Processo Amanda Knox: revocata la sentenza di condanna per calunnia

27 Novembre 2023

La prima applicazione dell'art. 628-bis c.p.p.

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi – ai sensi dell'art. 628-bis c.p.p. – sull'adozione dei rimedi necessari ad eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti della condanna per calunnia inflitta in violazione del diritto convenzionale all'assistenza difensiva e linguistica.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte

Sin dal compimento dei primi atti investigativi, il clamore mediatico assunto dalla vicenda processuale ha rapidamente travalicato i confini nazionali ed i talk show dell'epoca hanno fortemente condizionato l'opinione pubblica che si è divisa tra “colpevolisti” e “innocentisti”.

A distanza di quasi dieci anni dalla sentenza definitiva, l'attivazione del nuovo rimedio straordinario (ex  art. 628-bis c.p.p.) ha consentito alla Suprema Corte di scrivere un inedito capitolo della lunga storia processuale che ha visto imputata – e poi assolta –  Amanda Knox  per l'omicidio della giovane  Meredith Kercher, commesso a Perugia nel lontano 1° novembre 2007.

Occorre chiarire che il  decisum  in commento  non  ha  inciso  sulla pronuncia  assolutoria  relativa all'imputazione di omicidio, ma ha  revocato  le due sentenze della Corte di Cassazione limitatamente alla  condanna  inflitta alla Knox per il  delitto   di calunnia  commesso ai danni di Patrick Lumumba, e ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Perugia, disponendo un «rinvio» per un nuovo ed autonomo giudizio.

Prima di procedere alla disamina del  nuovo istituto processuale introdotto con la c.d.  Riforma Cartabia, occorre, in estrema sintesi, ripercorrere l'iter processuale – nazionale e sovranazionale – che ha preceduto la sentenza in commento.

A differenza dell'ondivago sentiero processuale percorso, nei diversi gradi di giudizio dai due allora imputati in concorso per omicidio, l'imputazione per calunnia ascritta alla sola Knox ha retto, senza particolari incertezze, sino alla pronuncia definitiva (cfr. Cass., Sez. I, 26.03.2013, n. 26455, in Cass. pen., 2014, 4, 1281; Cass., Sez. V, 27.03.2015, n. 36080, in Foro it., 2016, 7-8, II, 448).

Soltanto a seguito del ricorso presentato dalla Knox, i Giudici della Corte di Strasburgo (C. EDU, Sez. I, 24.01.2019, n. 76577, in DeJure) hanno ravvisato, nelle dichiarazioni accusatorie dalla stessa rese, la  violazione  del  diritto all'assistenza difensiva e linguistica, ai sensi dell'art. 3, par. 1 e 3 lett. c), e) CEDU.

Pertanto, i difensori della Knox, Prof. Avv. Luca Lupària Donati e Avv. Carlo Della Vedova, hanno chiesto ed ottenuto – con ricorso dinanzi alla S.C. ai sensi dell'art. 628-bis  c.p.p. – una pronuncia che ha eliminato gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla condanna per calunnia, in conseguenza della decisione adottata dalla Corte EDU.

La ritenuta violazione del diritto all'assistenza difensiva e linguistica in ambito sovranazionale

Le dichiarazioni accusatorie rese dalla Knox, priva dell'assistenza difensiva, sono state oggetto dell'attento scrutinio della  Corte di Strasburgo  chiamata a pronunciarsi sulla  violazione  delle Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Ed invero, per quanto concerne il  diritto all'assistenza difensiva, la Corte EDU ha accertato la violazione dell'art. 6, par. 1 e 3 lett. c).

Pur non avendo la Knox ancora formalmente assunto lo status d'indagata attraverso la tempestiva iscrizione soggettiva nel registro delle notizie di reato, gli agenti di polizia giudiziaria hanno dapprima sottoposto le utenze alla stessa intestate ad intercettazione telefonica e, successivamente, interrogato l'allora indagata per circa due ore in  assenza  del  difensore di fiducia o d'ufficio  (v. C. EDU, Sez. I, 24.01.2019, n. 76577, in DeJure).

In realtà, nel corso dell'incidente cautelare prima, e nei successivi gradi di giudizio poi, la Suprema Corte ha decretato l'inutilizzabilità delle dichiarazioni  rese dall'indagata relativamente alla sola imputazione di omicidio e di violenza sessuale, mantenendo ferma l'utilizzabilità per il delitto di calunnia per essere le stesse dichiarazioni considerate «corpo del reato» (cfr. Cass., 1.04.2008, n. 16410, in Dejure).

Tale prospettazione è stata  disattesa  dalla Corte EDU che ha ritenuto  ingiustificata  – anche per l'imputazione di calunnia – la  limitazione dell'assistenza difensiva durante il compimento dell'atto.

Negli stessi termini, la Corte di Strasburgo si è espressa per la violazione dell'art. 6, par. 1 e 3, lett. e) CEDU quanto all'assistenza di un interprete.

Nella specie, la Corte EDU ha rilevato l'anomala condotta professionale tenuta dall'interprete nel corso delle audizioni rese dalla Knox, ritenuta ambigua e inopportuna considerate le circostanze del caso e la necessità di assicurare il più possibile la genuinità del narrato.

Secondo il giudizio espresso in sede sovranazionale, l'atteggiamento dell'interprete è andato ben oltre le funzioni che la stessa avrebbe dovuto assicurare in quanto «[…] ha voluto stabilire una relazione umana ed emotiva con la ricorrente, attribuendosi un ruolo di mediatrice e assumendo un atteggiamento materno che non erano assolutamente richiesti nel caso di specie» (Cfr. C. EDU, Sez. I, 24.01.2019, n. 76577, cit.).

Con il richiamato  decisum  sovranazionale, nel  riconoscere  la  violazione al diritto ad un equo processo  garantito dall'art. 6 CEDU, la Corte EDU ha attribuito alla Knox «un'equa soddisfazione» (ai sensi dell'art. 41 CEDU) quantificata dalla Corte in € 10.400,00 oltre le spese e gli interessi fino al saldo.

I presupposti e le condizioni per la richiesta di revisione europea

Con l'introduzione dell'art. 628-bis  c.p.p., il legislatore è intervenuto per colmare il vuoto normativo derivante dall'assenza di un rimedio processuale  finalizzato ad ottenere la  revoca  della  condanna emessa  a seguito di un giudizio  dichiarato “non equo” dalla Corte europea  dei diritti dell'Uomo.

La  Riforma Cartabia  ha accolto le sollecitazioni provenienti dal Giudice delle leggi in precedenza chiamato a colmare il vuoto normativo derivante dall'impossibilità di favorire la  restitutio in integrum  del condannato all'esito di un procedimento inficiato dalla violazione dell'art. 6 CEDU (ex plurimisC. Cost., 7.4.2011, n. 113, in Cass. pen., 2012, 3, 933).

Nell'occasione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 630 c.p.p.  nella parte in cui  non  ha  previsto  un diverso caso di  revisione della sentenza  (o del decreto penale di condanna) – rispetto a quelli già regolati dalla norma – per ottenere la riapertura del processo laddove sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, CEDU, per  conformarsi  ad una  sentenza  definitiva della  Corte europea  dei diritti dell'uomo.

Per oltre dieci anni dalla declaratoria d'incostituzionalità, e sino all'introduzione dell'art. 628-bis  c.p.p., la c.d.  revisione europea – attivabile grazie all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 630 c.p.p. – ha rappresentato l'unico presidio di garanzia riconosciuto al condannato per superare la mancata individuazione di un mezzo straordinario d'impugnazione finalizzato a conformarsi ad una pronuncia della Corte EDU, in ossequio al disposto di cui all'art. 46, par. 1, CEDU, secondo cui «Le altre parti contraenti s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nella quali sono parti».

Già dall'autonoma collocazione sistematica del nuovo rimedio di cui all'art. 628-bis  c.p.p. (situato nel Titolo III-bis  del libro IX sulle impugnazioni) si coglie l'originalità  del mezzo straordinario  rispetto  alla  revisione  di cui all'art. 630 c.p.p.: ci si riferisce non soltanto all'attribuzione della competenza della Corte di Cassazione  – in luogo della Corte d'Appello prevista per la revisione – ma anche alla  regola di giudizio  prevista dall'art. 628-bis, c. 5, c.p.p. (la c.d.  incidenza effettiva), nonché ai possibili epiloghi decisori.

Non è questa la sede per dirimere le possibili intersezioni normative tra l'intervento addizionale della Corte costituzionale ex  art. 630 c.p.p. – sopravvissuto, di fatto, al nuovo istituto processuale – e lo schema processuale introdotto con l'art. 628-bis  c.p.p., ma occorre soffermarsi, preliminarmente, sui  presupposti  e le  condizioni  per avanzare la «richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei dritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dei protocolli addizionali».

Ed invero, il legislatore delegato ha individuato tra i  soggetti legittimati  ad avanzare la suddetta richiesta «il  condannato» e «la  persona sottoposta a misura di sicurezza» che abbiano ottenuto un giudicato dalla Corte EDU con il quale si siano accertate violazioni della Convenzione o dei suoi Protocolli addizionali oppure la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell'art. 37 della Convenzione, a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.

La  richiesta  deve essere presentata nella cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento di cui si chiede la revoca «personalmente dall'interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale» nel termine di novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza della Corte EDU.

La nuova regola di giudizio prevista dall'art. 628-bis, comma 5, c.p.p.

Ai sensi dell'art. 628-bis, comma 5, c.p.p., la  Corte di Cassazione, fuori dei casi di inammissibilità,  accoglie  la  richiesta  quando la  violazione accertata dalla Corte EDU  «per natura e gravità» abbia avuto una «incidenza effettiva» sulla sentenza o sul decreto penale di condanna.

A eccezione di una pronuncia relativa all'applicabilità della revisione europea ai provvedimenti di competenza del Tribunale di Sorveglianza (cfr. Cass., 13.07.2023, n. 39801, in CED Cass., n. 285231), per la prima volta la S.C. ha delineato l'ambito di applicabilità della regola di giudizio prevista dall'art. 628-bis  c.p.p.

Si tratta, in particolare, di  valutare l'incidenza del giudicato europeo su quello interno, senza che ai Giudici di legittimità possa essere riconosciuta la facoltà di esprimere un diverso apprezzamento sulla sussistenza della violazione convenzionale.

Stando all'interpretazione della S.C., il  concetto  di «effettività» utilizzato dal legislatore delegato  non si discosta  in maniera particolarmente significativa dalla  nozione  di «decisività» coniata dalla giurisprudenza di legittimità «quale idoneità disarticolante del vizio rilevato rispetto al verdetto cui il Giudice di merito sia giunto» (Sul concetto di «decisività»,  ex plurimisCass., Sez. Sez. IV, 23.1.2014, n. 6783, in Dejure).

E invero, ai sensi dell'art. 606, lett. d) c.p.p., si ritiene «decisiva» la  prova  che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da  dimostrare  che, ove esperita, avrebbe sicuramente  determinato   una diversa pronuncia.

Dunque, l'assimilazione tra i giudizi di «effettività» e «decisività», espressa nella condivisibile prospettazione offerta della giurisprudenza di legittimità, non può che condurre ad una  interpretazione  orientata a  valutare  le  ripercussioni  che la violazione convenzionale ha avuto sul giudicato interno.

In altre parole, la S.C. è chiamata a una  verifica di resistenza  tra il giudizio di responsabilità espresso nel giudicato interno e le violazioni convenzionali riconosciute dalla Corte EDU.

Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che la violazione al diritto a un equo processo garantito dall'art. 6 CEDU nei termini accertati dalla Corte di Strasburgo abbia minato in radice la possibilità di utilizzare quale corpo del reato di calunnia le dichiarazioni rilasciate da Amanda Knox.

Gli epiloghi decisori

L'art. 628-bis, comma 5, c.p.p., ha individuato  tre, alternativi,  epiloghi decisori:

  • laddove  non  siano  necessari ulteriori accertamenti  di fatto o comunque risulti superfluo il rinvio, la Corte può assumere i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna;
  • la Corte può  trasmette gli atti  al giudice dell'esecuzione;
  • da ultimo, la S.C. ha la facoltà di  disporre la riapertura del processo  nel grado o nella fase in cui si sia verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservino efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.

Tra le diverse opzioni decisorie, la disposizione ha contemplato la  possibilità  di disporre la  regressione del procedimento alla fase di merito in cui si sia accertata la violazione.

Lo conferma l'art. 628-bis, commi 6 e 7, c.p.p. che ha stabilito la  nuova decorrenza del termine prescrizionale  e di  improcedibilità  unitamente alla modifica apportata all'art. 60, comma 3, c.p.p. che ha espressamente previsto la  riassunzione dello status di imputato  in caso di accoglimento della richiesta di cui all'art. 628-bis  c.p.p.

Nella sentenza in commento, la S.C. ha disposto la  revoca  delle due  sentenze  nella parte in cui hanno  determinato il passaggio in giudicato della sentenza per calunnia, optando per l'annullamento con «rinvio» della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Perugia, che ha chiuso la fase di merito circa la responsabilità per il delitto di calunnia.

Ciò al fine di consentire al giudice del rinvio di riesaminare l'incidenza effettiva delle accertate violazioni convenzionali sul giudicato interno per addivenire «[…] ad un nuovo ed autonomo giudizio», in particolare sulla valutazione del «memoriale» sottoscritto dalla Knox e consegnato agli ufficiali di polizia giudiziaria prima che la stessa fosse sottoposta alla misura cautelare in carcere.

E infatti, il manoscritto redatto in lingua inglese dalla Knox non è stato sottoposto all'azione demolitoria della Corte EDU perché non attinto dalle violazioni del diritto all'assistenza difensiva e linguistica riferibili alle sole dichiarazioni rese oralmente dalla stessa.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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