Sinistro stradale: concorso di colpa della vittima e danno dei congiunti

14 Dicembre 2023

Con la sentenza n. 34625/2023, la Cassazione ha precisato le condizioni per l'incidenza del concorso di colpa della vittima di un sinistro stradale sulla quantificazione del danno iure proprio risarcibile ai congiunti.

Il sig. A.C. rimane vittima di un sinistro stradale causato da un conducente che guidava in stato di ebbrezza. Nel giudizio penale viene accertata la responsabilità dell'investitore per omicidio colposo e viene riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a favore dei congiunti del sig. A.C., da liquidarsi in separata sede. I congiunti della vittima instaurano diversi giudizi civili, poi riuniti, per sentir condannare in solido al ristoro dei pregiudizi patiti – iure proprio e iure hereditatis – l'investitore, le due comproprietarie del veicolo e l'assicurazione per la responsabilità civile automobilistica. Il Tribunale di Bologna, accertata l'esclusiva responsabilità per il sinistro in capo all'investitore, accoglie le domande attoree volte a ottenere il risarcimento dei soli danni iure proprio.

La pronuncia viene poi parzialmente riformata: la Corte d'Appello riduce l'entità del risarcimento riconosciuto ai congiunti per la perdita del rapporto parentale, ravvisando la corresponsabilità della vittima nella misura del 20% per l'inosservanza dell'obbligo di indossare la cintura di sicurezza.

I famigliari del sig. A.C. però impugnano la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, per quanto di interesse, l'erronea applicazione dell'art. 2054, 1° comma, c.c. In particolare, a parere dei ricorrenti, non si ravvisavano ragioni per la riduzione dell'entità del risarcimento da parte della Corte d'Appello perché il mancato uso della cintura di sicurezza era stato ininfluente rispetto al decesso del sig. A.C.

La Suprema Corte ha accolto la prospettazione dei famigliari del sig. A.C., sulla base del seguente ragionamento:

  • in applicazione dell'art. 1227, 1° comma, c.c., il risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla vittima dell'illecito (v., fra le altre, Cass. 4 novembre 2014, n. 23426; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; Cass. 26 maggio 2014, n. 11698);
  •  la diminuzione del risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per concorso colposo della vittima, tuttavia, trova fondamento normativo  anche direttamente nella disciplina del fatto illecito (i.e. nel caso specifico, nell'art. 2054 c.c.), dovendo il “cagionare” o il “produrre il danno” essere intesi in termini parziali laddove concorra una concausa umana colposa, sulla base di una lettura unitaria del complesso normativo derivante dagli artt. 1227, 1° comma, 2054 e 2055 c.c. (v. Cass. 17 febbraio 2017, n. 4208);
  • pertanto, affinché possa dirsi che il contegno colposo della vittima abbia effettivamente concorso nella causazione del pregiudizio patito dai congiunti, occorre accertare che la colpa ascrivibile alla vittima del sinistro (i) si sostanzi nella trasgressione di una regola cautelare alla cui osservanza la vittima era tenuta e che (ii) tale trasgressione abbia effettivamente inciso nell'eziologia del sinistro rivelatosi mortale.

Nella fattispecie concreta, la Corte d'Appello di Bologna aveva errato perché aveva ridotto l'entità del risarcimento spettante iure proprio ai congiunti, avendo accertato soltanto la violazione della regola cautelare da parte della vittima, senza svolgere alcuna indagine sull'incidenza causale di tale violazione rispetto all'evento morte.

La sentenza è dunque stata cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione per la decisione nel merito, in applicazione del seguente principio di diritto: «In caso di domanda di risarcimento del danno iure proprio proposta dai congiunti della vittima di un sinistro stradale mortale, l'idoneità della condotta colposa dell'ucciso a contribuire alla concausazione del danno deve essere apprezzata verificando, sulla base degli elementi probatori assunti a presupposto del giudizio fatto, l'effettiva incidenza avuta sull'evento morte dalla trasgressione della regola cautelare – generica o specifica – allo stesso ascritta». 

(Fonte: Diritto e Giustizia)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.