L’atto di appello, l’ammissibilità delle domande nuove e la massimizzazione dell’intervento giurisdizionale

14 Dicembre 2023

La Corte Suprema di cassazione ha accolto il primo ed il secondo motivo ed ha dichiarato assorbito il terzo, sostenendo che il giudice di secondo grado aveva erroneamente applicato il divieto sancito dall’art. 345, comma 1, c.p.c., ad un caso in cui in realtà non vi era alcuna proposizione di domanda nuova. Al contrario, nel caso di specie vi era identità di petitum - inteso come diritto dell’acquirente di vedersi restituito quanto pagato previa risoluzione del contratto per inadempimento - e di causa petendi - intesa come mancata consegna del bene pattuito.

Massima

La domanda nuova o diversa proposta in sede di appello è legittima purchè non si aggiunga a quella originaria, ma la sostituisca e si ponga, rispetto a quest’ultima, in un rapporto di alternatività. Il fondamento di tale principio sta nel massimizzare l’intervento giurisdizionale e risolvere in maniera tendenzialmente definitiva le questioni che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che le stesse ripropongano una nuova causa avente ad oggetto la medesima vicenda sostanziale.

Il caso

In primo grado l'acquirente conveniva in giudizio la società venditrice, dinanzi al Giudice di Pace di Messina, per sentire dichiarare la risoluzione del contratto di vendita di un ciclomotore, poiché il modello consegnato era dell'anno 2010 e non del 2011 come richiesto; per di più, a seguito dell'accordo raggiunto tra le parti, secondo il quale il prezzo versato sarebbe stato imputato quale corrispettivo del modello richiesto, quest'ultimo non era mai stato consegnato. La venditrice veniva condannata alla restituzione del prezzo pagato, ma veniva altresì rigettata la domanda di risoluzione.

In secondo grado, il Tribunale accoglieva l'appello principale della venditrice sul presupposto che era ancora efficace il contratto di compravendita, per cui l'acquirente doveva restituire la somma a suo tempo pagata; mentre rigettava la domanda di risoluzione contrattuale per mancata consegna del mezzo del 2011 proposta con appello incidentale, trattandosi di domanda nuova e quindi inammissibile ai sensi dell'art. 345, comma 1, c.p.c.

La questione

Avverso la decisione del Tribunale, l'acquirente propone ricorso alla Suprema Corte di cassazione, articolato in tre motivi.

Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 318,320 e 113 c.p.c.

Il ricorrente censura che il giudice di secondo grado ha considerato la domanda del primo grado diversa da quella proposta con l'appello incidentale, considerandola diretta alla risoluzione del contratto per omessa consegna del diverso ciclomotore in sostituzione di quello già restituito alla venditrice.

Il secondo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di appello. Il giudice non rileva che dal verbale del 23.05.2011, avente ad oggetto la restituzione del motociclo, emerge che il bene consegnato all'acquirente e poi restituito al venditore non aveva le caratteristiche pattuite; e che le parti avevano concordato la consegna di un altro ciclomotore del 2011, che poi non c'è mai stata. Ne deriva la violazione degli artt. 1497,1453,1322,1197 e 1455 c.c. e degli artt. 112,115 e 116.

Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente denuncia la mancata pronuncia sulla richiesta di condanna alla consegna del bene del 2011, pattuita con il verbale del 23.05.20211. Vi è quindi violazione degli artt. 1470,1476 e 1477 c.c.

Le soluzioni giuridiche

La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il primo ed il secondo motivo ed ha dichiarato assorbito il terzo, sostenendo che il giudice di secondo grado ha erroneamente applicato il divieto sancito dall'art. 345, comma 1, c.p.c., ad un caso in cui in realtà non vi è alcuna proposizione di domanda nuova. Al contrario, nel caso di specie vi è identità di petitum - inteso come diritto dell'acquirente di vedersi restituito quanto pagato previa risoluzione del contratto per inadempimento - e di causa petendi - intesa come mancata consegna del bene pattuito.

Il giudice del secondo grado trascura un elemento determinante contenuto nel verbale del 23.05.2011 in cui le parti concordano che la somma interamente versata dall'acquirente è stata trattenuta dal venditore ed imputata all'acquisto del ciclomotore del 2011.

Pertanto, rinegoziato il contratto originario, la sostanza rimane immutata.

Da qui si desume l'interesse dell'acquirente, che però viene frustato dalla mancata consegna del mezzo.

Si evince quindi, che trattasi sempre della stessa domanda e dello stesso diritto: la restituzione del prezzo previa risoluzione del contratto.

Il giudice di legittimità non condivide l'inammissibilità della domanda oggetto dell'appello incidentale proposto dall'acquirente, poiché la parte ha reclamato, sia in primo che in secondo grado, sempre il medesimo diritto.

La Suprema Corte cassa, quindi, la sentenza in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa al Tribunale di Messina in persona di un giudice diverso, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Osservazioni

La questione affrontata nella decisione commentata offre spunti per diversi collegamenti sia giurisprudenziali che dottrinali.

La Suprema Corte, tenendo conto della struttura del giudizio di secondo grado, già riformato sia dalla l. n. 353 del 1990 - che ha introdotto il divieto di nova in appello – sia dalle l. n. 69/2009 e  n. 134/2012 - che hanno modificato l'art. 345 c.p.c. - è intervenuta con una serie di pronunce che hanno portato a configurare l'appello come un riesame di una controversia che è già stata oggetto di primo giudizio, specificandone limiti e confini.

Con una prima pronuncia innovativa, le Sezioni Unite del 15 giugno 2015 n. 12310, hanno enunciato il principio secondo cui la modifica della domanda, ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare uno solo o entrambi i suoi elementi oggettivi – petitum e causa petendi – a condizione che la domanda, anche modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta nel giudizio di primo grado.

Viene così ampliata la portata dell'art. 345 c.p.c. che è invece perentorio nella sua enunciazione: Nel giudizio d'appello non possono proporsi nuove domande e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio”.

Si sono poi susseguite pronunce che hanno affermano che la domanda può definirsi nuova quando introduce un diverso petitum o una diversa causa petendi rispetto al giudizio di primo grado, ma non quando viene semplicemente richiesta una nuova qualificazione giuridica della questione già dedotta, purché non ne consegua l'allegazione di fatti nuovi e non venga compromessa la difesa di controparte. (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2017, n. 6854Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2016, n. 4384).

In definitiva, la nuova domanda, così come modificata, per essere ammissibile non si deve aggiungere a quella originaria, ma deve sostituirla, concentrando nello stesso giudizio, davanti allo stesso magistrato, fatti e situazioni aventi ad oggetto la stessa vicenda sostanziale, in modo che si possa rispettare il principio dell'economia processuale, senza perciò provocare un prolungamento dei tempi processuali.

Sono comunque ammesse le domande accessorie, cioè quelle inerenti interessi, frutti ed accessori maturati dopo la sentenza impugnata o quelle con cui si chiedono i danni verificatisi dopo la sentenza.

Di contro, la domanda si qualifica nuova ed è quindi inammissibile quando, pur avendo lo stesso diritto soggettivo della domanda iniziale, è volta ad ottenere un provvedimento diverso rispetto a quello richiesto nel giudizio di primo grado. Sono inammissibili altresì le domande riconvenzionali, anche se proposte dalla controparte rimasta contumace in primo grado.

Il divieto sancito dall'art. 345 c.p.c. viene esteso dalla Cassazione anche alle contestazioni nuove, cioè quelle contestazioni che non sono state sollevate in primo grado e che, poiché introdotte solo nel secondo grado, sono inammissibili (Cass. civ., sez. VI, 1 febbraio 2018, n. 2529Cass. civ., 13 novembre 2015, n. 20502Cass. civ., 28 febbraio 2014,  n. 4854)

In definitiva sono tanti e diversi i limiti ed i vincoli imposti affinchè il giudizio di secondo grado non si trasformi in un novum iudicium.

L'appello è, dunque, e rimane solo una revisio prioris instantie (Cass. civ., sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199).

La proposizione di una nuova istanza, escluse quelle espressamente previste, determina la declaratoria di inammissibilità.

Quest'ultima, che può essere dichiarata d'ufficio, comporta che la domanda nuova non venga esaminata in grado d'appello, ma non esclude che possa essere oggetto di un nuovo ed autonomo giudizio di primo grado, a meno che non vi siano preclusioni dovute al fatto che la materia del contendere sia ancora sub iudice nel giudizio d'appello.

Riferimenti

M. Cea, Tra <<mutatio>> ed <<emendatio libelli>>: per una diversa interpretazione dell’art. 183 c.p.c. in Foro it., 2016, parte I, col. 255.

Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, il processo ordinario di cognizione, vol. II, Torino 2015, pag. 504;

Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale, in Foro it., 2015, parte I, col 3190;

Russo, Specificità dei motivi d’appello ex art. 342 cod. proc. civ.: il punto dopo sez. un. 27199/2017 in, in www.wclegal.it

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