Le agevolazioni daziarie nelle zone franche doganali
Gabriele Damascelli
11 Dicembre 2023
Con la conversione del D.L. 124/2023 nella Legge 162/2023, pubblicata in G.U. il 16 novembre 2023, è stata istituita con l'art. 9, a far data dal 1° gennaio 2024, la Zona economica speciale (ZES) per il Mezzogiorno - ZES unica.
Le zone franche doganali intercluse
La ZES o ZES unica ricomprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna, unitamente alla conferma della possibilità di istituire zone franche doganali intercluse (introdotte dal Reg. CE 2700/2000 di modifica del Reg. CEE 2913/92 - CDC) previste dal Reg. UE 952/2013 (CDU), mediante l'introduzione del nuovo c. 3-bis nell'art. 11 della Legge di conversione.
La normativa italiana e zone franche doganali intercluse a livello unionale
Il comma 3-bis richiamato dispone che “Nella ZES unica possono essere istituite, in coerenza con gli obiettivi definiti dal Piano strategico della ZES unica, zone franche doganali intercluse ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 …. La perimetrazione di tali zone franche doganali è proposta dalla Struttura di missione di cui all'articolo 10, comma 2, anche su iniziativa delle Autorità di sistema portuale ovvero delle regioni competenti, ed è approvata con determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, da adottare entro sessanta giorni dalla data della proposta”.
La funzione principale delle zone franche, come evidenziato dall' OCSE (v. “Free zones: Benefits and costs”, in The OECD Observer, 2009, Numero 4, n. 275, p. 19), è quella di favorire ed incrementare gli scambi commerciali al loro interno senza che su questi incida in alcun modo la fiscalità doganale (dazi, restrizioni quantitative, tasse o misure di effetto equivalente), consentendo in tal modo l'esenzione dai tributi doganali per le merci estere in entrata e in uscita dallo “spazio” intercluso.
Tale aspetto le distingue dalle zone franche extra doganali, che sono realmente e geograficamente esterne al territorio doganale unionale e sulle quali non insiste in alcun modo la giurisdizione UE.
È stato correttamente osservato in dottrina (P. Barabino, in “Le zone franche nel diritto tributario”, Torino, 2020, pag. 1) che in ambito nazionale ed europeo sono presenti fondamentalmente due tipologie di zone franche, le zone franche urbane (ZFU) e le zone franche doganali (ZFD), ove le prime sono rivolte essenzialmente al rilancio di quartieri urbani degradati dal punto di vista sociale ed economico attraverso l'uso della leva fiscale azionata su tributi principalmente diretti, mentre le seconde mirano ad incentivare gli scambi internazionali di merci prevedendo un regime speciale in tema di tributi doganali.
Ai fini geografici, il territorio doganale unionale è individuato dall'art. 4 del Reg. UE 952/2013 (Codice doganale dell'unione - CDU) e comprende i territori dei singoli Stati membri, comprese le acque territoriali, le acque interne e lo spazio aereo, al cui interno possono insistere le ZFD e per le quali è operata una “finzione giuridica” di extraterritorialità ai fini della fiscalità doganale, ma sulle quali possono operare le normative extra tributarie applicabili nel territorio dello Stato membro ove queste sono presenti (v. A. De Cicco, in “Zone franche e depositi franchi”, in Digesto it., Torino, IV ed., pag. 726 ss).
La nascita delle zone franche ha origini assai remote nel tempo e le fonti (v. OMD actu, N° 87, Octobre 2018, pag. 75, nota 3, che richiama OCDE, “Free zones: Benefits and costs”, in The OECD Observer, 2009, Numero 4, n. 275, p. 19) fanno risalire l'idea di un “porto franco” al 167 a.C., quando il Senato romano decise di rendere l'isola greca di Delo un porto franco, aperto a tutti i mercanti e dove gli scambi erano liberi dalle tasse.
La prima zona economica speciale istituita in Europa è stata quella di Shannon, in Irlanda, creata nel 1959 per sostenere specificamente le attività aereoportuali dell'aeroporto di tale città.
L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nel 2009 (nel doc. citato) ha identificato le seguenti quattro categorie di zone franche:
• “zone di libero scambio” (c.d. free trade zone - zone franche doganali), presso i porti e gli aeroporti, che offrono esenzioni parziali o totali sui dazi all'import o all'export di quei beni che vengono riesportati;
• “export processing zone”, zone franche di trasformazione all'esportazione, che agevolano sì la riesportazione di quei beni con un significativo valore aggiunto;
• “zone economiche speciali vere e proprie” (c.d. ZES), che offrono appunto un pacchetto variegato di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscono lì la propria sede;
• “zone speciali industriali”, che limitano le agevolazioni a un settore specifico (spesso si tratta del tessile, oppure telecomunicazioni) per il quale costruiscono anche infrastrutture ad hoc.
Quanto in particolare alle ZES, se ne contano ad oggi circa 6.000 sparse per il pianeta (con un'alta concentrazione in Cina), soggette a regole amministrative e burocratiche semplificate nonché ad agevolazioni fiscali (principalmente in forma di credito di imposta) e doganali, al fine di incrementare lo sviluppo tanto delle imprese già operative quanto di quelle di nuovo insediamento.
Nel caso specifico italiano e per quelle aziende operanti nelle regioni del Mezzogiorno, si contano ad oggi 8 ZES, di cui 6 regionali (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia Orientale e Sicilia Occidentale) e 2 interregionali (ZES Ionica, tra le regioni di Puglia e Basilicata; ZES Adriatica, tra le regioni di Puglia e Molise).
In Italia le ZES sono state introdotte con il D.L. n. 91/2017 (conv. in L. 12/2017) e le relative norme di attuazione sono state emanate con il DPCM 12/2018, al fine di favorire lo sviluppo d'impresa nelle Regioni individuate come “meno sviluppate”.
La nuova ZES unica per il Mezzogiorno
Con l'art. 9 della L. 162/2023, da ultimo, è stata istituita una Zona economica speciale per il Mezzogiorno (ZES unica), definita quale “zona delimitata del territorio dello Stato nella quale l'esercizio di attività economiche e imprenditoriali da parte delle aziende già operative e di quelle che si insedieranno può beneficiare di speciali condizioni in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d'impresa” (v. il precedente D.L. 91/2017, art. 4, c. 2).
La nuovaZES unica per il Mezzogiorno, dal 2024, andrà a sostituire le attuali Zone economiche speciali già previste dal D.L. 91/2017 il cui art. 4 definisce la ZES come un'area geograficamente delimitata, entro i confini dello Stato, costituita da aree anche non territorialmente adiacenti (cd ZES interregionali) purché presentino un nesso economico funzionale e che comprenda almeno un'area portuale, oltre ad individuare le procedure e le condizioni per istituirle in quelle regioni definite dalla normativa UE come “meno sviluppate”.
In breve, sulla base del D.L. 91/2017 e del DPCM 12/2018, le imprese che avviano un programma di attività economiche o effettuano investimenti nelle ZES possono usufruire della riduzione dei termini dei procedimenti, della semplificazione degli adempimenti nonché delle agevolazioni fiscali previste dall'art. 5 del D.L. 91/2017, tra cui la possibilità di istituire zone franche doganali intercluse (v. artt. 243-249 del CDU), la fruizione di un credito d'imposta di cui all'art. 1, c. 98-108 della L. 208/2015 per gli investimenti effettuati nelle ZES, purché le imprese beneficiarie mantengano la propria attività nell'area ZES per almeno sette anni dopo il completamento dell'investimento agevolato e non si trovino in stato di liquidazione o di scioglimento.
Con la Legge di Bilancio 2018 (L. 205/2017, art. 1, c. da 61 a 65), sono state altresì istituite nel nostro ordinamento anche le Zone Logistiche Semplificate (ZLS), “Al fine di favorire la creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo di nuovi investimenti nelle aree portuali delle regioni” individuate dalla normativa europea come “più sviluppate” e che includano almeno un'area portuale compresa nella rete transeuropea dei trasporti, estendendo quindi ad esse i benefici previsti per le ZES.
La normativa di settore prevede che la ZES debba essere composta da territori quali porti, aree retroportuali, anche di carattere produttivo e aeroportuale, piattaforme logistiche e Interporti, con esclusione delle zone residenziali.
Le zone franche doganali intercluse
Quanto invece alle zone franche doganali, la disciplina normativa unionale è contenuta negli artt. da 243 a 249 del CDU, il quale classifica l’istituto della Zona franca, insieme al deposito doganale, tra i regimi doganali speciali inseriti nel regime quadro del Deposito (v. gli artt. 210, 211, da 237 a 249 del CDU).
Le ZES e le ZFD, alle volte usate come sinonimi, non coincidono necessariamente, nella misura in cui le seconde godono di agevolazioni daziarie per le merci estere ivi introdotte e, per quanto spesso insistenti fisicamente all’interno di una ZES, non sempre sono comprese al loro interno.
Nella nozione complessiva di zona franca doganale, nella misura in cui l’esenzione daziaria è riconducibile all’introduzione delle merci estere ed alle correlate operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito, negoziazione e riesportazione, possono farsi rientrare anche ulteriori istituti i quali, come correttamente evidenziato in dottrina, (v. P. Bellante, in “Il Sistema Doganale”, Torino, 2023, pag. 957), si conformano al paradigma della ZFD, “in ordine decrescente di estensione territoriale e secondo i diversi ordinamenti giuridici”, e rispondono alla nozione di “porti franchi, all’interno di essi le zone portuali franche (indicate come punti franchi dall’art. 2, c. 5, del TULD, d.P.R. n. 43/1973 - Testo unico leggi doganali) ed i c.d. depositi franchi” (v. anche L. Piscitelli, voce “Punti franchi”, in Enc. del Diritto, Vol. XXXVII, Milano, 1988, pp. 1145 ss.).
Il Codice unionale non dà un’esatta definizione di zona franca, la quale va rintracciata altrove, specificamente nella Convenzione emendata di Kyoto per la semplificazione e l’armonizzazione dei regimi doganali del 18 maggio 1973, nel cui Allegato specifico D, cap. 2, Zone franche (Specific Annex D, Chapter 2) si legge che “free zone means a part of the territory of a Contracting Party where any goods introduced are generally regarded, insofar as import duties and taxes are concerned, as being outside the Customs territory”, ovvero si intende quella parte del territorio di una Parte contraente in cui le merci introdotte sono generalmente considerate, per quanto riguarda i dazi e le tasse all’importazione, come “non situate” del territorio doganale (v. anche l’art. 166, lett. a) del CDC).
Internamente la materia è disciplinata nel TULD, il cui art. 2 assimila ai territori extra-doganali i “depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti” previsti dal TULD, i cui artt. da 163 a 169 contengono le diposizioni relative ai magazzini generali, ai depositi franchi ed ai punti franchi, definiti “Istituti speciali”, in contrasto rispetto al sistema normativo del CDU che li ricomprende tra i regimi doganali speciali.
Ai fini doganali la nozione di zona franca è limitata esclusivamente allo “status di merce”, ovvero all’esenzione da tasse o dazi doganali, non prevedendo altresì un’esclusione di tutte le attività doganali non tariffarie, come il controllo alle frontiere, le ispezioni e i sequestri.
La norma (Standard) 4 dell’All. specifico D della Convenzione di Kyoto stabilisce che le dogane “shall have the right to carry out checks at any time on the goods stored in a free zone”, ovvero che l’autorità ha il diritto di effettuare controlli in qualsiasi momento sulle merci immagazzinate in una zona franca, prevedendo controlli doganali sulle queste e sulle operazioni della zona franca per motivi di moralità pubblica, pubblica sicurezza, igiene o sanità pubblica e per valutazioni veterinarie o fitosanitarie (motivazioni del resto in linea con la previsione prevista altrove dall’art. 36 del TFUE, quale unico limite al principio di libera circolazione delle merci intra UE).
Lo Standard 3 dispone poi che “The Customs shall lay down the arrangements for Customs control including appropriate requirements as regards the suitability, construction and layout of free zones”, affidando alla Dogana le modalità di controllo doganale, compresi i requisiti di idoneità, la costruzione nonché la disposizione delle zone franche”.
L’art. 243 del CDU prevede invece che, a livello centrale, lo Stato membro stabilisca “l’area interessata e i punti di entrata e di uscita”, comunicando alla Commissione le “informazioni sulle rispettive zone franche esistenti”, e disponendo che l’autorità sottoponga a vigilanza doganale “il perimetro e i punti di entrata e di uscita delle zone franche”, imponendo che le zone franche siano, quindi, intercluse.
In tal modo il legislatore UE ha superato la previsione dell’art. 167 e 168-bis del CDC (Reg. CEE 2913/92 che istituiva il Codice Doganale Comunitario, abrogato e sostituito dall’attuale CDU), quest’ultimo introdotto dal Reg. CEE 2700/2000, che aveva previsto l’istituzione di zone franche doganali non intercluse, ovvero non delimitate da alcuna recinzione.
Ai sensi dell’art. 244 del CDU, nelle aree rientranti in ZFD e soggette a vigilanza doganale, “è consentita qualsiasi attività industriale, commerciale o di servizi. L’esercizio di tali attività è preventivamente notificato alle autorità doganali. Le autorità doganali possono imporre divieti o limitazioni per le attività …, tenuto conto della natura delle merci in questione o delle esigenze di vigilanza doganale e di sicurezza. Le autorità doganali possono vietare l’esercizio di un’attività in una zona franca a persone che non offrano le necessarie garanzie di rispetto delle disposizioni doganali”.
Ai sensi dell’art. 245 del CDU le merci estere immagazzinate in una zona franca non sono soggette, di norma, a formalità particolari, nel senso che “non sono presentate in dogana”, e “si considerano vincolate al regime di zona franca”: a) al momento del loro ingresso in una zona franca, oppure b) al momento della conclusione di un regime di transito.
La norma prevede, invece, l’obbligo di presentazione in dogana unitamente alle usuali formalità doganali, qualora:
a) le merci siano introdotte nella zona franca direttamente dall’esterno del territorio doganale dell’Unione;
b) le merci siano vincolate a un regime doganale che si conclude o viene appurato quando esse vengono vincolate al regime di zona franca;
c) le merci siano vincolate al regime di zona franca al fine di beneficiare di una decisione di rimborso o di sgravio dei dazi all’importazione;
d) una normativa diversa dalla normativa doganale prevede tali formalità.
È altresì consentito l’ingresso in una zona franca anche alle merci unionali (v. art. 246 CDU), le quali possono essere ivi “introdotte, immagazzinate, spostate, utilizzate, trasformate o consumate” e, in tali casi, non sono considerate vincolate a tale regime speciale. Se, però, “vengono fatte uscire da una zona franca e sono introdotte in un’altra parte del territorio doganale dell’Unione, o vincolate a un regime doganale, esse sono considerate merci non unionali, a meno che la loro posizione doganale di merci unionali non sia stata dimostrata” (v. art. 249 CDU) e, in tal caso, sconteranno l’obbligazione doganale all’atto della loro eventuale immissione in libera pratica.
L'IVA sull'introduzione in una zona franca
L'esenzione della fiscalità daziaria all'atto dell'introduzione di merci estere in una zona franca si “estende” anche alla fiscalità interna IVA sulle operazioni di cessione dei beni ivi immagazzinati, essendo il regime doganale speciale impermeabile anche all'applicazione della Direttiva IVA 2006/112, quanto all'evidenza sia del fatto generatore sia del momento di esigibilità di tale imposta.
Tale principio è stato evidenziato dalla Corte UE nel precedente C-571/15, in cui il giudice del rinvio chiedeva se gli articoli 61, par. 1, e 71, par. 1, c. 1, della direttiva IVA dovevano essere interpretati nel senso che merci all'interno di una zona franca potevano rientrare nella previsione dell'art. 156 (lett. b)) che consente agli Stati membri di esentare “le cessioni di beni destinati ad essere collocati in una zona franca o in un deposito franco” allorché le zone franche non appartengono, ai fini IVA, al territorio nazionale.
Lì la Corte UE richiamava le conclusioni dell'avvocato generale M. Campos Sánchez-Bordona il quale, al p. 47, evidenziava che i beni introdotti in una zona franca “non si considerano importati finché non lasciano la zona franca, momento in cui si verifica il fatto generatore dell'IVA all'importazione e la stessa diviene esigibile”, ciò ai sensi dell'art. 71, par. 1, della direttiva IVA, secondo il quale quando i beni sono vincolati al regime speciale in commento “il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile soltanto nel momento in cui i beni sono svincolati da tali regimi o situazioni”.
In tal modo, prosegue la Corte UE (p. 42 e ss.), i richiamati artt. 61 e 71 “non rinviano alle condizioni di applicazione dell'articolo 156 di quest'ultima, bensì solo alle situazioni e ai regimi doganali in esso menzionati”, dal momento che l'importazione è effettuata nello Stato membro nel cui territorio detti beni sono svincolati da tali regimi o situazioni, non potendo quindi considerare importati ai fini dell'IVA i beni collocati in zona franca.
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