretativa», derivante dalla situazione da lui vissuta in casa, e in grado di scemare grandemente la sua capacità di intendere e di volere.

In un secondo caso, la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata con ordinanza del 10 maggio 2023, all'interno di un giudizio in cui la Corte d'assise d'appello di Torino sta procedendo nei confronti di una donna, che ha ucciso il marito, autore di reiterati comportamenti violenti e prevaricatori nei confronti propri e del figlio. Anche in questo caso, la Corte esclude la legittima difesa, tuttavia ritiene che all'imputata debbano essere riconosciute, tra l'altro, le circostanze attenuanti generiche e quella della provocazione.

La decisione della Corte costituzionale. La Corte costituzionale ritiene le tre questioni fondate. Preliminarmente, procede ad una disamina del terzo comma dell'art. 577 c.p., così come introdotto dal c.d. codice rosso, il quale vieta al giudice di considerare prevalenti rispetto ad esse la generalità delle circostanze attenuanti. A tale divieto si sottraggono soltanto quattro attenuanti: i motivi di particolare valore morale o sociale (art. 62, comma 1, numero 1, c.p.); il vizio parziale di mente (art. 89 c.p.); la minore età (art. 98 c.p.); la partecipazione di minima importanza in caso di concorso di persone nel reato, ovvero l'ipotesi in cui taluno sia stato determinato da altri a commettere o a cooperare nel reato (art. 114 c.p.). Proprio di tale generale divieto si dolgono le tre ordinanze di rimessione, i cui petita sono peraltro circoscritti al divieto di prevalenza dell'attenuante della provocazione (ordinanza iscritta al n. 151 del r.o. 2022), ovvero al divieto di prevalenza sia della provocazione, sia delle attenuanti generiche (ordinanze iscritte al n. 87 e al n. 88 del r.o. 2023).

A detta della Corte, il divieto, stabilito dalla disposizione censurata, di applicare la diminuzione di pena prevista per queste due attenuanti nei casi di omicidi commessi in contesti familiari o para-familiari non si fonda su alcuna plausibile ragione giustificativa, anzi deve ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale che ne discende non si pone in contrasto con la finalità complessiva perseguita dal legislatore del 2019 di rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, ma semplicemente evita che dalla legge n. 69 del 2019 discenda un effetto collaterale incongruo rispetto alla sua stessa ratio.

Invero, prosegue la Corte, le due circostanze attenuanti suindicate – la provocazione e le attenuanti generiche – svolgono un ruolo essenziale per assicurare, anche nell'ordinamento italiano, che la pena per l'omicidio volontario possa essere convenientemente ridotta rispetto al generale minimo edittale di ventun anni di reclusione, in casi caratterizzati da una minore offensività del fatto o minore colpevolezza dell'autore, ovvero dalla presenza di ragioni significative che comunque rivelano un suo minor bisogno di pena. L'assolutezza del divieto posto dal legislatore, infatti, può comportare nei singoli casi risultati contraddittori, finendo per determinare l'applicazione di pene manifestamente eccessive in situazioni in cui è il soggetto che ha subito per anni comportamenti aggressivi a compiere l'atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto, e dunque ridonda a danno proprio di quelle persone che il complessivo impianto della legge n. 69 del 2019 vorrebbe invece più efficacemente proteggere.

Dunque, conclude la Corte, che il rimedio a tale vizio non può che essere il ripristino dei poteri discrezionali del giudice sì da evitare che il divieto di prevalenza delle attenuanti operi in casi non coerenti rispetto alla ratio della disposizione stessa.

Sulla base di quanto finora esposto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 577, comma 3, c.p., nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, comma 1, numero 2), e 62-bis c.p. Così deciso, le Corti rimettenti avranno la possibilità di valutare caso per caso se debba essere inflitta la pena dell'ergastolo, prevista in generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare o di un convivente, ovvero se debba essere applicata una pena più mite, adeguata alla gravità della condotta dell'imputato e al grado della sua colpevolezza.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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