Ricorso per l'attribuzione di una quota del T.F.R. maturato dall'ex coniuge

Rosaria Giordano

Inquadramento

A norma dell'art. 12-bis, l. div. il coniuge divorziato, che non ha contratto un nuovo matrimonio e che sia titolare dell'assegno di divorzio, ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Tale percentuale è pari al 40% dell'indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro ha coinciso con il matrimonio. Il diritto sorge anche se il trattamento spettante all'altro coniuge è maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio (cfr. Galizia Danovi, Divorzio giudiziale, in ilfamiliarista.it).

Formula

TRIBUNALE DI ....

RICORSO [1] PER L'ATTRIBUZIONE DI UNA QUOTA DI TFR DELL'EX CONIUGE

Per la Sig.ra ...., nata a .... il .... (C.F. [2]....),residente in ...., via/piazza .... n. ...., elettivamente domiciliata in ...., via ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [3]...., C.F. [4]...., che la rappresenta e difende giusta procura alle liti in calce al presente atto. Per le comunicazioni riguardanti il presente giudizio l'avvocato .... indica il numero fax .... [5].

- ricorrente -

NEI CONFRONTI DI

Il Sig. ...., C.F. ...., residente in ...., via/p.zza .... n. ....,

- resistente -

ESPONE CHE

– l'odierna ricorrente contraeva matrimonio con il Sig. .... in data e, a seguito di dissapori insanabili che rendevano impossibile la prosecuzione della convivenza, le parti divorziavano con sentenza del ...., resa dal Tribunale di ....;

– detta sentenza disponeva un assegno di mantenimento dell'importo di Euro .... in favore dell'esponente;

– dalla data del ...., il Sig. .... è in pensione, dopo aver lavorato presso ...., con mansioni di ...., dalla data del .... alla data del ....;

– pertanto per n. .... anni il rapporto coniugale tra le parti ha coinciso con il rapporto di lavoro in questione, sicché l'istante ha diritto, ai sensi dell'art. 12-bis, l. div., ad una quota corrispondente al 40% del relativo importo per tali anni [6];

– il Sig. ...., tuttavia, nonostante la richiesta stragiudiziale della ricorrente, non ha provveduto alla corresponsione della somma dovuta;

P.T.M.

Si richiede all'Ill.mo Tribunale adito di disporre il pagamento in favore della ricorrente della somma corrispondente al 40% del T.F.R. del Sig. .... nel periodo ricompreso dal .... al ...., con vittoria di spese.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1]In base all'art. 2 del d.m. 7 agosto 2023, n. 110 “Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile”, al fine di assicurare la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali in conformità a quanto prescritto dall'articolo 121 del codice di procedura civile, i ricorsi sono redatti con la seguente articolazione: a) intestazione, contenente l'indicazione dell'ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta e della tipologia di atto; b) parti, comprensive di tutte le indicazioni richieste dalla legge; c) parole chiave, nel numero massimo di venti, che individuano l'oggetto del giudizio; d) nelle impugnazioni, estremi del provvedimento impugnato con l'indicazione dell'autorita giudiziaria che lo ha emesso, la data della pubblicazione e dell'eventuale notifica; e) esposizione distinta e specifica, in parti dell'atto separate e rubricate, dei fatti e dei motivi in diritto, nonché, quanto alle impugnazioni, individuazione dei capi della decisione impugnati ed esposizione dei motivi; f) nella parte in fatto, puntuale riferimento ai documenti offerti in comunicazione, indicati in ordine numerico progressivo e denominati in modo corrispondente al loro contenuto, preferibilmente consultabili con apposito collegamento ipertestuale; g) con riguardo ai motivi di diritto, esposizione delle eventuali questioni pregiudiziali e preliminari e di quelle di merito, con indicazione delle norme di legge e dei precedenti giurisprudenziali che si assumono rilevanti; h) conclusioni, con indicazione distinta di ciascuna questione pregiudiziale, preliminare e di merito e delle eventuali subordinate; i) indicazione specifica dei mezzi di prova e indice dei documenti prodotti, con la stessa numerazione e denominazione contenute nel corpo dell'atto, preferibilmente consultabili con collegamento ipertestuale; l) valore della controversia; m) richiesta di distrazione delle spese; n) indicazione del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L'art. 3 lett. a) precisa che la memoria deve avere un'estensione massima di 80.000 caratteri, salvi gli elementi esclusi dall'art. 4, e ferma restando (ex art. 5) la possibilità di superare detti limiti se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti, ipotesi nella quale il difensore espone sinteticamente nell'atto le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento dei limiti. Il richiamato Regolamento non trova applicazione nelle controversie di valore superiore a 500.000 euro e, dunque, non opererebbe in quelle di valore indeterminabile, ricorrenti nel contenzioso familiare.

[2]In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati: le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., in l. n. 111/2011).

[3]A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore, è sufficiente l'indicazione del numero di fax, poiché l'indirizzo PEC è un dato ormai acquisito nei rapporti con la cancelleria: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dalla l. n. 114/2014.

[4]L'indicazione del C.F. dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata.

[5]L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. Ai sensi del citato art. 13, comma 3-bis: “Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax  .... ovvero qualora la parte ometta di indicare il C.F. .... il contributo unificato è aumentato della metà”.

[6]La quota in questione deve riferirsi all'importo netto percepito dall'ex coniuge a titolo di T.F.R. (Cass. n. 24421/2013).

Commento

Ai sensi dell'art. 12-bis, l. div. il coniuge divorziato, che non ha contratto un nuovo matrimonio e che sia titolare dell'assegno di divorzio, ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. La percentuale è pari al 40% dell'indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro ha coinciso con il matrimonio. Il diritto sorge anche se il trattamento spettante all'altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio e prima dell'emissione della relativa sentenza (cfr. Galizia Danovi, Divorzio giudiziale, in ilfamiliarista.it). Per vero, è stato costantemente ribadito, in sede di legittimità, che l'espressione, contenuta nell'art. 12-bis, l. n. 898/1970, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del T.F.R. anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza” implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il T.F.R. sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando ancora non possono esservi soggetti titolari dell'assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che abbia dichiarato dovuta la prestazione. Infatti, poiché la ratio della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all'assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell'assegno di divorzio, ove l'indennità sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno è riconnessa l'attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. (Cass. I, n. 12175/2011).

In passato la S.C. aveva affermato che il procedimento segue le forme di quello in camera di consiglio exartt. 737 e ss. c.p.c. e si conclude, peraltro, con una decisione idonea al giudicato (v. Cass. n. 30200/2011).

Occorre dunque interrogarsi se oggi trovino applicazione le norme sul rito unitario in materia familiare, come sembra desumersi dalla vocazione generale dell'art. 473-bis c.p.c. quanto al relativo ambito applicativo, oppure, come appare più opportuno per esigenze di celerità proprie di un contenzioso di carattere documentale, possano continuare ad applicarsi le norme generali sui procedimenti in camera di consiglio dettate dai predetti artt. 737 e ss. c.p.c.

La S.C. ha chiarito che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (c.d. incentivi all'esodo), non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito da lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto, e rientrano quindi nell'ambito di applicazione dell'art. 12-bis, l. n. 898/1970 (Cass. sez. lav., n. 14171/2016).

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