Il condominio non può considerarsi “datore di lavoro” ai fini della responsabilità solidale per le prestazioni rese dai dipendenti dell’appaltatore

15 Novembre 2023

In consapevole contrasto con quanto affermato di recente dalla Sezione seconda, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di merito, la quale aveva riconosciuto la responsabilità solidale di un condominio, in relazione alle omissioni contributive afferenti ad alcuni lavoratori che vi avevano prestato attività di pulizia per conto di un appaltatore, sul presupposto, da un lato, che il condominio, quale ente di gestione dei beni comuni, non assume, soprattutto ai fini lavoristici, rilievo giuridico diverso da quello dei singoli condomini e, dall'altro, che il medesimo condominio non svolge attività di impresa e non partecipa, per propri scopi istituzionali, al decentramento produttivo.

Massima

Presupposto soggettivo della responsabilità solidale ex  art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003 (ratione temporis applicabile) è che il committente eserciti attività di impresa oppure, quale “datore di lavoro”, si serva delle prestazioni rese dai dipendenti dell'appaltatore per realizzare l'oggetto della propria attività istituzionale - prendendo parte al processo di decentramento produttivo del servizio - restando escluso, dal campo di applicazione della norma, ai sensi del comma 3-ter del citato art. 29, il committente persona fisica che non eserciti attività di impresa o professionale. 

Il caso

La causa, posta di recente all'esame della Sezione lavoro della Supremo Collegio, originava da una pretesa dell'Inps nei confronti di un Condominio, volta ad ottenere, in applicazione dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. 276/2003, il pagamento dei contributi non versati da una Società, relativi a due dipendenti di quest'ultima occupati nel servizio di pulizie oggetto di appalto presso lo stesso Condominio (segnatamente, nel periodo luglio 2012 - gennaio 2016).

Il Tribunale aveva accolto il ricorso proposto dal Condominio avverso il verbale di accertamento ispettivo notificato dall'Inps, mentre la Corte d'Appello, accogliendo il gravame interposto dall'Istituto, aveva riformato la sentenza e rigettato il ricorso in opposizione, confermando, in buona sostanza, i contenuti dell'accertamento ispettivo.

Ad avviso della Corte territoriale - per quel che qui rileva - il Condominio era obbligato in solido con l'appaltatore, essendo incontestato che i suddetti lavoratori avessero effettuato la prestazione lavorativa presso il medesimo Condominio, il quale non aveva neanche disconosciuto la propria qualifica di “datore di lavoro”, limitandosi ad eccepire che il citato art. 29 non avrebbe potuto essergli applicato perché privo di personalità giuridica; il soggetto passivo della solidarietà, di cui al comma 2 dell'art. 29 - aggiungeva il giudice distrettuale - doveva individuarsi nel committente imprenditore o datore di lavoro, mentre l'ultimo comma dello stesso art. 19 escludeva dalla solidarietà solo la “persona fisica” che non esercita attività di impresa o professionale.

Avverso la sentenza conclusiva del giudizio di secondo grado, ricorreva per cassazione il Condominio.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso concreto, si fosse concretizzata una violazione dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. 276/2003 e, nello specifico, se si fosse data debita rilevanza all'ultimo comma di tale disposto, che prevede espressamente che la solidarietà sia esclusa per la persona fisica che non esercita l'attività di impresa o professionale, evidenziando, in particolare, che il condominio di edifici, seppure considerato quale ente di gestione, potrebbe essere considerato equivalente alla persona fisica.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondata la doglianza del ricorrente.

Al riguardo, la Corte d'Appello aveva osservato che il Condominio non aveva mai contestato che i lavoratori, interessati dall'inadempimento contributivo, avessero effettuato la propria prestazione lavorativa presso il medesimo Condominio, né che lo stesso fosse “datore di lavoro” dei medesimi lavoratori, con piana applicazione del citato art. 29, a prescindere dalla possibilità di attribuirgli la personalità giuridica, non potendo, del resto, neanche ritenersi che il Condominio fosse una “persona fisica”.

Viene, quindi, in rilievo il disposto dell'art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 (c.d. legge Biagi), nei commi 2 e 3-ter, applicabile ratione temporis - modificato per effetto dell'art. 6, comma 1, d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, dell'art. 1, comma 911, l. 27 dicembre 2006, n. 296, a decorrere dal 1° gennaio 2007, e dell'art. 21, comma 1, d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 aprile 2012, n. 35, e successivamente, modificato dall'art. 4, comma 31, lett. a) e b), l. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. riforma Fornero) e dall'art. 28, comma 2, d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175 - che recita: “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento”; l'art. 3-ter precisa, poi, che: “fermo restando quanto previsto dagli articoli 18 e 19, le disposizioni di cui al comma 2 non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale”.

Nella specie, il giudice distrettuale aveva sottolineato che il Condominio committente, seppure non impresa, fosse da ritenere “datore di lavoro” perché, in modo incontestato, i lavoratori interessati dall'omissione contributiva ivi prestavano l'attività di pulizia oggetto d'appalto e lo stesso Condominio non aveva negato la “qualifica di datore di lavoro”;

Tale affermazione non è stata condivisa dagli ermellini.

Invero, il “datore di lavoro” che, in alternativa all'imprenditore, è responsabile solidale ai sensi dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, non può identificarsi, puramente e semplicemente, con lo stesso committente presso cui l'attività oggetto dell'appalto viene eseguita; se così fosse, sarebbe stato sufficiente prevedere l'obbligo di solidarietà riferendosi semplicemente al “committente” dell'appalto.

E' evidente - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - che il datore di lavoro “diretto” dei dipendenti, per i quali si è verificato l'inadempimento contributivo, è l'appaltatore e non il committente, e la garanzia della solidarietà aggiunge un debitore a quello principale; la disposizione in esame individua, quindi, tale debitore solidale nel committente solo se svolge “attività imprenditoriale” o solo se viene considerato “datore di lavoro”, con ciò selezionando tali figure all'interno dell'intera categoria dei possibili committenti di appalti di opere o di servizi.

Peraltro, ai sensi del comma 3-ter, sfugge al vincolo solidaristico imposto dall'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, il committente “persona fisica” che non esercita attività di impresa o professionale, per cui è certamente attratto, nell'orbita della solidarietà, il committente che assume la veste di imprenditore, ai sensi dell'art. 2082 c.c., intesa in senso oggettivo, come attività economica organizzata atta a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2008, n. 16612).

Tuttavia, è, allo stesso modo, il committente che, pur non essendo “imprenditore”, è “datore di lavoro”, e cioè il committente che, anche attraverso le prestazioni di lavoro rese dai dipendenti dell'appaltatore, realizza l'oggetto della propria attività istituzionale, prendendo parte a quel processo di decentramento produttivo del servizio che costituisce il fenomeno economico a cui la norma si riferisce.

Ciò avviene, ad esempio, nell'ipotesi delle associazioni, degli enti no profit, ecc.: in questi casi, infatti, si realizzano quelle ipotesi di commistione tra le figure del datore di lavoro (appaltatore) ed il committente, fruitore della prestazione lavorativa - potenziale datore di lavoro c.d. indiretto - nei cui confronti l'art. 29 d.lgs. n. 276/2003 ha inteso rafforzare le tutele dei lavoratori.

Com'è noto - v., soprattutto, Corte Cost. 6 febbraio 2017, n. 254 - la ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale; la solidarietà mira a disciplinare la responsabilità in tutte le ipotesi di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e l'utilizzazione della prestazione, assicurando in tal modo tutela omogenea a tutti quelli che svolgono attività lavorativa indiretta, qualunque sia il livello di decentramento (cui adde, tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 25 gennaio 2022, n. 2169; Cass. civ., sez. lav., 8 ottobre 2019, n. 25172).

Il limite soggettivo “positivo” a tale estensione è dato dalla qualità o di imprenditore oppure di datore di lavoro del committente, mentre quello “negativo è integrato dall'esplicita esclusione, per effetto del comma 3-bis, dall'attrazione dell'orbita della solidarietà delle “persone fisiche” che non esercitano attività di impresa o professionale, escludendo così dalla solidarietà tanto la persona fisica che appalta i lavori di ristrutturazione di un proprio immobile, quanto il condominio di immobili.

Secondo i giudici di legittimità, “il condominio non svolge attività di impresa, non partecipa per propri scopi istituzionali al decentramento produttivo e non assume, soprattutto ai fini lavoristici, un rilievo giuridico diverso da quello dei singoli condomini” (argomentando da Cass. civ., sez. VI/II, 11 gennaio 2012, n. 177, e, più di recente, Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934), posto che si tratta di un mero “ente di gestione dei beni comuni”.

In definitiva, in accoglimento del suddetto motivo di ricorso, ne è conseguita la cassazione della sentenza impugnata e, una volta esclusa la sussistenza dei presupposti di operatività dell'obbligo di solidarietà in capo al Condominio ricorrente - non residuando, peraltro, la necessità di ulteriori accertamenti per definire il giudizio - la causa è stata decisa nel merito, con l'accoglimento della domanda di accertamento negativo dell'obbligo di versamento dei contributi pretesi dall'Inps mediante il verbale ispettivo opposto.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione si pone in consapevole contrasto con quanto affermato, di recente, dalla Sezione seconda (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 2022, n. 4079), sia pure incidentalmente ma pur sempre nell'àmbito di un giudizio relativo agli obblighi dei contraenti in appalto conferito da un Condominio ad un'impresa di pulizie.

In quell'occasione, la causa originava da un'opposizione, proposta da un Condominio, avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso di una Società cooperativa, a titolo di corrispettivo per i servizi di pulizia al fabbricato condominiale eseguiti dalla stessa Società, dove l'opponente sosteneva la nullità del contratto di appalto intercorrente tra le parti, poiché l'appaltatrice non aveva consegnato il Durc, donde il Condominio aveva sospeso il pagamento del corrispettivo.

L'adìto Tribunale accoglieva l'opposizione e, per l'effetto, revocava l'emesso decreto ingiuntivo, osservando che, in mancanza del Durc per il periodo a cui si riferivano le fatture poste a fondamento del ricorso monitorio, si configurava una responsabilità solidale del Condominio, insieme alla Cooperativa appaltatrice, per l'irregolare posizione, contributiva e fiscale, dei dipendenti di quest'ultima, sicché correttamente il Condominio aveva sospeso il pagamento del corrispettivo applicando il principio di cui all'art. 1460 c.c.

Pronunciando sul gravame formulato dall'opposta soccombente, cui resisteva il Condominio, la Corte d'Appello aveva rigettato l'impugnazione e confermato l'impugnata sentenza, sottolineando che bene aveva fatto il primo giudice a ritenere applicabile la disciplina dell'art. 1460 c.c., dal momento che non poteva ritenersi sussistente l'equilibrio contrattuale derivante dalla sua sinallagmaticità, poiché la prestazione della Cooperativa, ancorché materialmente eseguita, aveva esposto a rischio il Condominio per l'esazione, a carico dello stesso, degli oneri previdenziali e contributivi ai sensi dell'art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 (circostanza, peraltro, poi effettivamente verificatasi, a seguito della notificazione del verbale di accertamento dell'Inps elevato nei confronti dello stesso Condominio).

La Società cooperativa aveva proposto ricorso per cassazione, opinando - per quel che qui interessa - che era inapplicabile il richiamato art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 poiché il Condominio non esercitava attività di impresa e non era dotato di personalità giuridica, con la conseguente errata applicazione, nella fattispecie, del citato art. 1460, comma 3, c.c.

La Sezione seconda della Cassazione, in quell'occasione, ha considerato tale doglianza priva di fondamento.

Premesso che - nella vicenda allora in esame - si era “in presenza di un appalto di servizi concluso tra un Condominio ed un'impresa di pulizia, in cui il primo era appaltante-committente (ovvero, comunque, datore di lavoro della ditta di pulizie), alla stregua della disciplina in materia e degli scopi dalla stessa tutelati circa la necessità della verifica della legittima posizione contributiva e previdenziale dei dipendenti della ditta appaltatrice, e della conseguente configurabilità della responsabilità solidale tra appaltante e la stessa appaltatrice”, era indubbio che l'impresa di pulizia fosse tenuta alla presentazione del Durc, tanto è vero che l'Inps aveva notificato apposito verbale di accertamento a carico del Condominio, in applicazione dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003 (tale passaggio logico, a titolo di premessa, si rivela, quindi, non in linea con quanto statuito, da ultimo, dalla Sezione lavoro nella sentenza in commento).

Il tenore letterale e la ratio di tale norma sono, infatti, intesi ad incentivare il corretto utilizzo dei contratti di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori “affidabili”, al fine di evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro ed utilizzazione della prestazione possa andare a danno del lavoratore (Cass. civ., sez. lav., 7 dicembre 2018, n. 31768).

Inoltre, si è rimarcato che la logica della solidarietà tra il committente e l'appaltatore, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all'appalto cui ha personalmente dedicato le proprie energie lavorative, nonché il dato testuale della norma, che fa riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, impongono di ritenere che la solidarietà sussista solo per i crediti maturati riguardo al periodo del rapporto stesso, con esclusione di quelli sorti in altri periodi (v., altresì, Cass. civ., sez. lav., 18 luglio 2017, n. 17725, sia pure non citata nella motivazione dell'ordinanza de qua).

Sulla base di questo quadro generale, i magistrati del Palazzaccio hanno rilevato che l'amministratore del Condominio è tenuto a chiedere alle aziende tutti i documenti necessari a dimostrare la loro regolarità a livello legale e di tutela della sicurezza dei dipendenti, e il Durc è proprio uno dei documenti principali da esigere per capire se un'impresa di pulizie è idonea ad operare all'interno del Condominio.

Il Durc costituisce, infatti, la certificazione che devono avere le aziende o i professionisti per comprovare l'effettività dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori, ragion per cui è solo dal suo regolare possesso che può desumersi la certezza che sia stato corrisposto tutto quanto dovuto, a tale titolo, all'Inps e all'Inail.

In punto di diritto, stante la “sinallagmaticità” del rapporto contrattuale, si è considerato legittimamente operante e, quindi, applicabile l'art. 1460 c.c., perché, a fronte della mancata o, comunque, inesatta esecuzione del predetto obbligo da parte dell'impresa di pulizie e, quindi, dell'esposizione a rischio del Condominio di provvedere, quale responsabile in solido, al versamento degli oneri previdenziali e contributivi ai sensi del citato art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 - rischio, poi, concretizzatosi attraverso l'elevazione del verbale di accertamento notificatogli dall'Istituto per la violazione di detta norma - il Condominio stesso era legittimato a sospendere il pagamento delle prestazioni della ditta di pulizia.

Riferimenti

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