La Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale della rapina pluriaggravata in relazione all'infermità di mente

15 Dicembre 2023

Così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 217/2023, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 c.p., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.

Il caso

Con ordinanza del 7 luglio 2022, il Tribunale ordinario di Torino, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma della Costituzione, dell'art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede «il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3 bis della medesima disposizione».

Il Tribunale di Torino, nel caso de quo, procedeva nei confronti di una persona imputata di tentata rapina pluriaggravata, per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di beni e denaro del proprio partner all'interno dell'abitazione di quest'ultimo e brandendo un coltello contro di lui. Orbene, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il giudice a quo riteneva che la condotta tenuta dall'imputata integrasse effettivamente un tentativo di rapina, aggravata dall'uso di un'arma (art. 628, terzo comma, numero 1, c.p.) e della commissione del fatto in luogo di privata dimora (art. 628, terzo comma, numero 3-bis, c.p.), ma non avrebbe rilevato il fatto che la stessa imputata dimorasse nell'abitazione, poiché l'art. 628, terzo comma, numero 3-bis), c.p. «prevede l'aggravio di pena evocando il luogo ove è avvenuta la rapina (tentata o consumata) e non le modalità clandestine o le ragioni illegittime per cui il rapinatore si trovava all'interno di un luogo di privata dimora».

Inoltre, dalla perizia medico – legale disposta in giudizio sarebbe emerso che l'imputata soffrisse di un disturbo schizo – affettivoconnesso anche all'uso di sostanze stupefacenti, con sintomi psicotici di tipo delirante e di alterazione dell'umore di tipo prevalentemente disforico. Sicché, proprio in virtù di tale condizione psicologica, la capacità di intendere e di volere dell'imputata al momento del fatto dovrebbe ritenersi grandemente scemata, sì da giustificare il riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 c.p. Così come, in favore dell'imputata, a mente del giudice rimettente, si sarebbero dovute applicare le circostanze attenuanti generiche, in ragione del comportamento processuale, della sua complicata situazione sociale e della «necessità di giungere ad una commisurazione della pena coerente con le esigenze di risocializzazione costituzionalmente connesse all'irrogazione della sanzione penale».

Purtuttavia, in ordine alla rilevanza delle questioni prospettate, il Tribunale osserva che l'aggravante di cui all'art. 628, terzo comma, numero 3-bis), c.p. è sottratta all'ordinario giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, in forza dell'ultimo comma della disposizione, secondo cui «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti». Pertanto, le circostanze attenuanti di cui agli artt. 89 e 62-bis c.p. avrebbero potuto incidere sulla determinazione della sanzione da infliggere «solo dopo che la pena base è stata inasprita per effetto dell'aggravante c.d. privilegiata», né, del resto, sarebbe stata possibile una diversa interpretazione dell'art. 628, ultimo comma, c.p., stante il tenore letterale della disposizione.

Le questioni prospettate nell'ordinanza di rimessione

Il Giudice a quo, in virtù della situazione concretamente verificatasi nel caso di specie, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 628, quinto comma, del codice penalenella parte in cui prevede «il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3 bis della medesima disposizione». In ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale ha richiamato i principi di diritto già enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 73/2020 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto comma, c.p., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, c.p., evidenziando come tale divieto sia stato ritenuto contrario sia al principio di proporzionalità della pena di cui agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., sia al principio di personalità della responsabilità penale , di cui all'art. 27 Cost. Tali principi sono stati poi ripresi in altra sentenza della Consulta, n. 55/2021, e sarebbero applicabili, secondo il giudice rimettente, anche nel caso di specie, pur a fronte della diversità tra il meccanismo previsto dall'art. 69, quarto comma, c.p., – che comportava l'impossibilità, per la circostanza attenuante del vizio parziale di mente, di esplicare effetto, se non in termini di “neutralizzazione” della recidiva reiterata – e quello contemplato dall'art. 628, ultimo comma, c.p., ove invece «l'attenuante di cui all'art. 89 c.p. può concretamente esplicare effetto, sebbene partendo da una dimensione sanzionatoria che è aggravata “a monte” dalla concorrenza delle circostanze privilegiate».

Il Giudice a quo, in sostanza, articola tre censure1) in primo luogo, la disciplina in questione parificherebbe indebitamente, sul piano sanzionatorio, fatti connotati da differente gravità dal punto di vista soggettivo (art. 3 Cost.); 2) in secondo luogo, essa determinerebbe l'irrogazione di pene sproporzionate rispetto al grado di colpevolezza dell'imputato e, per la medesima ragione, non rispettose nemmeno del principio di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.); 3) infine, essa risulterebbe intrinsecamente irragionevole, e pertanto in contrasto con l'art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna ragione per distinguere il trattamento dell'attenuante del vizio parziale di mente da quello riservato dal legislatore all'attenuante della minore età di cui all'art. 98 c.p. – ritenuta dal rimettente «per molti versi analoga» a quella di cui all'art. 89 c.p. – che la disposizione censurata espressamente eccettua dal divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, a fronte delle questioni prospettate dal Giudice rimettente, ha ritenuto fondata quella concernente l'irragionevole disparità, ai sensi dell'art. 3 Cost., fra il trattamento riservato dalla disposizione censurata alla circostanza attenuante della minore età di cui all'art. 98 c.p., rispetto a quello riservato all'attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 c.p. Il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalità, ha previsto una specifica eccezione alla generale operatività del divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti menzionate dalla disposizione censurata, in favore soltanto della circostanza della minore età di cui all'art. 98 c.p. La sottrazione della sola attenuante della minore età a una disciplina a sua volta derogatoria rispetto alla regola generale di cui all'art. 69 c.p. potrebbe in ipotesi spiegarsi in ragione dei caratteri peculiari del diritto penale minorile, affidato, con «scelta […] costituzionalmente vincolata», a una «giurisdizione specializzata, i cui operatori [sono] selezionati anche sulla base della specifica competenza professionale in materia di minori, e che opera secondo finalità e sulla base di regole differenti da quelle che caratterizzano la giurisdizione penale ordinaria» (cfr., sentenza n. 2 del 2022, punto 3.4. del Considerato in diritto).

Ebbene, prosegue la Corte, «dal momento che lo scopo sotteso al quinto comma dell'art. 628 c.p. ora all'esame è evidentemente quello di assicurare a talune ipotesi di rapina aggravata – ritenute dal legislatore produttive di particolare allarme sociale – una pena più severa di quella cui condurrebbe, nella generalità dei casi, l'applicazione dello stesso art. 69 c.p., la ratio della deroga a tale disciplina in favore dei condannati minorenni non può che sottendere la valutazione, da parte del legislatore, di una più ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto essendo ancora minorenne, per quanto già giudicato imputabile dal giudice». Una tale diminuzione della colpevolezza per il fatto di reato non può, però, non essere affermata anche con riferimento a chi abbia agito trovandosi in «tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere», come recita l'art. 89 c.p.

Lo stato di mente cui si riferisce quest'ultima disposizione sottende, infatti, un'anomalia psichica significativa, che comprende le vere e proprie malattie mentali, nonché i disturbi della personalità «di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere» (Cass., n. 9163 del 2005), oltre che dei disturbi della coscienza e della volontà provocati dall'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, in ogni ipotesi in cui tali effetti siano comunque riconducibili a una scelta rimproverabile all'autore (artt. 92,93 e 94 c.p.). D'altra parte, sottolinea la Corte, che la situazione della persona inferma di mente è equiparata, in alcune altre ipotesi nell'ordinamento penale, a quella del minorenne (come nella disciplina di cui all'art. 112, primo comma, numero 4), c.p., che prevede un identico aggravamento di pena a carico di chi abbia concorso con un «minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica» nella commissione di un reato).

Ebbene, conclude la Corte, che «non supera lo scrutinio di legittimità costituzionale al metro dell'art. 3 Cost. la scelta del legislatore di non estendere al condannato affetto da vizio parziale di mente la stessa regola derogatoria prevista per il condannato minorenne». Infatti, «una volta che il legislatore abbia ritenuto di prevedere una specifica deroga all'applicazione del meccanismo di computo delle circostanze previsto dall'art. 628, quinto comma, c.p. in favore dei minorenni, un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema, esige che tale deroga si estenda anche alla posizione, del tutto analoga sotto il profilo che qui rileva, degli imputati affetti da vizio parziale di mente».

Per tutte le ragioni suesposte, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall'art. 89 c.p., allorché concorra con l'aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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