La condanna c.d. in futuro è ammissibile anche a seguito della conversione del procedimento di convalida di sfratto nel giudizio di risoluzione per inadempimento

08 Novembre 2023

I giudici di legittimità, consentendo la condanna c.d. in futuro anche nel giudizio di risoluzione per inadempimento del conduttore, a seguito della conversione del giudizio di convalida di sfratto per morosità, individuano un’ipotesi in cui l’ordinamento valorizza l’interesse del creditore ad ottenere un provvedimento a carico del debitore prima ancora che si verifichi l’inadempimento dell’obbligato, secondo la previsione di un mezzo di tutela giurisdizionale non di tipo generale, ma eccezionale e tipico.

Massima

A seguito della conversione del giudizio di convalida di sfratto per morosità in un ordinario giudizio di risoluzione per inadempimento, è ammissibile la condanna del conduttore al pagamento (anche) dei canoni a scadere sino alla riconsegna dell'immobile locato, non essendo necessario che la relativa domanda sia stata proposta ab origine, né che lo sfratto sia stato convalidato, giacché essa determina una modificazione soltanto quantitativa della medesima domanda originaria che, pur non derivando dall'applicazione diretta dell'art. 664, comma 1, c.p.c., in tale norma trova la sua ratio ove prevede un'ipotesi particolare di c.d. condanna in futuro.

Il caso

La fattispecie sostanziale, posta di recente esame del Supremo Collegio, registrava l'esistenza di un contratto di locazione (rectius, sublocazione), avente ad oggetto una palestra multidisciplinare, e con essa tutti gli attrezzi ginnici, i macchinari e le attrezzatture - contratto caratterizzato dalla previsione di un canone pagato in via anticipata, per tutta la durata del rapporto, nella misura di € 19.500,00.

Sul presupposto di non aver potuto fruire adeguatamente del locale e degli strumenti annessi, il conduttore agiva nei confronti del locatore per il risarcimento del danno - patrimoniale quantificato in € 160.000,00, oltre quelli di immagine nei confronti della propria clientela - lamentando, in particolare, le reiterate sospensioni delle forniture di servizi essenziali (acqua, gas, luce e telefono), il malfunzionamento degli impianti, il crollo di una parte del controsoffitto della palestra ed il progressivo svellimento del parquet e della pavimentazione.

Il locatore si costituiva in giudizio, oltre a resistere all'avversaria domanda - della quale denunciava la pretestuosità, giacché, a suo dire, finalizzata solo a precostituire una giustificazione della morosità in cui versava il conduttore nel pagamento del canone di locazione dell'immobile - agiva in via riconvenzionale nei confronti dell'attore al fine di ottenere il risarcimento del danno, consistito nella detenzione senza titolo, da parte dello stesso attore, sia di uno spazio destinato a centro estetico, sia del locale oggetto della locazione, occupazione protrattasi - in questo secondo caso - dal momento della risoluzione del contratto a quello dell'effettivo rilascio dello stesso.

A tale giudizio, incardinato presso il Tribunale, veniva riunito altro giudizio, promosso dallo stesso locatore per licenza di sfratto nei confronti del conduttore, del quale - a seguito dell'opposizione dell'intimato - veniva disposta, previo diniego dell'ordinanza provvisoria di rilascio, la conversione del rito.

L'esito dei due giudizi riuniti consisteva nella decisione con cui l'adìto Tribunale - dopo aver istruito la causa anche con lo svolgimento di una CTU - dichiarava il diritto del conduttore a sospendere il pagamento del canone di locazione (ricorrendo la fattispecie di cui all'art. 1460 c.c.), e rigettava la domanda risarcitoria spiegata dal locatore (in difetto di prova dei danni subiti), nonché ogni altra domanda proposta in via riconvenzionale, essendosi escluso l'inadempimento del conduttore.

Esperito gravame, la Corte d'Appello, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, escludeva l'esistenza di vizi dell'immobile locato, tali da renderlo inidoneo all'uso - e ciò sulla scorta delle risultanze dell'espletata CTU - dichiarava l'avvenuta risoluzione, per l'operatività della clausola risolutiva espressa ivi contenuta, del contratto di locazione, e, ravvisava la morosità del conduttore, condannava quest'ultimo al pagamento dei canoni non corrisposti fino al rilascio della res locata.

Avverso la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, proponeva ricorso per cassazione il conduttore.

La questione

Si trattava di verificare se il giudice del gravame avesse violato il disposto dell'art. 112 c.p.c., applicando estensivamente l'art. 664 c.p.c. (anche) nel giudizio di merito conseguente alla convalida di sfratto, stante che il locatore, nel giudizio di intimazione di sfratto, si era limitato a richiedere - unitamente al rilascio del bene - l'emissione del decreto ingiuntivo solo per i canoni scaduti, e non pure per quelli a scadere, senza poi depositare, all'esito del provvedimento di conversione del rito, alcuna memoria integrativa.

Il ricorrente evidenziava che il locatore non aveva tempestivamente formulato, con la richiesta di convalida di sfratto, una tipica domanda di condanna in futuro, come tale, quindi, relativa anche ai canoni a scadere, sicché la condanna, comminata nei suoi confronti, risultava basata su una norma (l'art. 664 c.p.c.) mai invocata da controparte e, peraltro, applicata erroneamente, giacché essa presupponeva che lo sfratto fosse stato convalidato.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze infondate.

Invero, la gravata sentenza aveva accolto la domanda di pagamento pure dei canoni a scadere, evidenziando come il locatore avesse proposto la relativa domanda “con la sua citazione per convalida di sfratto, ai sensi del chiaro disposto dell'art. 664 c.p.c. che, codificando un'eccezionale ipotesi di c.d. condanna in futuro, prevede che il conduttore, cui lo sfratto sia stato intimato giudizialmente, venga in tutti i casi condannato al pagamento - non soltanto dei canoni scaduti, ma anche - di quelli “da scadere fino all'esecuzione dello sfratto”.

Così facendo, la Corte d'Appello si era uniformata a quell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di locazione di immobili urbani, la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell'immobile locato, dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell'immobile (ai sensi dell'art. 1591 c.c.), costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che trova fondamento nella particolare disposizione dell'art. 664, comma 1, c.p.c., trattandosi di “ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l'ordinamento tutela l'interesse del creditore all'ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2016, n. 25599; nello stesso senso, v. già Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11603; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992, n. 6245).

Osservazioni

A ben vedere, la tesi del ricorrente, secondo cui - all'esito della conversione del giudizio di convalida di sfratto per morosità in un ordinario giudizio di risoluzione per inadempimento - la condanna al pagamento (anche) dei canoni a scadere sarebbe possibile solo se la stessa fosse stata proposta ab origine, e sempre che lo sfratto fosse stato convalidato, non trovava riscontro nella giurisprudenza della Cassazione, dalla quale, anzi, si evinceva l'esatto contrario.

Quest'ultima, infatti, ha da tempo chiarito che, quando venga intimato sfratto per morosità e, a seguito dell'opposizione del conduttore, sorga controversia tra le parti, la domanda formulata dalla parte locatrice in primo grado e diretta ad ottenere - oltre la risoluzione del contratto - anche la condanna del conduttore al pagamento dei canoni scaduti e da scadere, non può considerarsi né una domanda nuova, né una domanda diretta ad ottenere l'adempimento dopo che era stata richiesta la risoluzione, vietata ai sensi del comma 2 dell'art. 1453 c.c., perché, nel caso in cui il locatore abbia proposto domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, l'ulteriore richiesta di pagamento dei canoni scaduti e da scadere non incorre nel divieto stabilito da tale norma, “in quanto il locatore, richiedendo anche il pagamento dei canoni, non intende far rimanere in vita il rapporto fino alla scadenza pattuita o imposta dalla legge, ma, al contrario, esige, contemporaneamente alla risoluzione del contratto, il pagamento di quanto dovutogli dal conduttore come corrispettivo per il godimento dell'immobile”, ponendosi tale ulteriore richiesta, pertanto, come “un ampliamento quantitativo di quella originaria che, mantenendo inalterati i termini della contestazione, determina soltanto una modificazione della medesima domanda originaria” (così Cass. n. 6245/1992, cit.).

Un ampliamento - hanno precisato i magistrati del Palazzaccio - che non deriva dall'applicazione diretta dell'art. 664, comma 1, c.p.c., ma che, in tale norma, “trova sostanzialmente la sua ratio”, giacché essa prevede “una delle ipotesi particolari di c.d. condanna in futuro - quella, cioè, in cui l'ordinamento valorizza l'interesse del creditore ad ottenere un provvedimento a carico del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento dell'obbligato - secondo la previsione di un mezzo di tutela giurisdizionale non di tipo generale, ma eccezionale e tipico, del quale non è consentito, tuttavia, allargare per analogia l'area di applicabilità oltre le ipotesi” - di tutte le ipotesi, vale qui precisare, e non solo quella contemplata dalla norma suddetta - “espressamente previste di risoluzione della locazione”, che trovano titolo in un “inadempimento del conduttore” (così Cass. n. 11603/2005, cit., relativa, non a caso, ad una fattispecie in cui la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, e di condanna dello stesso a pagare i canoni non solo scaduti ma anche a scadere fino al rilascio del bene, era stata proposta dal locatore addirittura in via riconvenzionale e, dunque, al di fuori del procedimento ex art. 658 c.p.c.).

Del resto, se così non fosse, ossia se non si potesse prescindere dall'instaurazione del procedimento di convalida di sfratto (o dal suo esito), non si comprenderebbe il senso dell'affermazione compiuta dagli ermellini, secondo cui “la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell'immobile locato” trova la sua ragion d'essere nel fatto che essi risultano “dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell'immobile, ai sensi dell'art. 1591 c.c.” (così Cass. n. 25599/2016, cit.),

Né, in senso contrario, vale invocare l'arresto (v., in particolare, Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2005, n. 676), giacché esso si limita ad affermare che, superata all'esito dell'opposizione dell'intimato la fase della convalida dello sfratto per morosità del conduttore, l'impossibilità di fare applicazione dell'art. 664, comma 2, c.p.c. - che prevede la possibilità di ingiungere all'intimato solo il pagamento di canoni di locazione, e non di somme dovute ad altro titolo - ha come effetto il superamento della preclusione a richiedere, oltre alla risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, la penale prevista per tale ipotesi.

In ordine alla delimitazione del perimetro di applicazione dell'art. 664 c.p.c., limitata al solo procedimento speciale, si segnala, al contrario, la lettura restrittiva offerta dalla giurisprudenza di merito.

Si è, in particolare, affermato che, sebbene l'art. 664 c.p.c., in caso di convalida dell'intimazione di sfratto, consente l'emissione di un'ingiunzione di pagamento avente ad oggetto anche i canoni a scadere, tuttavia, tale ipotesi, in quanto norma eccezionale rispetto al generale divieto di condanna per il pagamento di crediti futuri, non può applicarsi per analogia qualora il procedimento sommario originariamente instaurato dal locatore sia stato convertito in procedimento a cognizione piena (Trib. Torino 27 febbraio 2019); il magistrato sabaudo motiva il proprio assunto, affermando che il principio generale sancito dall'art. 100 c.p.c. - il quale prevede che l'azione giudiziale de bba essere sorretta da un interesse ad agire attuale e concreto - impedisce di accogliere tale domanda, che si basa su una circostanza che non si era ancora verificata al momento della proposizione della domanda nella precedente fase caratterizzata dalla cognizione sommaria.

In altra pronuncia di merito (Trib. Roma 26 ottobre 2018), un giudice capitolino ha statuito che, ad eccezione della domanda di cui all'art. 664 c.p.c., non è ammessa l'emissione di condanne al pagamento di crediti futuri: in tema di intimazione di sfratto per morosità, qualora l'intimante chieda la condanna del conduttore al pagamento dei canoni per determinate mensilità e l'intimato proponga opposizione senza che sia emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio, non è, invece, affetta dal vizio di ultrapetizione la sentenza che, all'esito del giudizio a cognizione piena susseguente alla conversione del rito, condanni il conduttore al pagamento dei canoni relativi anche alle mensilità maturate successivamente fino alla riconsegna del bene locato, dovendo ritenersi tale domanda implicitamente contenuta in quella originaria, solo però ove la stessa domanda venga formulata nella memoria integrativa a seguito del mutamento del rito ex art. 426 c.p.c.

Anche un giudice calabrese (Trib. Castrovillari 19 ottobre 2012) ha avuto modo di sottolineare che l'art. 664, comma 1, c.p.c. prevede “un'ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale”).

Resta inteso che il tenore letterale dell'art. 664 c.p.c. si riferisce ai soli “canoni”, rimanendo silente su qualsiasi altra voce del rapporto locatizio, compresi gli oneri accessori alla locazione: in assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto, la dottrina è divisa tra coloro che ritengono ammissibile il provvedimento ex art. 664 c.p.c. soltanto per il pagamento dei canoni e chi, invece, ritiene che il suddetto provvedimento possa comprendere anche gli oneri accessori.

Riferimenti

Amendolagine, Commento all'art. 664 c.p.c., in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 987;

Cameriero - Gabbanelli, Conversione della convalida di sfratto in rito ordinario: formulabili nuove domande, eccezioni e riconvenzionali, in Ventiquattrore avvocato, 2011, fasc. 3, 41;

Costabile, Opposizione all'ingiunzione per canoni e riconvenzionale per danni, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 7, 85;

Carrato, L'opposizione all'ingiunzione per canoni, in Immobili & diritto, 2007, fasc. 8, 68;

Grasso, Disdetta per finito affitto, condanna “in futuro” ed (in)utilità del “filtro” obbligatorio della conciliazione, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2004, 176;

Del Vicario, Brevi note in tema di procedimento ingiuntivo di pagamento dei canoni locatizi ex art. 658 c.p.c., in Riv. giur. sarda, 1994, 630;

Annunziata, Decreto ingiuntivo di pagamento di canoni insoluti, del conciliatore e del presidente del tribunale, in Arch. loc. e cond., 1988, 9;

Vitrani, Ingiunzione di pagamento dei canoni e competenza funzionale dei giudici monocratici ex art. 43-45 l. n. 392/78, in Arch. loc. e cond., 1983, 611;

Bettanini, Pagamento dei canoni di locazione e ricorsi per decreti ingiuntivi, in Arch. loc. e cond., 1981, 289.

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