La dematerializzazione delle udienze (Parte II)

29 Novembre 2023

Si esaminano alcune delle questioni dubbie derivanti dalla c.d. “dematerializzazione delle udienze”, per tale dovendosi intendere la celebrazione delle udienze stesse mediante deposito di note scritte, così come regolamentate dalla riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 all'art. 127-ter c.p.c.

Limiti oggettivi alla trattazione scritta

Preliminarmente non pare potersi dubitare che il modello della trattazione “scritta” possa essere utilizzato non solo nelle cause innanzi al Tribunale ed alla Corte d'Appello, ma anche davanti al Giudice di Pace, ed alla Corte di cassazione, fatto salvo il limite dell'udienza di discussione, espressamente previsto dall'art. 379 c.p.c. novellato, che si svolge sempre in presenza.

Analogamente la dematerializzazione delle udienze potrà trovare applicazione nei giudizi di appello e, anzi, stante la natura “cartolare” del giudizio stesso, troverà con buona probabilità terreno fertile.

Per quanto riguarda il rito “ordinario”, dubbi si pongono come già visto per la prima udienza ex art. 183 c.p.c. per i processi instaurati dopo il 28/2/2023, mentre per le successive udienze vi è piena compatibilità, salvi i limiti delle attività da compiere in udienza (es. prove orali). Le stesse considerazioni si impongono poi per il nuovo rito semplificato di cognizione – per le cui criticità rispetto alla prima udienza si veda quanto poc'anzi esposto, mentre più dubbia, pur avendo trovato ampia applicazione si palesa la relazione tra rito lavoro e dematerializzazione delle udienze. Ciò sia rispetto ai possibili profili di frizione tra il disposto dell'art. 127 ter c.p.c. e la prima udienza ex art. 420 c.p.c., ma anche per i caratteri di “oralità” e “concentrazione” che permeano il rito del lavoro, destinati ad entrare in rotta di collisione con la scansione tipica dei termini per il deposito delle note scritte, nonché con il meccanismo della decisione, tipico di tale processo, di cui all'art. 429 c.p.c., che impone la formulazione delle conclusioni delle parti davanti al G.L., la discussione della causa e la decisione del giudice all'esito, oltre alla “pubblicità” della predetta udienza, richiesta a pena di nullità dall'art. 128 c.p.c.

Sul punto, a fronte di un nutrito filone contrario alla dematerializzazione delle udienze nel rito lavoro (fatti salvi i casi di udienze chiamate per attività che non richiedono la partecipazione delle parti o la pubblicità, come quelle ad es. da rinvio per bonario componimento), vi è un altro orientamento che ritiene che l'art. 127-ter c.p.c. possa dialogare anche con il rito lavoro.

Vi è, però anche un altro orientamento, largamente diffuso, che ritiene che il modello della trattazione scritta possa “dialogare” anche con il rito del lavoro.

Tale tesi si basa, in primo luogo, sulla portata generale” della norma di cui all'art. 127-ter c.p.c. e sulla circostanza che laddove il legislatore delegato ne ha voluto escludere l'operatività (come nel caso di cui all'art. 379 c.p.c.), ciò ha fatto espressamente. In tal senso, poi, la trattazione “scritta” costituirebbe esso stesso un nuovo modulo generale di trattazione della causa, che finirebbe per sostituire e, in qualche modo, superare, le regole del rito lavoro. Vale a dire che la disciplina contenuta in tale norma esaurirebbe la sua regolamentazione, costituendo un microcosmo a sé stante, dotato di regole proprie. Ancora, si osserva, che laddove l'art. 127-ter, comma 3, c.p.c. prevede che “Il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note.”, nel verbo “provvedere” rientrerebbero tutti i “provvedimenti” del caso intesi in senso lato, dunque comprensivi anche della “sentenza” in caso di udienza ex art. 429 c.p.c. In favore della tesi della compatibilità del rito lavoro con la dematerializzazione (peraltro della prima udienza) è poi pronunciata la Suprema Corte, sezione lavoro, con la sentenza n. 35109 del 2022. Questa tesi osserva poi che lo scopo sotteso all'introduzione del rito del lavoro non è di realizzare i valori della concentrazione e dell'oralità del processo quello in sé e per sé, bensì di creare uno strumento idoneo alla miglior tutela del lavoratore, quale soggetto economicamente e contrattualmente debole del rapporto il quale – dovendo fare ricorso alla giustizia – trovava un riequilibrio della propria posizione attraverso la predisposizione di un apposito strumento processuale (un rito apposito, speciale): vale a dire che concentrazione ed oralità non sono valori da proteggere aprioristicamente ed in quanto tali, in sé e per sé, quanto piuttosto in chiave teleologica nella prospettiva di tutelare il lavoratore. Obiettivo, quello della tutela della parte “debole” e di celerità del processo, che non appare per ciò solo pregiudicato dalla dematerializzazione delle udienze delle cause soggette al rito lavoro. Inoltre, si osserva come tali problemi non si pongano in controversie come quelle, ad esempio, in materia previdenziale (si pensi agli indebiti ed alle cartelle) oppure rispetto all'opposizione ad accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c., nonché a procedimenti in cui siano costituite Amministrazioni dello Stato, dove non vi è di fatto alcun margine di conciliazione. E ciò senza trascurare che anche nel rito lavoro sussiste la possibilità della parte non solo di chiedere la concessione di un termine per note scritte, ma anche la fissazione dell'udienza “in presenza”, esercitando il potere di opporsi di cui all'art. 127 ter, co. 2, c.p.c.

Quanto alla pubblicità dell'udienza di cui all'art. 429 c.p.c., si sostiene che gli artt. 127-ter e 128 c.p.c. sarebbero norme che danno vita a due differenti doppia modalità di gestione dell'udienza: quella “pubblica” e quella “cartolare”. Quando si utilizza quest'ultimo modello, verrebbe in gioco solo la disciplina di cui all'art. 127 -ter c.p.c., che racchiuderebbe in sé, derogando finanche alla regola della pubblicità dell'udienza, superando così la dicotomia “udienza pubblica/udienza in camera di consiglio” aggiungendo il terzo corno dell'alternativa, cioè l'udienza “cartolare”.  Da ultimo, poi, si evidenzia che la “pubblicità” dell'udienza di discussione ex art. 429 c.p.c. non costituirebbe un valore indefettibile nel nostro ordinamento, né tantomeno in quello sovranazionale, come affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 73/2022, in materia di processo tributario – con riguardo all'articolo 6 della CEDU[1] ha chiarito che …il precetto in questione non ha carattere assoluto e può subire deroghe”, mantenendo intatto l'assunto già espresso precedentemente (Corte Cost. n. 253/2017) secondo cui la Costituzione non impone “in modo indefettibile la pubblicità di ogni tipo di procedimento giudiziario» e tanto meno di ogni fase di esso”, quanto piuttosto la previsione della possibilità, per l'interessato, di richiederne la celebrazione.

L'aspetto più problematico in tema di dematerializzazione delle udienze è quello che riguarda la compatibilità del modello della trattazione “scritta” con i “moduli decisori” basati sulla discussione orale, ovvero quello di cui all'art. 281-sexies c.p.c. per il rito ordinario di cognizione (e, stante la riforma operata dal D.Lgs. n. 149/2022, anche per il c.d. “rito semplificato” di cognizione, di cui costituisce l'unica modalità possibile per la decisione ai sensi dell'art. 281-terdecies c.p.c.) e quello di cui all'art. 429 c.p.c. per il rito lavoro, nonché quello a decisione “mista” di cui agli artt. 275 (per le cause collegiali) e 281-quinquies, comma 2, c.p.c. (per le cause monocratiche).

Già “prima facie” sembra infatti un ossimoro la trattazione “scritta” con il deposito di note, appunto, scritte, di una discussione “orale”, che implica il proferire delle parole in relazione alla controversia alla presenza del giudice.

Il problema si pone:

  • per l'assenza di qualsiasi “discussione” e contraddittorio orale tra le parti davanti al giudice;
  • a causa dell'impossibilità, nell'udienza “a distanza” così svolta, di una lettura della parte motiva e del dispositivo all'esito della discussione;
  • perché c'è il rischio che non sia assicurata l'immodificabilità della decisione del giudice, ben potendo esservi uno iato temporale tra termine perentorio concesso per il deposito di note scritte (equiparato all'udienza dall'art. 127-ter, comma 5, c.p.c.) e deposito della sentenza, che sempre a mente del terzo comma della succitata disposizione, potrebbe avere luogo entro 30 giorni dalla scadenza dello stesso (ipotesi peraltro ora espressamente prevista dall'inedito comma terzo dell'art. 281-sexies c.p.c.);
  • poiché qualora si assegnasse alle parti un termine unico per il deposito delle note di trattazione, sarebbe loro precluso il diritto di replica a quanto dedotto dall'altra parte, appunto, con le note depositate telematicamente, con pregiudizio del principio del contraddittorio; peraltro, il contenuto delle note, circoscritto alle “istanze” e “conclusioni” a mente del primo comma dell'art. 127-ter c.p.c., non consentirebbe alle parti stesse di esercitare adeguatamente il loro diritto inviolabile di difesa.

Per una prima tesi, l'art. 127-ter c.p.c. incontrerebbe un limite invalicabile nelle udienze fissate per la discussione orale e decisione, che andrebbero necessariamente celebrate “in presenza” o, al più, previo provvedimento in tal senso del giudice, con i collegamenti audiovisivi ai sensi dell'art. 127-bis c.p.c. (modalità, questa, che non deroga all'oralità della trattazione orale di cui all'art. 180 c.p.c. e che è in grado di assicurare la pubblicità dell'udienza).

L'unica pronuncia che si è espressa in termini negativi sul problema è quella della Corte di Cassazione, Sez. VI-1, ord. n. 33175 dell'11/11/2021, che relativamente ai procedimenti camerali in materia di famiglia e stato delle persone, sia pure in un “obiter dictum” (come tale, di per sé, non vincolante) e con riguardo alla disciplina emergenziale “ratione temporis” applicabile ai fatti di causa (quella di cui all'art. 83, comma 7, lett. h del d.l. n. 18/2020 conv. con modificazioni con l. n. 27/2020), ha affermato che la compatibilità della disciplina processuale concernente la trattazione “scritta” rispetto ai moduli decisori ex art. 281-sexies c.p.c. (per il rito ordinario) e 429 c.p.c. (per il rito lavoro) andrebbe radicalmente esclusa. Ciò perché, a ben vedere, l'applicazione della trattazione cartolare “non comporterebbe la mera sostituzione dell'udienza, ma impatterebbe pesantemente sulla fase decisoria, determinando un radicale stravolgimento di essa, giacché —indipendentemente da ogni altra considerazione — impedirebbe l'osservanza di un adempimento essenziale, quale la lettura del dispositivo e della motivazione alla presenza, se vogliono, delle parti.”.

A questa ricostruzione ermeneutica si può però muovere la critica che, fermo restando che è ben possibile che le parti stesse rinuncino alla lettura della sentenza da parte del giudice (e una siffatta rinuncia potrebbe ritenersi implicita nel mancato esercizio del potere di opposizione alla trattazione scritta, ai sensi dell'art. 127-ter, comma 2, c.p.c.), secondo parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure limitatamente alla modalità decisoria di cui all'art. 281-sexies c.p.c. per il rito ordinario, la mancata lettura della decisione in udienza costituisce un vizio sanabile con l'immediato deposito integrale del dispositivo e della motivazione della decisione in Cancelleria. Inoltre, si osserva che la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. senza l'osservanza delle forme prescritte dal Codice di rito non può essere dichiarata nulla, ove sia stato raggiunto lo scopo dell'immodificabilità della decisione e della sua consequenzialità rispetto alle ragioni ritenute rilevanti dal Giudice all'esito della discussione, trattandosi, in ogni caso, di una sanzione, quella della nullità, non espressamente comminata dalla legge (“ex multisCass. Civ., n. 19338/2020).

In senso contrario, però, si è espressa la Suprema Corte con riguardo alle sentenze rese nel rito lavoro ai sensi dell'articolo 429 c.p.c. (cfr. Cass. civ., ord. n. 5197/2023), poiché “nelle controversie soggette al rito del lavoro, l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 2, la nullità insanabile della sentenza, per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto, in quanto si traduce nel difetto di un requisito correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio che connotano tale rito e soprattutto di immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione”. Nullità che si converte in motivo di gravame della sentenza ai sensi dell'art. 161, comma 2, c.p.c., dunque sanabile ove non sia stato proposto appello avverso la stessa.

Per un altro orientamento, invece, i moduli decisori caratterizzati dalla discussione orale e dalla lettura della motivazione e del dispositivo ben potrebbero essere trattati anche con la modalità di cui all'art. 127-ter c.p.c.: dii questo avviso si è mostrata la Corte di cassazione, Sez. III, con la sent. n. 37137 del 19/12/2022.

La Corte di Cassazione, sia pure avuto riguardo alla disciplina “ratione temporis” applicabile (cioè quella di cui all'art. 83, co. 7, lett. h del D.L. n. 18/2020 conv. con modificazioni con L. n. 27/2020) ha così stabilito: “È legittimo lo svolgimento dell'udienza di discussione orale della causa ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l'assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell'udienza per il deposito di note scritte previsto nel periodo di emergenza pandemica dall'art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 37 del 2020, in quanto tale procedimento - in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste - è idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che possa ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull'oggetto, sulla rilevanza e sull'eventuale complessità della controversia, che determinerebbe una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull'applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili.”.

“In primis” per la Suprema Corte la disposizione sopra richiamata si limitava a prevedere il possibile svolgimento delle udienze civili non richiedenti la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante “lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni […] “, ed è pacifico che l'udienza di discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. non è tra quelle che richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti.

In secondo luogo non era prevista, secondo la disposizione emergenziale, la possibilità per le parti di pretendere lo svolgimento dell'udienza nelle forme ordinarie o comunque in altre forme, neppure in ragione del particolare oggetto della controversia, né vi era la possibilità di una richiesta vincolante per il giudice di assegnazione di termini ulteriori per il deposito di note di replica o di fissazione di termini “sfalsati” per il deposito delle note da parte dell'attore e del convenuto.

In termini analoghi, ma avuto riguardo alla successiva norma di cui all'articolo dall'art. 221, comma 4, del d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni con l. n. 77/2020, si è espresso il Trib. di Verona con la sent. del 14/1/2021 nel senso che la trattazione scritta non è incompatibile con la discussione orale di cui all'art. 281-sexies c.p.c.

Per il Tribunale scaligero l'art. 221, co. 4, del d.l. n. 34/2020, nel testo introdotto dalla legge di conversione, subordina infatti la facoltà del giudice di disporre la trattazione scritta alle sole condizioni che si tratti di “udienza civile” e che essa non richieda la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti, condizioni che ricorrono anche nel caso dell'udienza di discussione prevista dall'art. 281-sexies c.p.c.

La circostanza, poi, che la discussione non possa evidentemente essere “orale”, come la norma prescrive, ma sia sostituita dal deposito telematico di note scritte, non segna diversità alcuna rispetto a quanto succede rispetto ad altre udienze, che ugualmente non richiedono la presenza di altri soggetti diversi dai difensori, giacché la trattazione della causa è di regola “orale” ai sensi dell'art. 180 c.p.c., ma il quarto comma dell'art. 221 consente di derogare all'una ed all'altra disposizione.

D'altro canto, il contraddittorio delle parti è garantito dal deposito telematico delle note scritte, nonché dalla facoltà riconosciuta alle parti di presentare istanza di trattazione orale entro 5 giorni dalla comunicazione del provvedimento, illustrando le ragioni (non valutate dal Giudice al momento di disporre la trattazione scritta) che rendono inopportuna una trattazione solamente scritta. 

Oltre quanto rilevato dai Giudici di legittimità, vi sono poi vari argomenti a sostegno di questa impostazione:

  • la circostanza per cui il modello di cui all'art. 127-ter c.p.c. avrebbe carattere “generale” e contenente esso stesso l'integrale disciplina allorquando il Giudice, nei suoi poteri di direzione del processo, decida che l'udienza debba essere celebrata con modalità “scritta”, così sostituendo tale disciplina totalmente quella dei modelli con discussione orale (artt. 281-sexies e 429 c.p.c.);
  • il fatto che laddove il legislatore ha voluto prevedere dei limiti alla trattazione “scritta”, come nel caso dell'udienza di discussione davanti alla Corte di Cassazione (art. 379, comma 1, c.p.c. come novellato proprio dal d.lgs. n. 149/2022) lo ha fatto espressamente; di talché poiché “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, allora in assenza di espresse limitazioni o deroghe ad un regime ormai “ordinario” e “generale”, esse non potrebbero essere desunte in via interpretativa;
  • la circostanza per cui il contraddittorio tra le parti è comunque garantito dal termine concesso alle parti per il deposito delle note scritte;
  • il fatto che qualora le parti non esercitino il potere di opporsi alla trattazione “scritta” di cui all'art. 127-ter, comma 2, c.p.c., prestano di fatto “acquiescenza” alla scelta del giudice di dematerializzare  anche tali udienze, di talché ritenere poi affetta da nullità la sentenza resa all'esito della discussione “orale” sostituita dal deposito di note scritte (cui le parti non si sono opposte in alcun modo) si presterebbe ad offrire il fianco a condotte integranti gli estremi dell'abuso del processo e del “venire contra factum proprium”, in violazione dei doveri di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c. che devono informare la condotta delle parti all'interno del processo stesso, legittimando così atteggiamenti maliziosi e scorretti delle parti, che dapprima non si oppongono alla trattazione scritta e poi, una volta soccombenti, impugnino la sentenza resa all'esito della trattazione scritta, se del caso dolendosi solo di tal profilo;
  • il dato per cui, a ben vedere, laddove si accolga la tesi della nullità insanabile della sentenza resa all'esito dei moduli di cui agli artt. 281-sexies c.p.c. e 429 c.p.c., si finirebbe, nei fatti, specie a fronte della mancata opposizione di una sola delle parti costituite (atteso che laddove l'opposizione sia unanime vi è l'obbligo per il Giudice di riconvertire l'udienza “in presenza” e di procedere alla discussione orale), per dare ingresso ad una grave conseguenza (appunto, la nullità della sentenza), senza però una effettiva violazione corrispondente, né del diritto di difesa, né del contraddittorio e con possibilità (in caso di appello avverso la stessa) di una pronuncia di contenuto sostanzialmente identico da parte del giudice del gravame (emendata però del vizio della omessa discussione orale) e della rimessione al giudice che ha reso la sentenza dichiarata nulla, nel caso di accoglimento del ricorso per Cassazione (così Cass. civ., n. 5197/2023) con inutile dispiego di risorse processuali, atteso che il giudice del rinvio poi potrebbe ben depositare la stessa identica sentenza già depositata dal precedente giudice, ma all'esito della discussione orale. In questo senso appare dirimente il dato normativo della prima parte del secondo comma dell'art. 101 c.p.c. introdotto proprio dal d.lgs. n. 149 del 2022, a mente del quale “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni.”. Tale norma, più che espressione di un rafforzamento del principio del contraddittorio, pare indebolirlo, dando ingresso normativo esplicito al principio di conio giurisprudenziale del c.d. “pregiudizio effettivo”, per cui vi sono ipotesi in cui la violazione del contraddittorio intacca il diritto di difesa (incidendo sulla validità degli atti processuali così assunti) e casi in cui la sua inosservanza degrada, di fatto, a mera irregolarità.

A tali argomenti potrebbero poi aggiungersi alcuni correttivi da parte del giudice, in grado di offrire una interpretazione costituzionalmente orientata del problema e, dunque, idonei ad eliminare in radice ogni possibile dubbio circa la compatibilità tra cartolarizzazione delle udienze e moduli decisori caratterizzati dalla discussione orale.

Il primo è che in questo caso il giudice consenta alle parti il deposito di note scritte non limitate solo alle “istanze e conclusioni”, ma dal contenuto più ampio, come delle note conclusive autorizzate, così da consentire, sia pure per iscritto, l'effettiva “discussione” della controversia.

Il secondo è che il giudice, nei casi di udienza calendarizzata ai sensi degli artt. 281-sexies o 429 c.p.c. disponga sempre e comunque la conversione dell'udienza “in presenza”, laddove l'opposizione all'udienza cartolare provenga anche da una sola delle parti costituite e non da tutte.

Il terzo è che il giudice, quanto meno per il rito lavoro (ove non è stata introdotta una norma come quella di cui all'art. 281-sexies, comma 3, c.p.c., che lo abilita al deposito della sentenza entro 30 giorni dall'udienza di discussione orale), provveda al deposito della sentenza appena scaduto il termine perentorio assegnato alle parti per il deposito di note, così da assicurare la immodificabilità della decisione formatasi all'esito della discussione, sia pure scritta, tra le parti.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.