Memoria difensiva nel procedimento per ottenere l'ordine di rientro del minoreInquadramentoIn considerazione dell'elaborazione relativa alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, il trasferimento transfrontaliero è considerato illecito quando avviene in violazione del diritto di affidamento che al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, o avrebbe potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanza. Di regola, nell'ipotesi di sottrazione illecita di minori, è conservata, dall'art. 9 del Regolamento UE n. 1111/2019, la competenza giurisdizionale al Giudice dello Stato membro nel quale il minore risiedeva abitualmente immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato rientro, salve alcune ipotesi tassative indicate dalla stessa norma. FormulaTRIBUNALE PER I MINORENNI DI ... MEMORIA DIFENSIVA Il Sig. [1] ..., nato a ... il ... (C.F. ...) [2], residente in ..., via/piazza ... n. ..., elettivamente domiciliato in ..., via ..., n. ..., presso lo studio dell'avvocato [3] ..., C.F. ..., fax ... [4], che la rappresenta e difende in forza di procura alle liti in calce al presente atto; ESPONE CHE - in data ..., la Sig.ra ... adiva l'intestato Tribunale con ricorso per ottenere il rimpatrio della figlia minore ..., assumendo un trasferimento illecito della stessa da parte dell'esponente in Spagna; - tale prospettazione dei fatti non corrisponde alla realtà dei fatti, in quanto la minore, pur essendo formalmente affidata in via esclusiva alla madre, già da alcuni mesi in concreto viveva con l'esponente, nella propria casa di Parigi, e pertanto era sottoposta di fatto alla sua potestà genitoriale in via esclusiva [5] ; - infatti ...; CHIEDE CHE l'Ill.mo Tribunale voglia rigettare il ricorso della Sig.ra ... . Con vittoria di spese. Luogo e data ... Firma Avv. ... Si depositano: 1 ...; 2 ...; 3 ... . PROCURA Delego a rappresentarmi e difendermi con riguardo alla redazione della presente memoria e degli altri atti del procedimento l'Avv. ..., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ..., via ... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge. Per autentica della sottoscrizione Firma Avv. ... 1. Trova applicazione la regola generale di cui all'art. 125 c.p.c., per la quale il ricorso deve essere corredato dall'indicazione delle parti. 2. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio. 3. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c., e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dalla l. n. 114/2014. 4. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. Ai sensi del citato art. 13, comma 3-bis: «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ... ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà». 5. A riguardo, la S.C. ha infatti precisato che in tema di illecita sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore, il trattenimento del figlio minore da parte di un genitore, pur in presenza dell'esercizio congiunto del diritto di custodia da parte di entrambi i genitori, deve ritenersi illecito, alla luce della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, come integrata dal Reg. CE n. 2201/2003 (diciassettesimo "considerando"), se contrasta con la situazione di fatto - concordemente e convenzionalmente accettata dai genitori - sulla base della presunzione secondo la quale l'interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana (Cass. I, n. 1527/2013). CommentoIl procedimento per la decisione sulla domanda del minore che è stato oggetto illegittimamente trasferito all'estero è regolato essenzialmente dagli artt. da 24 a 27 del Regolamento UE n. 1111/2019. Il primo e fondamentale principio cui lo stesso è informato è quello della celerità che impone che la decisione entro sei settimane dal momento nel quale l'autorità giurisdizionale è stata adita, termine derogabile solo in presenza di circostanze eccezionali. La coessenziale esigenza di celerità del procedimento in esame è coerente con la scelta, nel nostro sistema processuale interno, dello schema duttile del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. Il modello processuale di riferimento è infatti quello di cui alla l. n. 64/1994, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e che, pertanto, il procedimento volto al rientro del minore trasferito illegittimamente all'estero sia modellato, almeno nel nostro sistema nazionale, sul rito camerale e sommario tipico della giurisdizione volontaria. Nondimeno, resta fermo che anche in tale procedimento al fine dell'osservanza del principio del contraddittorio occorre che sia fissata udienza in camera di consiglio e che la persona presso la quale si trova il minore e quella che ha presentato la richiesta siano informate dell'udienza e siano poste in grado di parteciparvi (Cass. I, n. 23631/2022). Pertanto, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 738 c.p.c. con riferimento al modello generale dei procedimenti in camera di consiglio, l'istruttoria ha carattere inquisitorio e si svolge con le modalità ritenute congrue dal Giudice, entro i limiti consentiti dalla cognizione sommaria che caratterizza il procedimento. Invero, l'ultimo comma dell'art. 738 c.p.c., secondo cui «il Giudice può assumere informazioni», implica che il Giudice, senza che sia necessario il ricorso alle fonti di prova disciplinate dal codice di rito, risulta di fatto svincolato dalle iniziative istruttorie delle parti e procede con i più ampi poteri inquisitori, i quali si estrinsecano attraverso l'assunzione di informazioni che, espressamente consentita dalla menzionata disposizione, non resta subordinata all'istanza di parte. Inoltre, tale assunzione, essendo oggetto di una mera facoltà, non implica alcun obbligo per il Giudice, sicché la mancata estensione dell'indagine non determina l'inosservanza delle norme disciplinanti il procedimento camerale e risulta incensurabile in Cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in ordine al mancato esercizio della predetta facoltà, soprattutto quando la decisione si fondi sopra elementi istruttori raccolti aliunde rispetto alle informazioni dell'art. 738 c.p.c. e dei quali il Giudice, attraverso la motivazione, abbia dato esauriente conto (v., tra le altre, Cass. n. 14227/2004; Cass. n. 1947/1999). Tuttavia, resta fermo l'onere del ricorrente di allegare in modo specifico i fatti costitutivi della fattispecie invocata, che il Giudice non può integrare d'ufficio (Cass. n. 19197/2015). Inoltre, mediante l'esercizio dei poteri istruttori officiosi il Giudice non può supplire all'onere probatorio vertente in capo alle parti, né svolgere indagini di carattere esplorativo (Cass. n. 4412/2015). Più in generale, sulla questione, nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che nel procedimento camerale, il Giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti ex art. 183, comma 4, e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi ex art. 738, comma 3, sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 4412/2015). Rientra invece nel potere-dovere del Giudice verificare l'attendibilità di tali allegazioni attraverso indagini di ufficio e, in particolare, acquisizioni di informazioni e documenti (v., di recente, Cass. n. 7333/2015). Sotto altro profilo, nei procedimenti camerali non operano le preclusioni istruttorie proprie del giudizio ordinario di cognizione, sicché documenti nuovi possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza di comparizione delle parti (con onere della controparte di chiedere un eventuale termine o rinvio dell'udienza per contro dedurre: Cass. n. 20670/2005). Pertanto, è possibile decidere in base a documenti depositati tardivamente, a condizione che sui medesimi si sia instaurato pieno e completo contraddittorio (Cass. n. 5876/2012). I procedimenti in camera di consiglio sono decisi dal collegio: peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che il principio generale, secondo cui un Giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale, in difetto di esplicite norme contrarie trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato, tenuto anche conto del fatto che la delega comunque non concerne l'ammissione delle prove, demandata al Giudice collegiale, il quale Soltanto può valutarne l'ammissibilità e la rilevanza, bensì la loro mera assunzione (Cass. S.U., n. 5629/1996). La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha chiarito, sotto altro profilo, che l'ordine di ritorno del minore emesso da parte del Giudice dello Stato della residenza abituale dello stesso prima del trasferimento illecito ai sensi del § 8 della disposizione in esame non presuppone una decisione definitiva sull'affidamento, poiché tale interpretazione non trova fondamento testuale nell'art. 11 del Regolamento (CGUE 1° luglio 2010, in causa C-211/10). L'art. 26 del Regolamento UE n. 1111/2019 ribadisce che l'art. 21 dello stesso, che prevede il diritto del minore ad essere ascoltato, trova applicazione anche nei procedimenti in esame. È opportuno ricordare che in ordine all'ascolto del minore, previsto già dall'art. 11 del Regolamento CE n. 2201/2003, in una prima fase si era affermato, con riguardo alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, che nel procedimento per il mancato illecito rientro nella originaria residenza abituale l'audizione del minore non è imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura; anche in tale procedura, peraltro, l'audizione è opportuna, se possibile come specificamente previsto dall'art. 11, comma 2, Regolamento CE n. 2201/2003. Ne deriva, secondo detta impostazione interpretativa, anche nel procedimento in questione l'audizione del minore è in via generale necessaria, onde poter valutare, ai sensi dell'art. 13, comma 2, della Convenzione dell'Aja l'eventuale opposizione del minore al ritorno, salvo ragioni di inopportunità per età o grado di maturità e, a fortiori, di danno per quest'ultimo (Cass. I, n. 12293/2010). In seguito è decisamente prevalsa nella giurisprudenza della S.C. – anche in ragione del generale principio enunciato da Cass. S.U., n. 22238/2009 – la diversa e più garantista impostazione interpretativa per la quale nel procedimento per la sottrazione internazionale di minore, l'ascolto di quest'ultimo (che può essere espletato anche da soggetti diversi dal Giudice, secondo le modalità dal medesimo stabilite) costituisce adempimento necessario ai fini della legittimità del decreto di rimpatrio ai sensi dell'art. 315-bis c.c. e degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata con l. n. 77/2003), essendo finalizzato, ex art. 13, comma 2, della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, anche alla valutazione della sua eventuale opposizione al rimpatrio, salva la sussistenza di particolari ragioni (da indicarsi specificamente) che ne sconsiglino l'audizione, ove essa possa essere dannosa per il minore stesso, tenuto conto, altresì, del suo grado di maturità (Cass. I, n. 3319/2017). In vero, in caso di opposizione del minore al rientro, è obbligatoria la considerazione di tale volontà ed anche la verifica di tutte le circostanze fattuali capaci di confortarla, impedendo al giudicante di intraprendere una via alternativa, ritenuta dal legislatore sovranazionale idonea a cagionare un pregiudizio evidente allo sviluppo del minore (Cass. I, n. 21055/2022). Pertanto, l'omessa audizione del minore nel procedimento per la sottrazione internazionale dello stesso costituisce lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c. (Cass. I, n. 7479/2014). Tuttavia resta ferma la possibilità dell'autorità giudiziaria di procedere all'ascolto diretto del minore come a quello indiretto, ossia tramite un rappresentante o un organismo appropriato (cfr. Liuzzi, 886). Novità di grande rilievo contemplata dall'art. 25 del Regolamento UE n. 1111/2019 è l'invito – mutuato dall'esperienza positiva di alcuni Stati membri (come l'Olanda) – che prima possibile e comunque in ogni fase del procedimento l'autorità giudiziaria, anche assistita dall'autorità centrale, può invitare le parti a valutare se siano disposte a ricorrere alla mediazione o ad altri mezzi di risoluzione alternativa delle controversie: ciò si pone in una prospettiva collaborativa tra la coppia genitoriale disgregata volta alla ripresa di un dialogo nell'interesse superiore dei minori (Honorati, 261). Il rischio della mediazione è, peraltro, quello di allungare la durata del procedimento. In questa prospettiva lo stesso art. 25 del Regolamento in esame demanda all'autorità giurisdizionale la valutazione se disporre o meno l'invito, nel senso che lo stesso può non essere effettuato qualora contrasti con l'interesse superiore del minore, non sia appropriato nel caso specifico (ad esempio, nelle ipotesi di violenza domestica: Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 574 ss., § 5) o non ritardi troppo la definizione del procedimento (cfr. Honorati, La proposta di revisione del Regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell'esecuzione delle decisioni, cit., 262, la quale pure ricorda alcune esperienze, come quella dell'ordinamento olandese, nelle quali la mediazione è realizzata in tempi brevissimi). Il rispetto del termine di sei settimane per la decisione sul rientro del minore comporta, secondo attenta dottrina, che la mediazione debba svolgersi parallelamente al relativo procedimento (Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, cit., § 5). Si è osservato che è criticabile, nella prospettiva di incentivare la mediazione nella quale pure si pone il nuovo Regolamento, l'assenza di riferimenti alle proposte delle istituzioni al Mediatore europeo, istituito dal Parlamento nel 1987, per i casi di sottrazione internazionale (cfr. Carpaneto, La ricerca di una (nuova) sintesi tra interesse superiore del minore “in astratto” e “in concreto” nella riforma del Regolamento Bruxelles II-bis, in Riv. dir. int. priv. proc., 2018, n. 4, 944 ss., spec. 970, per la quale un riferimento in tale direzione avrebbe consentito di renderne almeno nota l'esistenza). Sebbene non espressamente richiamato, come avveniva ad opera dell'art. 11 del Reg. CE n. 2201/2003, deve ritenersi che continui a trovare applicazione per la decisione sul ritorno del minore anche l'art. 12 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Il principio espresso dalla norma è in sostanza quello secondo cui il Giudice dello Stato in cui il minore è stato illecitamente condotto ha l'obbligo di disporne l'immediato rientro nella residenza abituale, salvo si configurino le circostanze eccezionali, tassativamente previste dalla convenzione, che renderebbero il ritorno non più corrispondente all'interesse dello stesso. In particolare, si tratta del caso in cui la domanda di ritorno sia presentata dopo un anno dal trasferimento illecito, ove il minore si sia nel frattempo integrato nel nuovo ambiente nel quale si trova (art. 12, § 2), e delle tre ipotesi previste dal successivo art. 13 della medesima Convenzione, ossia: il genitore affidatario di fatto non esercitava il diritto di custodia al momento della sottrazione o aveva prestato il proprio consenso al trasferimento; il ritorno nella residenza abituale esporrebbe il minore al rischio di pericoli fisici o psichici o di trovarsi in una situazione intollerabile; il minore ha manifestato, nel corso del procedimento di rimpatrio, la propria opposizione al rientro nella residenza abituale (cfr. Pesce, Finalità e oggetto del «riesame» della domanda di ritorno di un minore sottratto, in base al Reg. CE n. 2201/2003, in Nuova giur. civ. comm., 2011, n. 2, 1016). In accordo con la giurisprudenza di legittimità, il ritorno del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché vengano concretamente accertati dal tribunale per i minorenni l'effettivo esercizio, al momento del trasferimento, del diritto di affidamento da parte del richiedente, che prescinde da ogni rilievo in ordine al ripristino della situazione corrispondente all'affidamento legale, nonché l'insussistenza di una situazione intollerabile e di pericolo, non solo fisico ma anche psicologico, per il minore (cfr. Cass. I, n. 16043/2015, la quale ha cassato il decreto del Tribunale per i Minorenni con il quale veniva disposto il rimpatrio della figlia di un'italiana e di un cittadino statunitense affetto da alcolismo, tratto in arrestato e più volte ricoverato in centri di riabilitazione). Invero, sempre nella giurisprudenza di legittimità, si è precisato, che, in tema di sottrazione internazionale di minori, il ritorno del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché ricorra l'indispensabile presupposto dell'effettivo esercizio, in modo non episodico ma continuo, del diritto di affidamento da parte del richiedente al momento del trasferimento del minore, sicché il Giudice è tenuto ad accertare la sussistenza di tale presupposto puntualmente ed in concreto, non essendo sufficiente una valutazione solo in astratto, sulla base del regime legale di esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. I, n. 6139/2015). In particolare, l'Autorità giudiziaria od amministrativa dello Stato estero richiesto di rimpatriare il minore, illecitamente colà trasferito, non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora sussista la situazione intollerabile di cui all'art. 13 § 1 lett. b) della convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, situazione che può essere determinata anche da rapporti, fra i genitori, connotati da un conflitto irrimediabile, oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile, poiché un conflitto siffatto è concretamente idoneo ad incidere in modo estremamente negativo sul benessere psicofisico del minore, che è puntualmente tutelato anche dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (Cass. I, n. 16549/2010, in Dir. fam. 2012, n. 1, 83, con nota di Salzano). In sede applicativa si è osservato, a riguardo, che le situazioni ostative, anche nel caso di minori neonati o di età tenerissima, non devono ridursi a meri disagi temporanei od a transitorie reazioni emotive, ma consistere in oggettivi rischi di pericolo psicofisico, poiché, diversamente opinando, si dovrebbe sempre negare il rimpatrio degli infanti condotti arbitrariamente altrove dalla madre, in ragione dell'ovvio rapporto che sussiste in questi casi tra la genitrice ed il piccolo nato (Trib. min. Milano 30 aprile 2010, in Dir. fam. 2011, n. 1, 220, con nota di Salzano). La pronuncia appare conforme al più generale orientamento affermato all'interno della giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di sottrazione internazionale del minore, il Giudice, cui sia stato richiesto di emettere un provvedimento di rientro nello Stato di residenza del minore illecitamente sottratto, nell'accertare se sussista il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo rientro, a pericoli psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile (ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. b, della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 15 gennaio 1994, n. 64), deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, sicché egli non può dar peso al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado – richiesto dalla citata norma convenzionale – del pericolo psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore (Cass. n. 6081/2006). Al contempo, tuttavia, al fine di escludere ai sensi della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 la sussistenza delle condizioni ostative al rientro del minore nello Stato dove abitualmente risiede ed in particolare al fine di ritenere non sussistente il fondato rischio per il minore di essere esposto a pericoli fisici o psichici o, comunque di trovarsi in una situazione intollerabile, non sono sufficienti le valutazioni (ancorché approfondite) compiute dalle autorità competenti dello Stato di residenza del minore, ma sono necessari ulteriori accertamenti (da svolgere anche mediante indagine tecnica) da parte del Giudice italiano, tanto più necessarie alla luce del fermo rifiuto del minore espresso univocamente in sede di audizione, ancorché a una età (nella specie dieci anni e mezzo) nella quale ancora non si presume la capacità di discernimento e ancorché il minore stesso pur affermando di avere paura del padre affidatario non sia stato in grado di spiegarne le ragioni e avendo lo stesso dimostrato, in occasione di incontri protetti una buona relazione con il padre stesso, improntata a confidenzialità e alla esclusione di segni di disagio (Cass. I, n. 18848/2016). L'onere di provare la sussistenza della condizione ostativa al rientro incombe sul soggetto che si oppone al ritorno (Cass. I, n. 19544/2003). In ogni caso, l'autorità giurisdizionale adita non può disporre il ritorno del minore se la persona che lo richiede non ha avuto la possibilità di essere sentita (art. 27, § 1), né se tale parte fornisce prove sufficienti o la stessa autorità giurisdizionale è altrimenti convinta che sono state previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno (art. 27, § 3). Secondo una parte della dottrina quest'ultima previsione, sostanzialmente contemplata anche dall'art. 11 del Regolamento CE n. 2201/200, pone a carico delle Autorità dello Stato di originaria residenza abituale del minore un vero e proprio obbligo di valutare la necessità di adottare misure cautelari al fine di ottenere la «restituzione senza pericolo», ossia il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di permanervi in una situazione protetta (Caamiña Dominguez, La «supresión» del exequátur en el R. 2201/2003, in Quadernos de derecho transnacional, 2011, n. 3, 63 ss.). Per alcuni le misure adeguate cui fa riferimento l'art. 27 del Regolamento in commento devono essere concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla protezione giuridica, materiale e psicologica del minore, sicché non è di per sé sufficiente che l'ordinamento giuridico dello Stato di residenza abituale preveda la possibilità di adottare, in astratto, provvedimenti di protezione (De La Rosa Cortina, Sustracción parental de menores. Aspectos civiles, penales, procesales e internacionlaes, Valencia, 2010, 201). Peraltro, si è evidenziato, in una differente prospettiva interpretativa, che, se le Autorità dello Stato nel quale il minore è stato illegittimamente condotto adducessero, a fondamento del diniego di rimpatrio, la mancata dimostrazione circa l'effettiva adozione di misure protettive, prima del rientro del minore, da parte dell'Autorità dello Stato di residenza abituale, ciò finirebbe per svalutare il principio di fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità degli Stati Membri dell'Unione Europea. La negazione del ritorno per tale motivo, invero, equivarrebbe a sfiducia nella capacità e prontezza delle autorità giurisdizionali dello Stato di origine di applicare prontamente le misure di tutela e, quindi, nell'intero sistema di protezione (Jiménez-Blanco, Litigios sobre la custodia y sustracción internacional de menores, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2008, 141 ss.). In virtù di quanto precisato dal considerando 45 al Regolamento UE n. 1111/2109, tali misure possono includere, ad esempio, un provvedimento giudiziario dello Stato membro in cui il minore dovrebbe far ritorno che vieti all'istante di avvicinarsi al minore, un provvedimento provvisorio, anche di natura cautelare, di quello Stato membro che consenta al minore di restare con il genitore sottrattore che ne ha l'affidamento effettivo fino a quando non sia adottata una decisione di merito relativa al diritto di affidamento in quello Stato membro dopo il ritorno, o la dimostrazione della disponibilità di strutture mediche per un minore bisognoso di cure (Lupoi, Il Regolamento (UE) n. 1111/2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, cit., § 5, il quale sottolinea che la scelta dovrà cadere sulla misura più adeguata ad evitare la concretizzazione del rischio nell'ipotesi di rientro del minore). Una significativa novità del Regolamento UE n. 1111/2019, è poi l'attribuzione, in una prospettiva di collaborazione, al Giudice che dispone il rientro del minore del potere, in caso di necessità, di adottare provvedimenti provvisori che siano in grado di proteggere il minore dal grave rischio ex art. 13, comma 1, della richiamata Convenzione dell'Aja: l'individuazione delle misure di protezione più adeguate nel caso concreto è quindi rimessa anche all'autorità che decide sul rientro (art. 27, comma 5). Ciò comporta che anche quando il Giudice dello Stato di rifugio ritenga che il rientro del minore possa determinare per lo stesso un grave rischio per come individuato dal primo comma, lett. b), dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980, non dovrebbe rifiutare il ritorno solo per tale ragione potendo, in forza del nuovo Regolamento, non solo collaborare attivamente nell'individuazione delle misure di protezione ma assumere egli stesso provvedimenti provvisori necessari ad assicurare un ritorno sicuro del minore (cfr. Honorati, La proposta di revisione del Regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell'esecuzione delle decisioni, cit., 267, la quale sottolinea che quindi è soprattutto il Giudice che abbia accertato l'esistenza di una situazione di rischio che deve farsi carico di evitare che lo stesso si concretizzi così riducendo le ipotesi nelle quali il rientro viene negato per tale ragione). A titolo esemplificativo il considerando 46 dello stesso Regolamento Bruxelles III-bis annovera, tra i provvedimenti provvisori, la previsione che il minore debba continuare a risiedere con l'effettivo affidatario o la determinazione del modo in cui dovrebbero essere intrattenuti i contatti con il minore dopo il suo ritorno fino a quando l'autorità giurisdizionale della residenza abituale del minore non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati. |