Rimesse bancarie ed escussione di pegni: revocabilità ed inefficacia

06 Novembre 2023

Le rimesse bancarie sono revocabili laddove riducano durevolmente e in misura consistente l’esposizione debitoria del correntista poi fallito senza che rilevi la natura solutoria o ripristinatoria della rimessa.

Gli atti costitutivi di pegni perfezionati in pendenza di un periodo sospetto e fatti oggetto di escussione dopo la dichiarazione di fallimento del debitore sono revocabili laddove sia provata anche la consapevolezza dello stato di insolvenza del datore di pegno da parte del creditore.

La richiesta di revocatoria di rimesse bancarie. Con ricorso alla Corte di cassazione un istituto di credito bancario chiedeva la riforma della sentenza  della Corte di appello di Venezia che, nel confermare la sentenza resa dal Tribunale di Padova, aveva ritenuto revocabili ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall., le rimesse effettuate su un conto corrente bancario da un'impresa successivamente  dichiarata fallita.

In particolare, la Corte di merito aveva giudicato revocabili le rimesse bancarie fino alla quasi totalità della loro consistenza affidandosi alla «valutazione, a posteriori, che il rientro del correntista [fosse stato] tale da ridurre l'esposizione debitoria, come desunta dall'andamento del conto, in modo consistente e durevole» senza che invece avesse una qualche incidenza, ai fini della revocabilità, la natura solutoria o ripristinatoria delle medesime.

All'esito della stima svolta dal Consulente tecnico d'ufficio, la Corte di appello fissava la soglia di consistenza delle rimesse in euro 33.000,00, conseguentemente riteneva revocabili le rimesse d'importo superiore alla suddetta soglia; riteneva, invece, durevole e non transitoria una diminuzione protrattasi per almeno 5 giorni.

La Corte di merito giudicava revocabile l'unica rimessa individuata dal ctu come rispondente a entrambi i criteri, ovvero quella di € 192.500,00 ma non già entro il limite di € 116.681,60, “cui si era ridotta per effetto di successivi movimenti intervenuti nei cinque giorni”, rilevando che quest'ultimo importo riguardava “la variazione dello scoperto” e non la diminuzione durevole dell'esposizione debitoria della società poi fallita verificatasi nel medesimo lasso temporale.

La pronuncia della Cassazione

L'Istituto di credito ricorreva in Cassazione denunciando la violazione o la falsa applicazione dell'art. 67, comma 3, lett. b), l. fall., per aver dichiarato la Corte d'appello l'inefficacia della rimessa anche per la porzione per cui non sussisteva il requisito della durevolezza della riduzione dell'esposizione.

La Cassazione accoglieva il motivo di ricorso confermando che, per orientamento costante, la revocabilità  ai sensi dell'art. 67, comma 2, lett. b), l. fall. «prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che essa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di       verificare la revocabilità del pagamento avendo riguardo alla sua consistenza e alla sua durevolezza».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.