Concessione della detenzione domiciliare: i padri sono “discriminati” rispetto alle madri?

13 Dicembre 2023

Al principio dell’interesse “preminente” del minore – in forza del quale, in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dell’interesse superiore del minore – non viene assicurata un’automatica prevalenza su ogni altro interesse, individuale o collettivo.

Le censure del rimettente

La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), ord. pen., nella parte in cui si prevede una differente disciplina in ordine alla concessione della detenzione domiciliare ordinaria alle madri e ai padri di bambini sino a 10 anni: mentre le madri che convivono con il proprio figlio possono essere senz'altro ammesse alla misura alternativa in questione allorché debbano scontare una pena detentiva (anche residua) non superiore a 4 anni, i padri possono accedere a tale misura soltanto ove esercitino la responsabilità genitoriale e risulti che la madre sia deceduta, ovvero sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.

Il giudice a quo ritiene che tale disciplina violerebbe l'interesse del minore a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, fondato sull'art. 31, comma 2, Cost., declinabile quale vero e proprio diritto inviolabile alla “bigenitorialità”. Inoltre, la disciplina censurata risulterebbe intrinsecamente incoerente, contraddittoria e illogica – e, dunque, irragionevole ex art. 3 Cost. – privilegiando ingiustificatamente il rapporto tra madre e figlio rispetto a quello tra padre e figlio.

Il rimettente aspira, quindi, ad ottenere una pronuncia che rimuova la condizione di accesso alla misura alternativa rappresentata, per il solo padre, dalla dimostrazione del decesso della madre o della sua assoluta impossibilità di dare assistenza alla prole.

La tutela costituzionale e sovranazionale dell'interesse del minore

La giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente sottolineato che il diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori – riconosciuto oggi, a livello di legislazione ordinaria, dall'art. 315-bis c.c., ove si sancisce il diritto del minore a essere «educato, istruito e assistito moralmente» dai genitori, nonché dall'art. 337-ter, comma 1, c.c., ove si riconosce il suo diritto di «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori» e «di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi» – è affermato, altresì, da una pluralità di strumenti internazionali e dell'Unione europea, al cui rispetto il nostro Paese si è vincolato (cfr. Corte Cost., n. 105/2023n. 102/2020 e n. 187/2019): fra tali strumenti si annoverano gli artt. 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sulla base della costante giurisprudenza della Corte EDU.

Sul piano costituzionale, il diritto in questione costituisce una specifica declinazione del più generale principio dell'interesse “preminente” del minore, in forza del quale, in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell'“interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore (cfr. Corte Cost., n. 102/2020): tale principio si fonda tanto nell'art. 30 Cost., quanto nell'art. 31 Cost..

L'interesse del minore non prevale automaticamente su ogni altra esigenza e valore

D'altro canto, la pronuncia in commento ricorda come sia altrettanto pacifico nella giurisprudenza costituzionale che al principio in questione non viene assicurata l'automatica prevalenza su ogni altro interesse, individuale o collettivo.

In particolare, a proposito della relazione tra genitori condannati a pena detentiva e figli minori, si è costantemente ribadito che l'interesse del minore non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena (cfr. Corte Cost., n. 105 del 2023n. 30/2022n. 174/2018).

Ed infatti, a meno di sostenere che l'esecuzione di una pena detentiva sia sempre costituzionalmente illegittima allorché la persona interessata abbia un figlio minorenne, bisogna ammettere che la compressione dell'interesse di quest'ultimo al rapporto con il genitore detenuto o internato costituisce, a certe condizioni, una conseguenza inevitabile – e costituzionalmente non censurabile – dell'esecuzione della pena.

La relazione tra la madre detenuta ed il minore è “privilegiata”

La scelta di fondo del legislatore che emerge dal quadro normativo vigente – non solo nell'ordinamento penitenziario, ma anche nel codice di procedura penale (ed, in particolare, dagli artt. 275 e 285-bis) – è stata quella di assicurare in via primaria il rapporto del minore con la madre (cfr. Corte Cost., n. 17/2017).

Tale impostazione ha le proprie radici nella stessa genesi degli istituti in cui questa scelta di fondo si manifesta: inizialmente pensati per assicurare la specialissima relazione della madre con il figlio durante l'allattamento o comunque nei primissimi mesi di vita – relazione da epoca risalente considerata dal legislatore come particolarmente meritevole di tutela – gli istituti in questione sono stati gradualmente estesi sino a che il bambino raggiungesse un'età via via più avanzata, sì da evitare che il rapporto tra la madre e il figlio si interrompesse bruscamente in una fase della vita in cui quest'ultimo non sia ancora in grado di comprendere ed elaborare le ragioni del distacco.

Nel prevedere, e progressivamente ampliare, la possibilità di accesso della madre di figli in tenera età a forme di esecuzione extramuraria, il legislatore si è mosso in coerenza con gli strumenti internazionali relativi al trattamento penitenziario delle condannate madri ed, in particolare, con le United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-custodial Measures for Women Offenders” adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2010.

Equiparazione tra padre e madre detenuti: la scelta spetta al legislatore

Per la Consulta, nel decidere di introdurre forme di esecuzione extramuraria in favore delle donne madri di figli in tenera età che non presentino una spiccata pericolosità sociale, indipendentemente dalla prova dell'indisponibilità del padre a prendersi cura del bambino, è verosimile che il legislatore abbia tenuto conto dell'impatto complessivamente contenuto di simili misure sui  menzionati interessi sottesi all'esecuzione delle pene detentive anche in ragione della ridotta proporzione di donne nell'ambito della complessiva popolazione carceraria femminile (pari, secondo le statistiche del Ministero della giustizia alla data del 30 novembre 2023, a circa il 4% della popolazione carceraria).

L'estensione delle medesime regole vigenti oggi per le detenute madri anche ai detenuti padri potrebbe certamente essere valutata dal legislatore, nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli interessi individuali e collettivi coinvolti, ma non può essere ritenuta costituzionalmente necessaria dal punto di vista della tutela degli interessi del bambino, la quale richiede soltanto che – di regola – sia assicurato al bambino stesso un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori: ciò che la disciplina censurata indubbiamente assicura.

La questione di legittimità costituzionale è, quindi, non fondata.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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