Estinzione del giudizio per rinuncia agli atti: quale provvedimento per l’estinzione?

30 Novembre 2023

Il Tribunale di Roma, come giudice unico, ha ritenuto di pronunciare sentenza sull'estinzione del processo per rinuncia agli atti, partendo dal presupposto che nelle controversie trattate davanti al tribunale in composizione monocratica vi è sovrapposizione nella medesima persona fisica del giudice istruttore e dell'organo decidente.

Massima

I commi 3 e 4 dell'art. 306 c.p.c. attribuiscono al giudice la funzione di adottare due distinti provvedimenti, aventi ad oggetto, rispettivamente, la dichiarazione dell'estinzione del giudizio a seguito della rinunzia agli atti formulata da una parte e accettata dall'altra e la liquidazione delle spese, che la prima deve ex lege rimborsare alla seconda, salvo diverso accordo tra le parti.

Il primo di detti provvedimenti, quando l'organo investito dalla decisione della causa abbia struttura monocratica ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emesso in forma di ordinanza; diversamente, conserva la sua natura di ordinanza reclamabile ai sensi dell'art. 308, comma 1, c.p.c., se emanata dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale. Il provvedimento di liquidazione delle spese è, invece, dichiarato espressamente non impugnabile dallo stesso art. 306, comma 4, secondo periodo, c.p.c., e, quindi, la parte che intenda dolersene può solo proporre ricorso straordinario per cassazione.

Il caso

Il Tribunale di Roma, come giudice unico, ha ritenuto di pronunciare sentenza sull'estinzione del processo per rinuncia agli atti, partendo dal presupposto che nelle controversie trattate davanti al tribunale in composizione monocratica vi è sovrapposizione nella medesima persona fisica del giudice istruttore e dell'organo decidente (Cass. civ., 11 novembre 2010, n. 22917, in Foro it., 2011, I, 3395; Id., 12 febbraio 2016, n. 2837). Conseguentemente, non avrebbe senso adottare un'ordinanza che egli stesso a seguito di reclamo dovrebbe controllare. Il provvedimento del giudice monocratico sull'estinzione anche quando emesso in forma di ordinanza o decreto avrebbe natura sostanziale di sentenza e come tale sarebbe impugnabile (In tal senso: Cass. civ., 22 ottobre 2002, n. 14889, in Giust. civ. Mass. 2002, 1829; id., 25 febbraio 2004, n. 3733 in Foro it., 2004, I,1418; Id., 28 aprile 2004, n. 8092 in Giust. civ. Mass., 2004, 4; Id., 6 aprile 2006, n. 8041, ivi, 2006, 41829; Id., 15 marzo 2007, n. 6023, ivi, 2007, 3).

Anche se il giudice romano sembra accogliere nel corpo dello stesso provvedimento di estinzione la pronuncia sulle spese, egli premette che due sono i provvedimenti da adottare nella fattispecie disciplinata dall'art. 306 c.p.c.: una pronuncia sull'estinzione e una sulle spese. Di conseguenza i due capi dovrebbero avere natura differente ed essere soggetti a mezzi di impugnazione differenti.

La questione

La pronuncia in esame pone due ordini di questioni: la forma dei provvedimenti da adottare quando ricorre la fattispecie di cui all'art. 306 c.p.c.; i rispettivi regimi di impugnazione.

Le soluzioni giuridiche

Corretta sembra la posizione del Tribunale di Roma in ordine alla forma con la quale assumere il provvedimento di estinzione: infatti, il sistema pronuncia con ordinanza reclamabile all'organo che detiene il potere decisorio, ha senso solo se c'è uno sdoppiamento tra quest'ultimo e l'organo che conduce l'istruzione, nel corso della quale di verifica la fattispecie di cui all'art. 306 c.p.c. Concludendo diversamente si configurerebbe un inutile spreco di attività processuale.

Rimarrebbe la pronuncia con ordinanza dell'avvenuta estinzione da parte del giudice istruttore nei procedimenti di competenza del tribunale in composizione collegiale.

Secondo alcuna dottrina anche in questa ipotesi la pronuncia con ordinanza sarebbe limitata ai casi in cui non ci siano contestazioni in ordine all'efficacia della rinuncia ovvero alla necessità dell'accettazione; perché, allora, si dovrebbe sempre pronunciare sentenza del collegio (così Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 3a ed., II, 330).

Va ricordata anche l'opinione dottrinale secondo la quale nell'ipotesi considerata dall'art. 306 c.p.c. le parti concluderebbero un negozio di carattere processuale; perciò, il giudice, sia monocratico che collegiale non dovrebbe emettere sentenza, ma ordinanza, a meno che non ci siano contestazioni (Penasa, Sub art. 306, in Comoglio-Consolo-Sassani-V. Vaccarella (diretto da), Commentario al codice di procedura civile, Torino, 2012, III, 2, 715 ss.).

Il secondo provvedimento emesso dal giudice istruttore ovvero dal giudice monocratico è la pronuncia sulle spese. Quest'ultima, ai sensi dell'art. 306, ultimo comma, secondo periodo, dovrebbe essere un'ordinanza non impugnabile: con essa il giudice si dovrebbe limitare a liquidare le spese processuali, sul presupposto che non ci sia un accordo diverso tra le parti sul punto e che quindi il rinunziante debba rimborsare le spese alle altre parti.

Per cui si avrebbero due provvedimenti: uno impugnabile con appello ovvero con reclamo al collegio, l'altro in teoria non impugnabile.

La Corte di cassazione ha espresso varie posizioni in ordine al modo di far valere i vizi di quest'ultimo provvedimento.

Secondo l'indirizzo maggioritario la pronuncia sulle spese avrebbe carattere di provvedimento decisorio su un diritto e non sarebbe altrimenti impugnabile per disposto di legge; perciò, nel momento in cui si limitasse a liquidare le spese potrebbe essere impugnato con ricorso straordinario in cassazione (Cass. civ., 15 gennaio 2003, n. 481, in Foro it., 2003, I, 2424; Id., 10 ottobre 2006, n. 21707, in Dir. giur., 2006, 46, 16, con nota di Carrato; Id., 14 dicembre 2009, n. 26210, in Gust. civ. Mass., 2009, 12, 1687; Id., 9 novembre 2021, n. n. 32771).

Secondo tale giurisprudenza, questa opzione non sarebbe praticabile quando il giudice, invece di liquidare le spese del giudizio dichiarato estinto, abbia deciso sul merito della debenza o meno delle spese stesse, perché tale ipotesi non sarebbe riconducibile alla fattispecie prevista e regolata dal medesimo articolo 306, al comma 4, secondo periodo (Cass. civ., 10 ottobre 2006, n. 21707, cit., davanti alla Corte viene impugnata un'ordinanza con la quale il giudice aveva disposto la compensazione delle spese, in presenza di un conflitto tra le parti proprio in ordine alle spese).

Da qui partono una serie di incongruenze.

In una prima pronuncia la Cassazione (Cass. civ., 10 ottobre 2006, n. 21707, cit.) riconosce che il provvedimento sulle spese al suo esame ha valore di sentenza, in considerazione: del suo contenuto decisorio d'un contrasto inter partes dedotto in giudizio; della potestas iudicandi in astratto attribuita all'organo che l'ha emesso, pur se questi l'abbia erroneamente esercitata in difformità ai limiti impostigli in relazione alla specifica fattispecie decisionale. Perciò, l'ordinanza, con sostanza di sentenza, sarebbe suscettibile di passaggio in giudicato e impugnabile utilizzando gli ordinari mezzi all'uopo predisposti dall'ordinamento, nel caso specie con l'appello.

Prima di arrivare a tale conclusione, la Corte richiama la giurisprudenza intono alle pronunce inesistenti ovvero quelle emesse in carenza di potere del giudice, una tipologia di provvedimenti abnormi, la cui invalidità assoluta potrebbe essere fatta valere sia con gli ordinari mezzi di impugnazione che con autonoma azione di nullità o actio nullitatis (Cass. civ., 29 settembre 1999, n. 10784, in Giust. civ. Mass., 1999, 2032). Alla fine, in questa prima pronuncia si esclude l'applicazione di tale precetto giurisprudenziale al caso di specie, un'ordinanza decisoria emessa dal tribunale in composizione monocratica.

Nella giurisprudenza successiva viene rispeso il periodo della detta sentenza per cui ‹‹… il provvedimento con cui il giudice, nel dichiarare l'estinzione, non solo liquida le spese ma provvede su di esse, compensandole o ponendole a carico di una di esse, esorbitando dalla fattispecie prevista dall'art. 306 c.p.c., comma 4, non è assoggettabile a … ricorso (straordinario in cassazione) ma è impugnabile o con un'apposita actio nullitatis o con l'appello (se emesso in primo grado)››: in un primo momento con riferimento all'ordinanza decisoria emessa dal giudice istruttore, bollabile come adottata in carenza di potere (Cass. civ., 3 luglio 2009, n. 15631, in Giust. civ. Mass., 2009, 7-8, 1031); successivamente tale massima viene ripetuta senza alcun riferimento alla composizione dell'organo decidente, in assoluto (Cass. civ., 9 novembre 2021, n. n. 32771, cit.).

Altro orientamento minoritario ha ritenuto che in caso di simultanea impugnazione della dichiarazione di estinzione, resa con ordinanza e della pronuncia sulle spese, parimenti resa con ordinanza, si renderebbe necessario per entrambi i capi il reclamo di cui agli art. 178 e 310 c.p.c.; tuttavia, in caso di impugnazione della sola statuizione sulle spese si tornerebbe al ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., 6 agosto 2002, n. 11768, in Giur. it., 2003, 1127, con nota di Ronco).

Un ultimo indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto non definitivo il provvedimento sulle spese, perciò inammissibile il ricorso per cassazione avverso di esso. Contro di esso sarebbe dato reclamo, ove l'estinzione sia dichiarata con ordinanza del giudice istruttore, ovvero appello, ove l'estinzione venga dichiarata con sentenza; infatti, la statuizione relativa alle spese sarebbe accessoria rispetto a quella principale, e, conseguentemente, la relativa impugnazione seguirebbe il regime della impugnazione del provvedimento con il quale sia stata dichiarata l'estinzione (Cass., 3 settembre 1999, n. 9295, in Giust. civ. Mass., 1999, 1896).  Se ne desume che la pronuncia sulle spese dovrebbe essere accolta nell'ambito dell'ordinanza di estinzione piuttosto che nell'ambito della sentenza, non essere pronunciata in un provvedimento a parte.

I differenti indirizzi giurisprudenziali creano incertezza sul regime di impugnazione di due statuizioni che hanno natura differente, trattandosi in un caso di una sentenza di rito, nell'altro di un provvedimento decisorio su di un diritto emesso però in assenza di contestazioni sulla spettanza delle spese.

Cerchiamo di trarre le somme ricostruendo la mappa dei provvedimenti pronunciabili e le relative impugnazioni.

Il provvedimento sull'estinzione viene pronunciato con sentenza dal tribunale in composizione monocratica o collegiale ovvero con ordinanza dal giudice istruttore; nel primo caso è appellabile nel secondo reclamabile.

Se il giudice, sia monocratico che collegiale, pronunciasse ordinanza o decreto sull'estinzione, comunque essi avrebbero sostanza di sentenza e in applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma sarebbero impugnabili con appello.

Il provvedimento sulle spese ha la forma di ordinanza, ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c. secondo periodo e limitarsi a liquidare le spese. Questa conclusione dovrebbe valere sia che il provvedimento venga pronunciato dal giudice istruttore che dal tribunale collegiale o monocratico. Ciò è tanto vero che a differenza dell'art. 307, ultimo comma, c.p.c. non si prevede l'opzione della pronuncia di sentenza da parte del collegio.

Se l'ordinanza liquida le spese, quindi, viene assunta in costanza dei presupposti di legge, essa può essere impugnata con ricorso straordinario in cassazione, perché decide sul quantum del diritto alle spese, ma esclusivamente sotto tale profilo.

Nel momento in cui ci dovesse essere un conflitto tra le parti, il giudice che emettesse egualmente ordinanza, non si limiterebbe a liquidare le spese, ma seppur implicitamente deciderebbe sull'an del diritto, adottando nella sostanza una sentenza di condanna. Questo provvedimento allora dovrebbe essere impugnato con appello se di primo grado ovvero con ricorso ordinario in cassazione se d'appello.

Né si potrebbe configurare un provvedimento abnorme, perché emesso in carenza di potere, nel momento in cui la decisione sulle spese fosse presa dal giudice istruttore: è più corretto parlare di errata composizione dell'organo giudicante ed il provvedimento sarebbe viziato ai sensi dell'art. 50-quater c.p.c. Del resto, non del tutto esatta sembra l'affermazione per cui al giudice istruttore non spetterebbero poteri decisori: proprio nel caso considerato egli decide sul quantum delle spese liquidandole.

Qualora nello stesso provvedimento il giudice abbia dichiarato l'estinzione e provveduto sulle spese, il loro regime di impugnazione dovrebbe essere comunque differenziato.

Ove il provvedimento che accoglie i due capi abbia la forma di ordinanza del g.i.: il capo relativo all'estinzione dovrebbe essere impugnabile con reclamo; quello relativo alle spese con ricorso in cassazione ex art. 111 Cost. se si è limitato a liquidare le spese, con appello se ha deciso una controversia su di esse o con ricorso ordinario in cassazione se siamo nel secondo grado di giudizio.

Ove il provvedimento sull'estinzione abbia la forma della sentenza: il capo relativo all'estinzione sarebbe impugnabile con appello se il provvedimento fosse di primo grado, altrimenti con ricorso ordinario in cassazione; di nuovo, il capo relativo alle spese sarebbe impugnabile con ricorso straordinario in cassazione se è stato adottato nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 306, comma 4, c.p.c.; se decisorio sull'an delle spese, invece, con appello ovvero con ricorso ordinario in cassazione a secondo della fase del procedimento in cui ci si trova.

Osservazioni

Nel caso del Tribunale di Roma, il giudice ha richiamato la ricostruzione classica della mappa dei provvedimenti da adottare, con la variante desumibile in via interpretativa per il caso in cui si sia davanti al tribunale in composizione monocratica: per cui l'estinzione dovrebbe essere dichiarata con sentenza; la liquidazione delle spese dovrebbe avvenire con ordinanza non impugnabile, ma soggetta a ricorso straordinario in cassazione.

La pronuncia sulle spese viene accolta nel corpo della sentenza, ma vista l'immediata premessa che fa lo stesso giudice, distinguendo i due provvedimenti, dovrebbe avere natura di ordinanza non impugnabile. Seppur il giudice romano parli di “provvedimento di liquidazione delle spese”, non espressamente di “ordinanza”.

Il giudice si è limitato a dichiarare non ripetibili le spese anticipate dall'attore; né risulta che vi fosse alcun conflitto tra le parti sul punto, tanto più che il convenuto era rimasto contumace, Per cui l'unico strumento dato nei confronti della decisione sulle spese dovrebbe essere il ricorso straordinario in cassazione, come riconosciuto dal Tribunale di Roma stesso. Chiara è l'intenzione del giudice intorno alla natura delle due differenti statuizioni.

Del resto, concedere appello contro il capo sulle spese basandosi sulla forma del provvedimento, in questo contesto risulterebbe essere un inutile spreco di attività processuale, una garanzia superflua, non voluta dal legislatore ordinario: una soluzione non contraria al dettato costituzionale, che non riconosce in linea di principio la garanzia dell'appello avverso i provvedimenti decisori, in linea con il principio della ragionevole durata del processo.

Riferimenti

Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1938, II, 116;

Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 3a ed., II, 329 ss.; 

R. Vaccarella, voce Rinuncia agli atti del giudizio, in Enc. dir., Milano, 1989, XL, 960 ss.;

Penasa, Sub art. 306, in Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella (diretto da), Commentario al codice di procedura civile, Torino, 2012, III, 2, 715 ss.;

Baroncini - Montanari, Sub. art. 306, in Consolo (diretto da), Codice di procedura civile, commentario, Milano, 2018, II, 10 36 ss.;

Carratta-Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, 2022, II, 318 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.