La convivenza prematrimoniale è rilevante ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio

20 Dicembre 2023

Con un’interpretazione evolutiva del diritto di famiglia la Suprema Corte riconosce l’importanza della convivenza prematrimoniale nella determinazione dell’assegno divorzile.

Le Sezioni Unite Civili – pronunciando su questione di massima di particolare importanza – hanno enunciato il seguente principio: «ai fini dell'attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, dell'assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l'esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».

Il fatto. Una donna – priva di occupazione lavorativa e madre di un ragazzo maggiorenne non autosufficiente – presentava ricorso contro la sentenza della Corte d'Appello, che le aveva ridotto l'assegno divorzile riconosciutole dal Tribunale.

La ricorrente lamentava che i Giudici d'Appello – ai fini della determinazione dell'importo dell'assegno – avessero tenuto conto della durata relativamente breve del matrimonio (sette anni), escludendo dal computo il lungo periodo di convivenza more uxorio vissuto dalla coppia prima di legalizzare l'unione.   

La Corte di Cassazione sul rilievo che la convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento - nei dati statistici e nella percezione delle persone - dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali, ha rimesso al Primo Presidente della Corte per le valutazioni di sua competenza in ordine alla possibile assegnazione alle Sezioni Unite della questione se ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, si deve tener conto anche del periodo di convivenza prematrimoniale (Cass. n. 30671/2022).

I giudici di legittimità hanno osservato che il giudice del merito si è attenuto al dato letterale della prescrizione normativa (durata del matrimoniosenza dare rilievo alcuno al periodo antecedente al formale coniugio (…) caratterizzato da una stabilità affettiva oltre che dall'assunzione spontanea di reciproci obblighi di assistenza.

La decisione. Il giudice della nomofilachia, attraverso una interpretazione evolutiva del diritto di famigliacollega la determinazione dell'assegno di divorzio alla convivenza prematrimoniale entra nella determinazione dell'assegno di divorzio.

Tale conclusione muove dalla constatazione che la convivenza prima delle nozze «è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società» e ne trae le dovute conseguenze soprattutto nelle ipotesi in cui in quel periodo siano state fatte scelte di vita e professionali determinanti.

La nozione di famiglia si dipana attraverso la commistione intrinseca di fatto e diritto.

Nel nostro ordinamento pur sussistendo una differenza fondamentale tra matrimonio e convivenza, anche dopo la legge sulle unioni civili (l. n. 76/2016), fondata sulla differenza dei modelli, dato che il matrimonio e, per volontà del legislatore, l'unione civile, appartengono ai modelli c.d. «istituzionali», mentre la convivenza di fatto, al contrario, è un modello «familiare non a struttura istituzionale»; tuttavia, convivenza e matrimonio «sono comunque modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale, anche a seguito della cessazione dell'unione istituzionale e dell'unione di fatto».

Non può infatti escludersi che una convivenza prematrimoniale, laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia «consolidato» una divisione dei ruoli domestici capace di creare «scompensi» destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire. E proprio la scelta di dare stabilità ulteriore all'unione di fatto attraverso il matrimonio, che rappresenta il fatto generatore della disciplina dell'assegno divorzile, vale a colorare e a rendere giuridicamente rilevante quel modello di vita, la convivenza di fatto o more uxorio, adottato nel passato, nel periodo precedente al matrimonio.

Sicché nella definizione dell'assegno di divorzio, non possono esservi differenze tra il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli.

Non si tratta, quindi, prosegue la Cassazione, di introdurre una, non consentita, «anticipazione» dell'insorgenza dei fatti costitutivi dell'assegno divorzile, ma di consentire che il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno al coniuge economicamente più debole, nell'ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale. Né appare decisiva la mancata previsione nella legge sulle unioni civili di un assegno in caso di cessazione della convivenza, «in quanto si tratta di attribuire specifico peso a quel progetto di vita familiare, già attuato in una comunione di vita, di fatto, che si è poi “trasfuso” in un matrimonio».

La stessa evoluzione giurisprudenziale si è fatta interprete di questo cambio di costume che, sia pure nell'ottica limitata della conservazione dell'assegno divorzile, ha riconosciuto la componente compensativa dell'assegno (divorzile) in presenza dei relativi presupposti anche in favore di chi aveva proceduto a instaurare una convivenza di fatto (Cass., sez. un., n. 32198/2021).

In particolare, è stata evidenziata la necessità di tener conto della convivenza prematrimoniale nel giudizio sulla ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, al fine di non penalizzare quest'ultimo nei casi nei quali la più lunga durata del primo matrimonio rispetto a quello del secondo sia stata in concreto compensata dal lungo periodo di convivenza precedente al secondo matrimonio.

La S.C., ribadendo la natura oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa dell'assegno di divorzio, inviata a considerare i casi in cui al matrimonio sia collegata una convivenza prematrimoniale della coppia «avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche».

Così statuendo, la Corte di Cassazione supera la prescrizione normativa legata alla durata del matrimonio, senza considerare il periodo antecedente al formale coniugio, caratterizzato da una stabilità affettiva oltre che dall'assunzione spontanea di reciproci obblighi di assistenza.

Tale soluzione si pone in sintonia con il riconoscimento dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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