Istanza per il mantenimento del cognome del marito

Rosaria Giordano

Inquadramento

La pronuncia di divorzio determina la cessazione ex nunc dello status di coniuge. Tra gli altri effetti di tale decisione vi è la perdita da parte della moglie del diritto al cognome del coniuge che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio. Il Tribunale può autorizzare, con la sentenza di divorzio, la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito, quando sussista un interesse proprio o dei figli meritevole di tutela. La suddetta decisione può essere modificata con una successiva pronuncia per motivi di particolare gravità su istanza di una delle parti (cfr. Muscio, Divorzio: presupposto ed effetti, in ilfamiliarista.it).

Formula

TRIBUNALE DI ...

ISTANZA PER LA CONSERVAZIONE DEL COGNOME EX ART. 5, L. DIV.

La Sig.ra ..., rappresentata e difesa come in atti;

-ricorrente-

NEI CONFRONTI DI

Il Sig. ..., rappresentato e difeso come in atti;

-resistente-

ESPONE CHE

Tra le parti pende giudizio di divorzio al numero R.G. ... .

La ricorrente, pur non avendo formulato la relativa domanda già con la memoria difensiva a fronte dell'avverso ricorso per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio depositato dal Sig. ..., ha interesse a conservare, anche dopo lo scioglimento del vincolo coniugale con il divorzio, il cognome del marito.

Tale richiesta è giustificata perché i coniugi durante il matrimonio hanno sempre lavorato insieme come liberi professionisti e, pertanto, nell'ambiente lavorativo la ricorrente è conosciuta con il cognome del marito, sicché la perdita del diritto all'utilizzo dello stesso potrebbe comportare una riduzione significativa della clientela [1].

Invero, occorre a riguardo considerare che ... .

P.T.M.

Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, anche previa convocazione delle parti, disporre nella sentenza di divorzio il diritto della parte istante alla conservazione del cognome del marito.

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

1. In sede applicativa si è evidenziato che l'interesse al mantenimento del cognome del coniuge dopo il divorzio risulta meritevole di tutela qualora riguardi la sfera del lavoro professionale, commerciale o artistico della moglie, oppure, ancora, in considerazione di profili di identificazione sociale e di vita di relazione meritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole (la cui identificazione con un cognome diverso possa essere causa di nocumento). L'indagine circa la sussistenza di siffatti presupposti può essere effettuata sulla base di documenti attinenti agli ambiti della vita privata della coniuge che possono assumere rilievo in tal senso, come quelli che riguardano la salute della medesima (ad esempio certificati medici dai quali risulta una almeno prevalente intestazione alla donna con il cognome del marito), la vita professionale egli affari. Qualora risulti da tale documentazione - e l'indagine può e deve riguardare tutti i documenti prodotti dalla controparte anche a scopo diverso, come la stessa procura alle liti - che l'utilizzo del cognome del marito non assume, rispetto allo svolgimento della vita della moglie, un rilievo preminente rispetto ai profili sopra menzionati, non ne sussiste a favore della medesima il diritto alla conservazione (Trib. Milano IX, 28 aprile 2009, n. 5644, in Guida dir., 2009, 38, 41).

Commento

La pronuncia di divorzio determina la cessazione ex nunc dello status di coniuge. Tra gli altri effetti di tale decisione, vi è la perdita da parte della moglie del diritto al cognome del coniuge che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio. Il Tribunale può autorizzare, con la sentenza con cui pronuncia il divorzio, la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito, quando sussista un interesse proprio o dei figli meritevole di tutela. La suddetta decisione può essere modificata con successiva pronuncia per motivi di particolare gravità su istanza di una delle parti (cfr. Muscio, Divorzio: presupposto ed effetti, in ilfamiliarista.it).

L'autorizzazione alla conservazione del cognome, come prevista dall'art. 5, l. n. 898/1970, costituisce un'ipotesi eccezionale, che non può prescindere dal riscontro, da parte del Giudice, di un interesse meritevole di tutela sotteso alla stessa (Cass. I, n. 21706/2015, in Ilfamiliarista, 16 giugno 2016, con nota di Cecchi).

Peraltro, è stato chiarito che la sentenza che abbia pronunciato il divorzio, ancorché comporti per la moglie la perdita del cognome maritale, acquisito con le nozze, ove non contenga alcuna statuizione in ordine all'uso di detto cognome da parte della moglie, non costituisce titolo sufficiente per ottenere l'esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c., della relativa inibitoria nei confronti della donna che, malgrado il divorzio, continui ad usare il cognome dell'ex coniuge, essendo a tal fine necessaria un'esplicita enunciazione del divieto dell'uso (Cass. I, n. 12160/1990).

In caso di violazione da parte della moglie divorziata del divieto di uso del cognome del marito, quest'ultimo, può, ai sensi dell'art. 7 c.c., chiedere la cessazione del fatto lesivo ed altresì adire per il risarcimento del danno; tuttavia, mentre per l'inibitoria è sufficiente che l'attore dimostri, oltre all'uso illegittimo del proprio nome, la possibilità che da ciò gli derivi un pregiudizio (che può essere, quindi, meramente potenziale, ovvero di ordine solo morale), ai fini dell'azione risarcitoria, devono sussistere gli estremi soggettivi ed oggettivi dell'illecito aquiliano ai sensi dell'art. 2043 c.c.: non è quindi soltanto necessaria l'esistenza di un pregiudizio effettivo, ma quest'ultimo, se non ha carattere patrimoniale, è risarcibile, ex art. 2059 c.c., soltanto ove nella condotta dell'indebita utilizzatrice sia configurabile un illecito penalmente sanzionato (Cass. I, n. 8081/1994).

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