Opposizione a decreto ingiuntivo condominiale e annullamento della delibera assembleare

27 Novembre 2023

Ancora una sentenza in materia di impugnazione della delibera assembleare quando non avvenuta con un giudizio autonomo. Anche il Tribunale di Catania si allinea all’orientamento espresso dai giudici di legittimità che, di recente, hanno individuato la cornice nella quale inserire la domanda di annullamento della deliberazione anche dopo il superamento del termine perentorio di cui all’art. 1137 c.c. 

Massima

Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via d'eccezione. Ne consegue l'inammissibilità, rilevabile d'ufficio, dell'eccezione con la quale l'opponente deduca solo l'annullabilità della deliberazione assembleare su cui si basa l'ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.

Il caso

Ricevuta contestuale notifica di decreto ingiuntivo e pedissequo atto di precetto, inerenti ad asseriti mancati pagamenti di oneri condominiali, due condomini proponevano opposizione ad entrambi gli atti, lamentando la mancata ricezione sia dell'avviso di convocazione dell'assemblea, sia del verbale delle delibere poste a fondamento dell'azione ingiuntiva. La domanda, quindi, si sostanziava, da un lato, nella richiesta di revoca del decreto ingiuntivo e di invalidità/inefficacia dell'atto di precetto e, dall'altro, nell'accertamento della non debenza della somma ingiunta ovvero, in via subordinata, nell'eventuale calcolo della stessa in seguito alle risultanze dell'istruttoria.

Il condominio si costituiva contestando gli assunti di controparte e rilevando che le doglianze degli attori non potevano essere oggetto di opposizione, riferendosi a vizi da far valere in sede di impugnativa della delibera assembleare, come previsto dall'art. 1137 c.c.

Rigettata l'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia del decreto ingiuntivo ed istruita la causa, il Tribunale rigettava l'opposizione, confermando il decreto ingiuntivo che veniva dichiarato definitivamente esecutivo.

La questione

Nel giudizio è stata riproposta la problematica concernente il rapporto tra delibera assembleare condominiale e giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Le soluzioni giuridiche

L’opposizione al decreto ingiuntivo fatta valere dai condomini era fondata su di un unico motivo concernente - come accennato - una asserita violazione dei diritti degli attori rispetto alla negata conoscenza dello svolgimento dell’assemblea, prima, e del contenuto della discussione e delle relative decisioni assembleari, dopo.

Il giudice del merito, correttamente, ha aderito a quello che è diventato un caposaldo della giurisprudenza in ordine al rapporto tra annullamento della delibera assembleare e conseguente decreto ingiuntivo. Infatti, richiamando il principio qui enucleato, il Tribunale ha rilevato come nell’atto di citazione non era stata formulata alcuna domanda riconvenzionale di annullamento della delibera, essendosi gli attori limitati ad affermare di non essere stati mai convocati all’assemblea e di non aver ricevuto il verbale. Peraltro, nessuna ulteriore contestazione era stata mossa nei confronti dell’an e del quantum di cui al decreto ingiuntivo, mentre l’erroneità della somma ingiunta (duplicazione di somme già richieste con precedente procedimento ingiuntivo) era stata oggetto di una confutazione del tutto generica.

Il Tribunale, quindi, respingeva in toto l’opposizione, condannando gli opponenti al pagamento delle spese di lite.

Osservazioni

La sentenza del Tribunale di Catania si può ritenere più che prevedibile. Per comprendere la sua portata, e ancora prima di quella emessa dai giudici di legittimità, occorre porre l'accento sul differente contenuto e finalità di domanda ed eccezione riconvenzionale.

L'art. 36 c.p.c. (rubricato “cause riconvenzionali”) stabilisce testualmente che “il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore”.

Con la domanda riconvenzionale, il convenuto, che non si limita a contestare la posizione dell'attore, si trasforma esso stesso in attore, in quanto contrappone al primo non la semplice richiesta di rigetto della domanda principale, ma l'accoglimento di una sua pretesa, che si concretizzi in un autonomo provvedimento a sé favorevole e con forza di giudicato (Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26880). Tanto è vero che a fronte della proposizione di una domanda riconvenzionale il convenuto/attore, che è parte diversa da quella che ha incardinato il giudizio, deve integrare il contributo unificato in ragione del valore della sua domanda. Così come, per evidenziare la natura autonoma di tale domanda rispetto a quella principale, potrebbe essere presa in considerazione la questione, non ancora risolta dalla giurisprudenza, se anche per la domanda riconvenzionale sia necessario attivare un procedimento di mediazione obbligatoria per evitare una dichiarazione di improcedibilità nei confronti del convenuto/attore in riconvenzionale.

L'eccezione riconvenzionale, invece, consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l'opposizione al diritto fatto valere dall'attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2021, n. 7292).

Questa premessa è stata reputata necessaria per far comprendere a noi stessi la ratio delle decisioni a cui sono pervenuti i giudici, di merito e di legittimità, quando si sono espressi in tema di richiesta di annullamento della delibera assembleare proposta in ambito di opposizione a decreto ingiuntivo.

In primo luogo, non si può prescindere dal ricordare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione per ben due volte hanno ripartito le delibere assembleari in due categorie: la prima volta, con la sentenza n. 4806 depositata in data 7 marzo 2005, in cui si chiariva la natura di delibere nulle (mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali; impossibilità dell'oggetto materiale o giuridico; contrarietà a norme imperative o all'ordine pubblico o al buon costume) ed annullabili (tutte le altre affette da vizi formali). La seconda volta, dopo l'entrata in vigore della l. n. 220/2012, con la sentenza n. 9839 depositata in data 14 aprile 2021, nella quale è stata ribadita la stessa classificazione ma con la specificazione che, ai sensi dell'art. 1137 c.c., l'annullabilità delle delibere rappresenta la regola generale e ad essa si contrappone la nullità come categoria residuale.

A questo punto, corre l'obbligo di fare un ulteriore passo indietro, per ricordare che il problema della pregiudizialità tra validità della delibera e pronuncia di decreto ingiuntivo in materia di condominio era stato già affrontato dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421), con riferimento ad una eventuale sospensione (exart. 295 c.c.) del giudizio di opposizione all'ingiunzione di pagamento in attesa dell'esito di quello di impugnazione della delibera. In questo caso, la Suprema Corte aveva affermato che la natura della materia condominiale, che prevede l'immediata esecutività delle delibere assembleari, introduce una deroga al principio generale della inesecutività del titolo a seguito di allegazione della sua originaria invalidità assoluta con la conseguenza, in ragione del prevalere dell'interesse generale (del condominio), rispetto a quello particolare (dell'impugnante/opponente), che la decisione di sospendere, ex art. 1137, c.c., l'attuazione della delibera spetta solo al giudice, tanto più che “le conseguenze possono essere superate in sede esecutiva, facendo valere la sopravvenuta efficacia del provvedimento monitorio [n.d.a. rispetto all'accoglimento della domanda di impugnazione della delibera], ovvero in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell'indebito”.

Detto questo, il fondamento del principio qui evidenziato andrebbe individuato - secondo la più recente giurisprudenza - proprio nell'art. 1137, comma 2, c.c. ove è indiscutibile che l'annullamento di una delibera assembleare può essere oggetto solo di una domanda (e non di un'eccezione) con la quale i soggetti legittimati chiedono la rimozione dell'atto in questione.

Nella fattispecie in esame, va osservato che, in teoria, potevano sussistere le condizioni affinché l'opponente proponesse una domanda ai sensi del combinato disposto degli artt. 1137 e 66, comma 3, disp. att. c.c. Tuttavia, nessuna domanda esplicita era stata formulata, tanto più che secondo un corretto iter procedurale il condomino avrebbe dovuto indicare nell'intestazione dell'atto di citazione in opposizione anche la formulazione di domanda riconvenzionale di annullamento della delibera, da ribadire nelle conclusioni indicando, da ultimo, l'importo del contributo unificato posto a suo carico.

Riferimenti

Negro, L’annullamento della delibera condominiale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. it., 2022, fasc. 11, 2410;

Conte, Sul rapporto di pregiudizialità tra il processo d'impugnazione di delibera assembleare condominiale che approva il piano di riparto delle spese e il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo del condòmino contro la pretesa creditoria del condominio, in Giur. it., 2008, fasc. 2, 388.

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