Ricorso per il rientro del minore illecitamente sottratto

Rosaria Giordano

Inquadramento

In virtù dell'elaborazione relativa alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, il trasferimento transfrontaliero è considerato illecito quando avviene in violazione del diritto di affidamento che al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, o avrebbe potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Di regola, nell'ipotesi di sottrazione illecita di minori, è conservata, dall'art. 9 del Regolamento UE n. 1111/2019, la competenza giurisdizionale al Giudice dello Stato membro nel quale il minore risiedeva abitualmente immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato rientro, salve alcune ipotesi tassative indicate dalla stessa norma.

Formula

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ....

RICORSO AI SENSI DELL'ART. 22 DEL REGOLAMENTO UE N. 1111/2019 [1]

La Sig.ra [2]...., nata a .... il .... (C.F. ....) [3], residente in ...., via/piazza .... n. ...., elettivamente domiciliata in ...., via ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [4]...., C.F. ...., fax .... [5], che la rappresenta e difende in forza di procura alle liti in calce al presente atto;

ESPONE CHE

– in data ...., nell'ambito della separazione giudiziale tra l'istante ed il Sig. ...., il Giudice istruttore, con provvedimento temporaneo alla prima udienza di comparizione, affidava in via esclusiva la figlia minore .... alla ricorrente, con possibilità per il padre di tenerla presso di sé due fine settimana al mese;

– il Sig. ...., cittadino francese, dopo la separazione è rientrato nel proprio Paese d'origine trasferendo ivi la propria residenza ed attività lavorativa;

– in seguito a ciò, il Sig. .... ha ridotto la frequentazione con la minore .... a sporadici incontri e la stessa ha radicato ancor più il centro affettivo dei propri interessi in Italia, nella città di ...., dove è nata ed ha vissuto sino all'età di sette anni;

– peraltro, il Sig. ...., in occasione di una visita alla minore in data ...., circa due mesi fa, non ha riconsegnato .... all'istante ed ha fatto perdere ogni traccia di sé, anche presso il proprio datore di lavoro;

– a seguito di ricerche compiute anche con l'ausilio delle Autorità centrali, la ricorrente ha scoperto che il resistente ha condotto .... in Spagna, nella città di ...., dove vivono insieme da alcune settimane;

– ritenuto che permanga la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana ex art. 11 del Regolamento UE n. 2201/2003, ivi essendo rimasta ferma la residenza abituale della figlia minore .... [6];

CHIEDE CHE

l'Ill.mo Tribunale adito, previa fissazione dell'udienza di comparizione delle parti ed audizione della minore [7], voglia ordinare l'immediato rientro di .... in Italia [8], con vittoria di spese.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

Si depositano:

1. ....;

2. ....;

3. .....

PROCURA

Delego a rappresentarmi e difendermi con riguardo alla redazione del presente ricorso e degli altri atti del procedimento l'Avv. ...., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ...., via .... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge.

Per autentica della sottoscrizione ....

Firma Avv. ....

[1]In base all'art. 2 del d.m. 7 agosto 2023, n. 110 “Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile”, al fine di assicurare la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali in conformità a quanto prescritto dall'articolo 121 del codice di procedura civile, il ricorso è redatto con la seguente articolazione: a) intestazione, contenente l'indicazione dell'ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta e della tipologia di atto; b) parti, comprensive di tutte le indicazioni richieste dalla legge; c) parole chiave, nel numero massimo di venti, che individuano l'oggetto del giudizio; d) nelle impugnazioni, estremi del provvedimento impugnato con l'indicazione dell'autorità giudiziaria che lo ha emesso, la data della pubblicazione e dell'eventuale notifica; e) esposizione distinta e specifica, in parti dell'atto separate e rubricate, dei fatti e dei motivi in diritto, nonché, quanto alle impugnazioni, individuazione dei capi della decisione impugnati ed esposizione dei motivi; f) nella parte in fatto, puntuale riferimento ai documenti offerti in comunicazione, indicati in ordine numerico progressivo e denominati in modo corrispondente al loro contenuto, preferibilmente consultabili con apposito collegamento ipertestuale; g) con riguardo ai motivi di diritto, esposizione delle eventuali questioni pregiudiziali e preliminari e di quelle di merito, con indicazione delle norme di legge e dei precedenti giurisprudenziali che si assumono rilevanti; h) conclusioni, con indicazione distinta di ciascuna questione pregiudiziale, preliminare e di merito e delle eventuali subordinate; i) indicazione specifica dei mezzi di prova e indice dei documenti prodotti, con la stessa numerazione e denominazione contenute nel corpo dell'atto, preferibilmente consultabili con collegamento ipertestuale; l) valore della controversia; m) richiesta di distrazione delle spese; n) indicazione del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L'art. 3 lett. a) precisa che il ricorso deve avere un'estensione massima di 80.000 caratteri, salvi gli elementi esclusi dall'art. 4, e ferma restando (ex art. 5) la possibilità di superare detti limiti se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti, ipotesi nella quale il difensore espone sinteticamente nell'atto le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento dei limiti. Il richiamato Regolamento non trova applicazione nelle controversie di valore superiore a 500.000 euro e, dunque, sembra anche per le cause di valore indeterminabile, tra le quali sono frequenti quelle in materia familiare.

[2]Trova applicazione la regola generale di cui all'art. 125 c.p.c. per la quale il ricorso deve essere corredato dall'indicazione delle parti.

[3]In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[4]A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dalla l. n. 114/2014.

[5]L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. Ai sensi del citato art. 13, comma 3-bis: «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax .... ovvero qualora la parte ometta di indicare il C.F. .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6]In linea generale è conservata, nell'ipotesi di sottrazione illecita di minori, la competenza giurisdizionale al Giudice dello Stato membro nel quale il minore risiedeva abitualmente immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato rientro. Tuttavia l'art. 9 del Regolamento UE n. 1111/2019 individua una serie di ipotesi nelle quali, purché il minore abbia acquisito ormai la residenza abituale del luogo nel quale è stato illecitamente trasferito, scatta la competenza dello Stato membro della nuova residenza abituale. A tal fine è necessario che ricorra, alternativamente, almeno una delle seguenti condizioni: a) se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato ritorno oppure b) se il minore ha soggiornato in quell'altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e sia soddisfatta almeno una delle condizioni seguenti: i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro; ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i); iii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata respinta da un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro per motivi diversi da quelli di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), o all'articolo 13, comma 2, della convenzione dell'Aia del 1980 e tale decisione non è più soggetta a impugnazione ordinaria; iv) non è stata adita alcuna autorità giurisdizionale a norma dell'articolo 29, paragrafi 3 e 5, nello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno; v) l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno ha reso una decisione sul diritto di affidamento che non comporta il ritorno del minore (in arg. Honorati, La proposta di revisione del Regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell'esecuzione delle decisioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, n. 2, 247, spec. 252).

[7]Tale procedimento deve essere seguito nell'ipotesi in cui a fronte del trasferimento illecito di un minore una persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino l'ordine di rimpatrio del minore nello Stato membro nel quale aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno è regolato dagli artt. 22 e ss. del Reg. UE n. 1111/2019.

[8]Il procedimento è esente dal pagamento del contributo unificato, mentre deve essere corrisposta una domanda di marca da bollo di Euro 27,00.

Commento

Il procedimento per la decisione sulla domanda del minore che è stato oggetto illegittimamente trasferito all'estero è regolato essenzialmente dagli artt. da 24 a 27 del Regolamento UE n. 1111/2019.

Il primo e fondamentale principio cui lo stesso è informato è quello della celerità che impone che la decisione entro sei settimane dal momento nel quale l'autorità giurisdizionale è stata adita, termine derogabile solo in presenza di circostanze eccezionali.

La coessenziale esigenza di celerità del procedimento in esame è coerente con la scelta, nel nostro sistema processuale interno, dello schema duttile del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.

Il modello processuale di riferimento è infatti quello di cui alla legge n. 64/1994, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e che, pertanto, il procedimento volto al rientro del minore trasferito illegittimamente all'estero sia modellato, almeno nel nostro sistema nazionale, sul rito camerale e sommario tipico della giurisdizione volontaria.

Nondimeno, resta fermo che anche in tale procedimento al fine dell'osservanza del principio del contraddittorio occorre che sia fissata udienza in camera di consiglio e che la persona presso la quale si trova il minore e quella che ha presentato la richiesta siano informate dell'udienza e siano poste in grado di parteciparvi (Cass. I, n. 23631/2022).

Pertanto, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 738 c.p.c. con riferimento al modello generale dei procedimenti in camera di consiglio, l'istruttoria ha carattere inquisitorio e si svolge con le modalità ritenute congrue dal Giudice, entro i limiti consentiti dalla cognizione sommaria che caratterizza il procedimento.

Invero, l'ultimo comma dell'art. 738 c.p.c., secondo cui «il Giudice può assumere informazioni», implica che il Giudice, senza che sia necessario il ricorso alle fonti di prova disciplinate dal codice di rito, risulta di fatto svincolato dalle iniziative istruttorie delle parti e procede con i più ampi poteri inquisitori, i quali si estrinsecano attraverso l'assunzione di informazioni che, espressamente consentita dalla menzionata disposizione, non resta subordinata all'istanza di parte. Inoltre, tale assunzione, essendo oggetto di una mera facoltà, non implica alcun obbligo per il Giudice, sicché la mancata estensione dell'indagine non determina l'inosservanza delle norme disciplinanti il procedimento camerale e risulta incensurabile in Cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in ordine al mancato esercizio della predetta facoltà, soprattutto quando la decisione si fondi sopra elementi istruttori raccolti aliunde rispetto alle informazioni dell'art. 738 c.p.c. e dei quali il Giudice, attraverso la motivazione, abbia dato esauriente conto (v., tra le altre, Cass. n. 14227/2004; Cass. n. 1947/1999).

Tuttavia, resta fermo l'onere del ricorrente di allegare in modo specifico i fatti costitutivi della fattispecie invocata, che il Giudice non può integrare d'ufficio (Cass. n. 19197/2015).

Inoltre, mediante l'esercizio dei poteri istruttori officiosi il Giudice non può supplire all'onere probatorio vertente in capo alle parti, né svolgere indagini di carattere esplorativo (Cass. n. 4412/2015).

Più in generale, sulla questione, nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che nel procedimento camerale, il Giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti ex art. 183, comma 4, e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi ex art. 738, comma 3, sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 4412/2015).

Rientra invece nel potere-dovere del Giudice verificare l'attendibilità di tali allegazioni attraverso indagini di ufficio e, in particolare, acquisizioni di informazioni e documenti (v., di recente, Cass. n. 7333/2015).

Sotto altro profilo, nei procedimenti camerali non operano le preclusioni istruttorie proprie del giudizio ordinario di cognizione, sicché documenti nuovi possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza di comparizione delle parti (con onere della controparte di chiedere un eventuale termine o rinvio dell'udienza per contro dedurre: Cass. n. 20670/2005). Pertanto, è possibile decidere in base a documenti depositati tardivamente, a condizione che sui medesimi si sia instaurato pieno e completo contraddittorio (Cass. n. 5876/2012).

I procedimenti in camera di consiglio sono decisi dal collegio: peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che il principio generale, secondo cui un Giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale, in difetto di esplicite norme contrarie trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato, tenuto anche conto del fatto che la delega comunque non concerne l'ammissione delle prove, demandata al Giudice collegiale, il quale Soltanto può valutarne l'ammissibilità e la rilevanza, bensì la loro mera assunzione (Cass. S.U., n. 5629/1996).

La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha chiarito, sotto altro profilo, che l'ordine di ritorno del minore emesso da parte del Giudice dello Stato della residenza abituale dello stesso prima del trasferimento illecito ai sensi del § 8 della disposizione in esame non presuppone una decisione definitiva sull'affidamento, poiché tale interpretazione non trova fondamento testuale nell'art. 11 del Regolamento (CGUE 1° luglio 2010, in causa C-211/10).

L'art. 26 del Regolamento UE n. 1111/2019 ribadisce che l'art. 21 dello stesso, che prevede il diritto del minore ad essere ascoltato, trova applicazione anche nei procedimenti in esame.

È opportuno ricordare che in ordine all'ascolto del minore, previsto già dall'art. 11 del Regolamento CE n. 2201/2003, in una prima fase si era affermato, con riguardo alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, che nel procedimento per il mancato illecito rientro nella originaria residenza abituale l'audizione del minore non è imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura; anche in tale procedura, peraltro, l'audizione è opportuna, se possibile come specificamente previsto dall'art. 11, comma 2, Regolamento CE n. 2201/2003. Ne deriva, secondo detta impostazione interpretativa, anche nel procedimento in questione l'audizione del minore è in via generale necessaria, onde poter valutare, ai sensi dell'art. 13, comma 2, della Convenzione dell'Aja l'eventuale opposizione del minore al ritorno, salvo ragioni di inopportunità per età o grado di maturità e, a fortiori, di danno per quest'ultimo (Cass. I, n. 12293/2010).

In seguito è decisamente prevalsa nella giurisprudenza della S.C. – anche in ragione del generale principio enunciato da Cass. S.U., n. 22238/2009 – la diversa e più garantista impostazione interpretativa per la quale nel procedimento per la sottrazione internazionale di minore, l'ascolto di quest'ultimo (che può essere espletato anche da soggetti diversi dal Giudice, secondo le modalità dal medesimo stabilite) costituisce adempimento necessario ai fini della legittimità del decreto di rimpatrio ai sensi dell'art. 315-bis c.c. e degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata con l. n. 77/2003), essendo finalizzato, ex art. 13, comma 2, della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, anche alla valutazione della sua eventuale opposizione al rimpatrio, salva la sussistenza di particolari ragioni (da indicarsi specificamente) che ne sconsiglino l'audizione, ove essa possa essere dannosa per il minore stesso, tenuto conto, altresì, del suo grado di maturità (Cass. I, n. 3319/2017). In vero, in caso di opposizione del minore al rientro, è obbligatoria la considerazione di tale volontà ed anche la verifica di tutte le circostanze fattuali capaci di confortarla, impedendo al giudicante di intraprendere una via alternativa, ritenuta dal legislatore sovranazionale idonea a cagionare un pregiudizio evidente allo sviluppo del minore (Cass. I, n. 21055/2022).

Pertanto, l'omessa audizione del minore nel procedimento per la sottrazione internazionale dello stesso costituisce lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c. (Cass. I, n. 7479/2014).

Tuttavia resta ferma la possibilità dell'autorità giudiziaria di procedere all'ascolto diretto del minore come a quello indiretto, ossia tramite un rappresentante o un organismo appropriato (cfr. Liuzzi, 886).

Novità di grande rilievo contemplata dall'art. 25 del Regolamento UE n. 1111/2019 è l'invito – mutuato dall'esperienza positiva di alcuni Stati membri (come l'Olanda) – che prima possibile e comunque in ogni fase del procedimento l'autorità giudiziaria, anche assistita dall'autorità centrale, può invitare le parti a valutare se siano disposte a ricorrere alla mediazione o ad altri mezzi di risoluzione alternativa delle controversie: ciò si pone in una prospettiva collaborativa tra la coppia genitoriale disgregata volta alla ripresa di un dialogo nell'interesse superiore dei minori (Honorati, 261).

Il rischio della mediazione è, peraltro, quello di allungare la durata del procedimento. In questa prospettiva lo stesso art. 25 del Regolamento in esame demanda all'autorità giurisdizionale la valutazione se disporre o meno l'invito, nel senso che lo stesso può non essere effettuato qualora contrasti con l'interesse superiore del minore, non sia appropriato nel caso specifico (ad esempio, nelle ipotesi di violenza domestica: Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 574 ss., § 5) o non ritardi troppo la definizione del procedimento (cfr. Honorati, La proposta di revisione del Regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell'esecuzione delle decisioni, cit., 262, la quale pure ricorda alcune esperienze, come quella dell'ordinamento olandese, nelle quali la mediazione è realizzata in tempi brevissimi).

Il rispetto del termine di sei settimane per la decisione sul rientro del minore comporta, secondo attenta dottrina, che la mediazione debba svolgersi parallelamente al relativo procedimento (Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, cit., § 5).

Si è osservato che è criticabile, nella prospettiva di incentivare la mediazione nella quale pure si pone il nuovo Regolamento, l'assenza di riferimenti alle proposte delle istituzioni al Mediatore europeo, istituito dal Parlamento nel 1987, per i casi di sottrazione internazionale (cfr. Carpaneto, La ricerca di una (nuova) sintesi tra interesse superiore del minore “in astratto” e “in concreto” nella riforma del Regolamento Bruxelles II-bis, in Riv. dir. int. priv. proc., 2018, n. 4, 944 ss., spec. 970, per la quale un riferimento in tale direzione avrebbe consentito di renderne almeno nota l'esistenza).

Sebbene non espressamente richiamato, come avveniva ad opera dell'art. 11 del Reg. CE n. 2201/2003, deve ritenersi che continui a trovare applicazione per la decisione sul ritorno del minore anche l'art. 12 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori.

Il principio espresso dalla norma è in sostanza quello secondo cui il Giudice dello Stato in cui il minore è stato illecitamente condotto ha l'obbligo di disporne l'immediato rientro nella residenza abituale, salvo si configurino le circostanze eccezionali, tassativamente previste dalla convenzione, che renderebbero il ritorno non più corrispondente all'interesse dello stesso. In particolare, si tratta del caso in cui la domanda di ritorno sia presentata dopo un anno dal trasferimento illecito, ove il minore si sia nel frattempo integrato nel nuovo ambiente nel quale si trova (art. 12, § 2), e delle tre ipotesi previste dal successivo art. 13 della medesima Convenzione, ossia: il genitore affidatario di fatto non esercitava il diritto di custodia al momento della sottrazione o aveva prestato il proprio consenso al trasferimento; il ritorno nella residenza abituale esporrebbe il minore al rischio di pericoli fisici o psichici o di trovarsi in una situazione intollerabile; il minore ha manifestato, nel corso del procedimento di rimpatrio, la propria opposizione al rientro nella residenza abituale (cfr. Pesce, Finalità e oggetto del «riesame» della domanda di ritorno di un minore sottratto, in base al Reg. CE n. 2201/2003, in Nuova giur. civ. comm., 2011, n. 2, 1016).

In accordo con la giurisprudenza di legittimità, il ritorno del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché vengano concretamente accertati dal tribunale per i minorenni l'effettivo esercizio, al momento del trasferimento, del diritto di affidamento da parte del richiedente, che prescinde da ogni rilievo in ordine al ripristino della situazione corrispondente all'affidamento legale, nonché l'insussistenza di una situazione intollerabile e di pericolo, non solo fisico ma anche psicologico, per il minore (cfr. Cass. I, n. 16043/2015, la quale ha cassato il decreto del Tribunale per i Minorenni con il quale veniva disposto il rimpatrio della figlia di un'italiana e di un cittadino statunitense affetto da alcolismo, tratto in arrestato e più volte ricoverato in centri di riabilitazione).

Invero, sempre nella giurisprudenza di legittimità, si è precisato, che, in tema di sottrazione internazionale di minori, il ritorno del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché ricorra l'indispensabile presupposto dell'effettivo esercizio, in modo non episodico ma continuo, del diritto di affidamento da parte del richiedente al momento del trasferimento del minore, sicché il Giudice è tenuto ad accertare la sussistenza di tale presupposto puntualmente ed in concreto, non essendo sufficiente una valutazione solo in astratto, sulla base del regime legale di esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. I, n. 6139/2015).

In particolare, l'Autorità giudiziaria od amministrativa dello Stato estero richiesto di rimpatriare il minore, illecitamente colà trasferito, non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora sussista la situazione intollerabile di cui all'art. 13 § 1 lett. b) della convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, situazione che può essere determinata anche da rapporti, fra i genitori, connotati da un conflitto irrimediabile, oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile, poiché un conflitto siffatto è concretamente idoneo ad incidere in modo estremamente negativo sul benessere psicofisico del minore, che è puntualmente tutelato anche dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (Cass. I, n. 16549/2010, in Dir. fam. 2012, n. 1, 83, con nota di Salzano).

In sede applicativa si è osservato, a riguardo, che le situazioni ostative, anche nel caso di minori neonati o di età tenerissima, non devono ridursi a meri disagi temporanei od a transitorie reazioni emotive, ma consistere in oggettivi rischi di pericolo psicofisico, poiché, diversamente opinando, si dovrebbe sempre negare il rimpatrio degli infanti condotti arbitrariamente altrove dalla madre, in ragione dell'ovvio rapporto che sussiste in questi casi tra la genitrice ed il piccolo nato (Trib. min. Milano 30 aprile 2010, in Dir. fam. 2011, n. 1, 220, con nota di Salzano).

La pronuncia appare conforme al più generale orientamento affermato all'interno della giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di sottrazione internazionale del minore, il Giudice, cui sia stato richiesto di emettere un provvedimento di rientro nello Stato di residenza del minore illecitamente sottratto, nell'accertare se sussista il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo rientro, a pericoli psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile (ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. b, della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 15 gennaio 1994, n. 64), deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, sicché egli non può dar peso al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado – richiesto dalla citata norma convenzionale – del pericolo psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore (Cass. n. 6081/2006).

Al contempo, tuttavia, al fine di escludere ai sensi della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 la sussistenza delle condizioni ostative al rientro del minore nello Stato dove abitualmente risiede ed in particolare al fine di ritenere non sussistente il fondato rischio per il minore di essere esposto a pericoli fisici o psichici o, comunque di trovarsi in una situazione intollerabile, non sono sufficienti le valutazioni (ancorché approfondite) compiute dalle autorità competenti dello Stato di residenza del minore, ma sono necessari ulteriori accertamenti (da svolgere anche mediante indagine tecnica) da parte del Giudice italiano, tanto più necessarie alla luce del fermo rifiuto del minore espresso univocamente in sede di audizione, ancorché a una età (nella specie dieci anni e mezzo) nella quale ancora non si presume la capacità di discernimento e ancorché il minore stesso pur affermando di avere paura del padre affidatario non sia stato in grado di spiegarne le ragioni e avendo lo stesso dimostrato, in occasione di incontri protetti una buona relazione con il padre stesso, improntata a confidenzialità e alla esclusione di segni di disagio (Cass. I, n. 18848/2016).

L'onere di provare la sussistenza della condizione ostativa al rientro incombe sul soggetto che si oppone al ritorno (Cass. I, n. 19544/2003).

In ogni caso, l'autorità giurisdizionale adita non può disporre il ritorno del minore se la persona che lo richiede non ha avuto la possibilità di essere sentita (art. 27, § 1), né se tale parte fornisce prove sufficienti o la stessa autorità giurisdizionale è altrimenti convinta che sono state previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno (art. 27, § 3).

Secondo una parte della dottrina quest'ultima previsione, sostanzialmente contemplata anche dall'art. 11 del Regolamento CE n. 2201/2003, pone a carico delle Autorità dello Stato di originaria residenza abituale del minore un vero e proprio obbligo di valutare la necessità di adottare misure cautelari al fine di ottenere la «restituzione senza pericolo», ossia il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di permanervi in una situazione protetta (Caamiña Dominguez, La «supresión» del exequátur en el R. 2201/2003, in Quadernos de derecho transnacional 2011, n. 3, 63 ss.).

Per alcuni le misure adeguate cui fa riferimento l'art. 27 del Regolamento in commento devono essere concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla protezione giuridica, materiale e psicologica del minore, sicché non è di per sé sufficiente che l'ordinamento giuridico dello Stato di residenza abituale preveda la possibilità di adottare, in astratto, provvedimenti di protezione (De La Rosa Cortina, Sustracción parental de menores. Aspectos civiles, penales, procesales e internacionlaes, Valencia, 2010, 201).

Peraltro, si è evidenziato, in una differente prospettiva interpretativa, che, se le Autorità dello Stato nel quale il minore è stato illegittimamente condotto adducessero, a fondamento del diniego di rimpatrio, la mancata dimostrazione circa l'effettiva adozione di misure protettive, prima del rientro del minore, da parte dell'Autorità dello Stato di residenza abituale, ciò finirebbe per svalutare il principio di fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità degli Stati Membri dell'Unione Europea. La negazione del ritorno per tale motivo, invero, equivarrebbe a sfiducia nella capacità e prontezza delle autorità giurisdizionali dello Stato di origine di applicare prontamente le misure di tutela e, quindi, nell'intero sistema di protezione (Jiménez-Blanco, Litigios sobre la custodia y sustracción internacional de menores, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2008, 141 ss.).

In virtù di quanto precisato dal considerando 45 al Regolamento UE n. 1111/2109, tali misure possono includere, ad esempio, un provvedimento giudiziario dello Stato membro in cui il minore dovrebbe far ritorno che vieti all'istante di avvicinarsi al minore, un provvedimento provvisorio, anche di natura cautelare, di quello Stato membro che consenta al minore di restare con il genitore sottrattore che ne ha l'affidamento effettivo fino a quando non sia adottata una decisione di merito relativa al diritto di affidamento in quello Stato membro dopo il ritorno, o la dimostrazione della disponibilità di strutture mediche per un minore bisognoso di cure (Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, cit., § 5, il quale sottolinea che la scelta dovrà cadere sulla misura più adeguata ad evitare la concretizzazione del rischio nell'ipotesi di rientro del minore).

Una significativa novità del Regolamento UE n. 1111/2019, è poi l'attribuzione, in una prospettiva di collaborazione, al Giudice che dispone il rientro del minore del potere, in caso di necessità, di adottare provvedimenti provvisori che siano in grado di proteggere il minore dal grave rischio ex art. 13, comma 1, della richiamata Convenzione dell'Aja: l'individuazione delle misure di protezione più adeguate nel caso concreto è quindi rimessa anche all'autorità che decide sul rientro (art. 27, comma 5). Ciò comporta che anche quando il Giudice dello Stato di rifugio ritenga che il rientro del minore possa determinare per lo stesso un grave rischio per come individuato dal primo comma, lett. b), dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980, non dovrebbe rifiutare il ritorno solo per tale ragione potendo, in forza del nuovo Regolamento, non solo collaborare attivamente nell'individuazione delle misure di protezione ma assumere egli stesso provvedimenti provvisori necessari ad assicurare un ritorno sicuro del minore (cfr. Honorati, La proposta di revisione del Regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell'esecuzione delle decisioni, cit., 267, la quale sottolinea che quindi è soprattutto il Giudice che abbia accertato l'esistenza di una situazione di rischio che deve farsi carico di evitare che lo stesso si concretizzi così riducendo le ipotesi nelle quali il rientro viene negato per tale ragione).

A titolo esemplificativo il considerando 46 dello stesso Regolamento Bruxelles III-bis annovera, tra i provvedimenti provvisori, la previsione che il minore debba continuare a risiedere con l'effettivo affidatario o la determinazione del modo in cui dovrebbero essere intrattenuti i contatti con il minore dopo il suo ritorno fino a quando l'autorità giurisdizionale della residenza abituale del minore non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati.

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