Compensazione delle spese se la dimensione dei caratteri e dell’interlinea viola il D.M n. 110/2023

Giulio Cicalese
09 Novembre 2023

Con un provvedimento che ha destato scalpore ed allarme in seno alla classe forense, il Giudice di Pace di Verona ha disposto la compensazione delle spese della fase monitoria perché il difensore di parte creditrice non avrebbe adottato le giuste dimensione dei caratteri ed interlinea imposte dall’art. 6 del d.m. 7 agosto 2023, n. 110. 

Massima 

Nel pronunciarsi ex art. 641, ult. co. c.p.c. sulle spese della fase monitoria, il giudice può statuirne la compensazione a norma dell'art. 46 disp. att. c.p.c. laddove non siano rispettate le tecniche redazionali di cui all'art. 6 del d.m. 7 agosto 2023, n. 110.

Il caso 

Parte creditrice instaurava un procedimento monitorio presso il Giudice di Pace di Verona, redigendo il proprio atto di ricorso senza tener conto delle tecniche redazionali imposte in ordine alla dimensione dei caratteri e l'interlinea dall'art. 6 del d.m. 7 agosto 2023, n. 110.

La questione

L'adìto Giudice di Pace, nell'accogliere l'avanzato ricorso, si pronunciava ex art. 641, ult. comma, c.p.c. anche in merito alle spese di lite della fase monitoria, a causa della violazione delle tecniche di redazione degli atti da parte del difensore dell'istante.

Le soluzioni giuridiche 

Il giudice, accertata la violazione in parola, nell’emesso decreto ingiuntivo ordinava la compensazione delle spese di lite.

Osservazioni

Il Giudice di Pace autore del provvedimento in commento ha optato, allo scopo di rendere operativo l'art. 46, comma 5, disp. att. c.p.c., per la compensazione delle spese di lite; in questo senso, potrebbe arguirsi che il giudicante in questione abbia inteso ravvisare nella disposizione codicistica da ultimo citata, così come modificata all'esito della cd. riforma Cartabia, una nuova ipotesi di compensazione delle spese di lite, ulteriore rispetto a quelle di «soccombenza reciproca» e di «assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti» di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c.

Tale scelta, tuttavia, è problematica sotto numerosi punti di vista. Innanzitutto, nella prima fattispecie di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c. la compensazione presuppone la sussistenza di un contraddittorio: laddove sussista soccombenza reciproca, difatti, le parti avranno dato tutte vicendevolmente origine alla lite con la condotta preprocessuale da queste tenuta e, pertanto, non potrà imporsi a nessuna di queste l'integrale rifusione delle spese sostenute dalla controparte. Si tratta quindi, in ultima istanza, di meccanismo che opera necessariamente nell'ambito di fattispecie – già identificate dalla dottrina e dalla giurisprudenza – quali, a titolo puramente esemplificativo, quella del rigetto sia della domanda principale formulata dall'attore che della riconvenzionale spiegata dal convenuto, ovvero dell'accoglimento di non tutte le domande attoree; in ogni caso esse sono sempre e comunque attinenti al merito della controversia, ossia al grado di fondatezza delle pretese avanzate in sede processuale ad opera delle parti: il principio di causalità, quindi, opera proprio nel senso che tutte le parti destinatarie della statuizione di compensazione delle spese abbiano in qualche modo tenuto, prima dell'instaurazione giudiziaria della lite, un condotta tale da costringere la controparte a ricorrere al potere dell'autorità giudiziaria civile per vedersi riconoscere una pretesa già in precedenza (anche solo in parte) legittimamente avanzata.

Da quanto appena osservato appare allora evidente che la decisione di compensare le spese di lite per violazione delle tecniche redazionali contenute nel d.m. 7 agosto 2023, n. 110 non possa logicamente discendere da una reciproca soccombenza. Tale assunto appare sicuramente ancor più valido nel caso di specie, in cui il provvedimento in commento è un decreto ingiuntivo, il quale, com'è ben noto, è il prodromo di un contraddittorio puramente eventuale e, in ogni caso, differito.

Dunque, non è dogmaticamente corretto, alla luce delle elaborazioni sopra esposte inerenti all'applicazione del principio di causalità, pretendere di rendere operativo l'art. 46, comma 5, disp. att. c.p.c. utilizzando lo strumento della compensazione fondata sulla reciproca soccombenza delle parti.

Analogo discorso, molto più intuitivamente, può farsi in ordine alle ulteriori due ipotesi di compensazione ad oggi disciplinate dall'art. 92, comma 2, c.p.c., le quali costituiscono delle fattispecie ben delineate che, pertanto, non sembrano essere suscettibili di applicazione analogica; molto più probabilmente, un fondato appiglio sarebbe stato rinvenibile in seno alla norma de qua prima della riforma su di essa operata dall'art. 13 del d.l. n. 132/2014 il quale ha difatti espunto, riducendone la portata alla due ipotesi in esame, il riferimento alle «gravi ed eccezionali ragioni» che potessero motivare la compensazione.

Pertanto, se queste prime osservazioni sono corrette, da esse potranno senz'altro trarsi alcuni primi input in grado di orientare la futura applicazione dell'art. 46, 5° co. disp. att. c.p.c.; apertis verbis, non sembra potersi in alcun modo ricavare dalla citata norma l'intenzione, da parte del legislatore, di prevedere una nuova ipotesi tipica di compensazione oltre a quelle già disciplinate dall'art. 92, comma 2, c.p.c.

Al contrario, un'interpretazione più sistematicamente orientata della disposizione a norma della quale la violazione delle tecniche redazionali di cui al d.m. 110/2023 «può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo» potrebbe suggerire di utilizzarla come solo strumento di natura quantitativa, in grado cioè di rideterminare – in aumento o in diminuzione – l'ammontare delle spese, la cui distribuzione è stata però già operata sulla scorta dei principî di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.: laddove, ad esempio, il giudice ritenga di condannare parte soccombente al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, esse potrebbero esser calcolate in misura minore rispetto a quanto sarebbe stato fatto nel caso in cui la parte vincitrice si fosse attenuta alle prescrizioni del d.m. 110/2023; ed ancora, ove per una delle ragioni previste dall'art. 92, comma 2, c.p.c. si dovesse procedere alla compensazione delle spese di lite, il giudice potrebbe optare per la compensazione parziale a discapito della parte soccombente in vece di quella integrale se quest'ultima ha redatto atti non sufficientemente chiari e concisi, ovvero provvedere, sempre sulla base dei medesimi criteri, a stabilire una diversa frazione di spese oggetto di compensazione parziale.

Quanto si è finora detto potrebbe essere senz'altro valido per qualsiasi violazione dei principî di chiarezza e sinteticità così come regolati dal d.m. 110/2023, e potrebbe pertanto essere applicabile sia ai criteri di redazione di cui all'art. 2 dello stesso, sia ai limiti dimensionali fissati dagli artt. 3, 4 e 5 e sia alle tecniche redazionali di cui all'art. 6. Tuttavia, poiché nel decreto in commento la compensazione delle spese di lite è disposta sulla scorta dell'articolo da ultimo citato in ragione della violazione delle sole tecniche redazionali da parte del difensore di parte creditrice, il quale non ha utilizzato le giuste dimensione dei caratteri ed interlinea, i profili problematici si accentuano ulteriormente: la citata norma, difatti, esplicitamente richiede che gli atti siano «redatti mediante caratteri di tipo corrente», mentre la dimensione 12 o l'interlinea 1,5 (così come i margini di 2,5 cm) sono caratteristiche solo «preferibilmente» da attribuire all'atto; proprio in ragione di ciò, è facile comprendere le ragioni in nome delle quali il decreto che qui si sta esaminando abbia destato enorme allarme in seno alla classe forense, la quale ha già in più occasioni mostrato preoccupazione per l'imposizione di limiti alla libera creazione degli atti giuridici, proprio perché esso potrebbe fare da apripista per un una tendenza interpretativa dell'art. 46 disp. att. c.p.c. e del d.m. 110/2023 particolarmente rigida e restrittiva che, però, rischia di non essere particolarmente coerente né con le norme de quibus né con alcuni principî cardine dell'ordinamento processuale.

Infine, è doveroso notare, anche al fine di evidenziare la confusione che ad oggi ugualmente serpeggia tra magistrati ed avvocati, che nemmeno il Giudice di Pace che ha redatto il decreto in questione, e che a sua volta ex art. 7 del d.m. 110/2023 avrebbe dovuto «in quanto compatibili» attenersi alle tecniche redazionali imposte ai difensori, non abbia parimenti adottato caratteri di dimensione 12 o l'interlinea di 1,5: in questo caso, però, non si può di certo pensare di invocare l'applicazione di particolari sanzioni a discapito di tale giudice né la previsione di un rimedio avverso l'utilizzo di tecniche redazionali inappropriate; tuttavia, si consenta allo scrivente di sottolineare che un paradosso di tal fatta sarà senz'altro guardato attraverso un sottile (e forse necessario!) velo ironico da tutti quei lettori che riconoscono ed apprezzano le situazioni di stampo kafkiano. 

Riferimenti

Cerri, Dramma inconsistente (il D.M. 110/2023), in www.judicium.it, 13 settembre 2023;

Cicalese, Chiarezza e sinteticità negli atti processuali di parte prima e dopo la Riforma Cartabia, in www.giustiziacivile.com, 21 luglio 2024;

Finocchiaro, Il principio di sinteticità nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2013, IV-V, 863;

Frus, Chiarezza e sinteticità degli atti processuali: obiettivi tanto condivisibili, quanto difficilmente codificabili e sanzionabili, in Lav. Dir. Eur., 2023, III, 1;

Metafora, Le ipotesi di compensazione delle spese di lite, in Riv. it. dir. lav., 2019, II, 203.

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