Distrazione di somme aziendali e reato di appropriazione indebita: la Cassazione mette alcuni paletti

Ciro Santoriello
20 Dicembre 2023

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha ribadito il principio dell'assoluta autonomia fra impugnazione dell'ente e della persona fisica imputata.

Massima

In tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, l'imputato persona fisica autore del reato presupposto, anche quando sia rappresentante legale e, insieme, socio della persona giuridica, non è legittimato né ha interesse ad impugnare il capo della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità dell'ente, essendo quest'ultimo l'unico soggetto legittimato all'impugnazione.

Il caso

Il socio di una persona giuridica (una cooperativa a responsabilità limitata) presentava ricorso in cassazione per l'annullamento di una sentenza che in sede di appello ed in riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado aveva riconosciuto l'ente responsabile per un illecito amministrativo, condannandolo al pagamento della sanzione pecuniaria di 350 quote pari a 258 euro ciascuna, con la confisca di quanto in sequestro siccome costituente prezzo e profitto del reato.

La questione

La disciplina delle impugnazioni nell'ambito del processo avverso gli enti collettivi è contenuta negli artt. 71, 72 e 73, oltre che, giusto quanto dispone il più volte citato art. 34, nel codice di procedura penale – alle cui disposizioni deve farsi riferimento per quanto attiene all'individuazione del giudice competente, la definizione delle modalità di presentazione ed il contenuto dell'atto di impugnazione ecc.

La normativa in commento si apre con una disposizione dedicata alla impugnazione di sentenze che decidano sul merito della imputazione mossa alla persona giuridica; in particolare, l'art. 71, commi 1 e 2, concerne l'impugnazione della società dichiarata responsabile per i fatti attribuitigli, prescrivendo che laddove all'ente sia stata comminata una sanzione pecuniaria ovvero la pena della pubblicazione della sentenza e della confisca, la società può proporre impugnazione nei casi e nei modi consentiti all'imputato del reato da cui discenda l'illecito amministrativo contestato. Tale disposizione – che si applica tanto in caso di procedimento cumulativo verso l'ente e verso il singolo imputato che nell'ipotesi di trattazione della sola responsabilità della società - viene valutata criticamente da quanti sostengono che in tal modo i poteri di impugnazione dell'ente potrebbero essere condizionati da scelte processuali di soggetti diversi (Gennai – Traversi, La responsabilità degli enti, Milano 2000, 306, che evidenziano come laddove l'imputato scegliendo, ad esempio, il rito abbreviato potrebbe restringere considerevolmente le possibilità di impugnazione della società. Si veda anche Traversi, Commento all'art. 72, in AA.VV. (a cura di Levis – Perini), La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Bologna 2014, 1291), ma il problema non pare aver ragione di porsi nella misura in cui l'art. 71 opera solo con riferimento a sentenze pronunciate nei confronti dell'ente in esito al giudizio ordinario mentre in caso di ricorso a riti speciali la disciplina per l'impugnazione della decisione è quella contenuta nel codice di procedura penale agli artt. 443 e 448, con la conseguenza che «l'eventuale diverso mezzo di impugnazione ammesso per l'imputato che sia stato giudicato con il rito ordinario non produce effetto sul differente regime connesso ai riti alternativi» (Bassi – D'arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell'enti, Milano 2020, 740; Gallucci, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di Garuti, Padova, 2002 609. Nello stesso senso Spangher, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di Garuti, Padova, 2002, 377; Varraso, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano 2012, 416); detto altrimenti, la previsione di cui all'art. 71, comma 1, in commento deve essere letta, nel caso in cui non vi sia un procedimento unitario in fase di impugnazione, solo come equiparazione fra i mezzi di gravame azionabili dalla persona fisica nei confronti della decisione che la riguarda rispetto ad analoghi strumenti di impugnazione attribuiti all'ente contro la sentenza che, sempre nel rito ordinario, ne abbia accertata la responsabilità (Belluta, Le impugnazioni, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, 381).

Laddove invece vi sia condanna a pena interdittiva, all'ente è sempre concesso di proporre appello anche se questo non è ammesso per l'imputato del reato dal quale dipende l'illecito amministrativo, venendo in tal caso meno il principio generale dello stretto collegamento tra imputato ed ente richiamato dal legislatore al fine di evitare difformi soluzioni giudiziarie: la ragione di tale particolare previsione va rinvenuta nell'intento di apprestare maggiori garanzie a favore della persona giuridica in presenza di provvedimenti giudiziari che irrogano sanzioni gravi e rilevanti (Gallucci, Le impugnazioni, cit., 607). Nel caso, infine, di applicazione di sole sanzioni pecuniarie non risulta riconosciuta all'ente la facoltà di proporre appello – analogamente a quanto previsto per la posizione dell'imputato -, ma la decisione, ai sensi dell'art. 568, comma 2, c.p.p., può essere comunque oggetto di ricorso per cassazione.

L'art. 71, comma 3, invece, concerne l'impugnazione del pubblico ministero, il quale può proporre avverso la decisione in ordine alla responsabilità dell'ente le stesse impugnazioni consentite per il reato da cui dipende l'illecito amministrativo. La norma nulla prevede circa la possibilità per il pubblico ministero di impugnare una sola delle due decisioni relative alla colpevolezza del singolo autore dell'illecito ed della società; che tale facoltà sussista allorquando venga riconosciuta la responsabilità penale della persona fisica ed esclusa ogni implicazione dell'ente è pacifico, mentre dubbi possono porsi laddove il pubblico ministero decida di non appellare la sentenza di assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto e ricorra invece contro la decisione che escluda la sussistenza dell'illecito dell'ente.

Ai sensi dell'art. 72, le impugnazioni formulate dall'imputato e dall'ente si estendono reciprocamente anche alla parte non proponente, fatta eccezione per quelle fondate su motivi esclusivamente personali – si pensi, ad esempio, all'ammontare della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti dell'imputato o all'impugnazione dell'ente in cui ci si dolga dell'erronea imputazione del reato ecc. Affinché operi l'effetto estensivo è comunque necessario che l'altra parte non abbia presentato impugnazione o che la stessa non sia stata dichiarata inammissibile; parimenti non si produrrà alcun effetto estensivo nel caso in cui sia stata proposta impugnazione e questa sia stata decisa nel merito con passaggio in giudicato della pronuncia.  Si ricorda, inoltre, che – secondo l'insegnamento delle sezioni unite della Cassazione (Cass. pen., sez. un., 2 dicembre 2003, Chen, in Cass. Pen., 2004, 3298) - l'eventuale effetto estensivo dell'impugnazione proposta da uno dei coimputati non può dar luogo a sospensione dell'esecuzione a carico degli altri coimputati non impugnanti in relazione alla medesima sentenza passata in giudicato: il principio opera anche con riferimento al procedimento de quo laddove l'impugnazione – in caso di processo simultaneo – sia stata proposta dal solo imputato persona fisica e quale che sia la sanzione applicata alla persona giuridica (Gallucci, Le impugnazioni, cit., 619).

La volontà del legislatore di evitare ogni possibile situazione di conflitto tra giudicati trova espressa codificazione nella previsione dell'art. 73, il quale, richiamando l'art. 630 c.p.p., prevede la possibilità che venga richiesta la revisione del processo allorché «fatti stabiliti a fondamento della sentenza e del decreto penale di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza penale di condanna» (nonostante la norma parli di “sentenza” si ritiene che l'istituto della revisione possa operare anche in caso di pronuncia del decreto penale di condanna: Gallucci, Le impugnazioni, cit., 621; Belluta, Le impugnazioni cit., 385. Nel senso che, in sede di processo verso gli enti, l'impugnazione straordinaria sembra essere finalizzata esclusivamente alla risoluzione dei contrasti prodotti dalla coesistenza di sentenze pronunciate nei confronti di soggetti diversi e non solo del medesimo soggetto, diversamente nel codice di procedura penale, Gaito, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 674).

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato giudicato inammissibile.

La decisione è conforme ad un costante orientamento giurisprudenziale secondo cui «in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, alla luce di quanto disposto dall'art. 71, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l'imputato persona fisica autore del reato presupposto, anche quando sia rappresentante legale e, insieme, socio della persona giuridica, non è legittimato né ha interesse ad impugnare il capo della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità dell'ente, essendo quest'ultimo l'unico soggetto legittimato all'impugnazione» (Cass. pen., sez. II, 23 maggio 2019, n. 35442; Cass. pen., sez. V, 22 settembre 2015, n. 50102).

La ragione di questa conclusione va rinvenuta nella circostanza secondo cui secondo cui sono irrilevanti le conseguenze economiche indirette o riflesse che potrebbero riverberarsi nella sfera soggettiva del socio o dell'amministratore a seguito dell'irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001, a maggior ragione quando l'ente vanta personalità giuridica ed è dunque dotato di piena autonomia patrimoniale. In quest'ottica va letta, ad esempio, la giurisprudenza secondo cui è inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilità da reato degli enti, non essendo configurabile un autonomo interesse dell'imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilità dell'ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore (Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768).

Uniche eccezioni che la decisione in commento rinviene rispetto a tale conclusione ricorrono quando il ricorrente sia, oltre che socio della persona giuridica, anche legale rappresentante della stessa, ovvero, specie laddove si versi in un'ipotesi in cui condanna di una società di persone, la persona fisica ricorrente sia in grado di dedurre uno specifico interesse personale ad ottenere l'annullamento della sanzione inflitta alla società stessa.

Osservazioni

Con la sentenza in commento, la Cassazione ribadisce il principio dell'assoluta autonomia fra impugnazione dell'ente e della persona fisica imputata. Si tratta di affermazione già presente nella pronuncia Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2021, n. 11688, secondo cui «nell'ambito del procedimento nei confronti delle persone giuridiche, l'art. 587 comma primo c.p.p., che consente al coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante» con la conseguenza che «in caso di condanna dell'imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l'ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per cassazione, giacché l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 permette di estendere all'ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall'impugnazione presentata dall'imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per cassazione, con eversione della catena devolutiva».

Questa conclusione si fonda su una valorizzazione della (sia pur parziale) autonomia della posizione processuale dell'ente rispetto a quella della persona fisica responsabile del reato presupposto. Questo argomento è stato affrontato già in una precedente pronuncia (Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768) allorquando la Cassazione, interrogandosi intorno alla identificabilità di un interesse ad impugnare dell'imputato nei confronti del quale è stato dichiarato non doversi procedere per estinzione di un reato presupposto della responsabilità dell'ente e nei confronti del quale non siano state emesse statuizioni civili, affermò che «la regola della prevalenza del rilievo della causa estintiva del reato su quello concernente un vizio di motivazione o una nullità, salvo che non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, resta ferma nei confronti degli imputati persone fisiche anche per le ipotesi in cui i reati dichiarati estinti per prescrizione costituiscano il presupposto della responsabilità amministrativa di un ente a norma del d.lgs. n. 231/2001, almeno quando a carico di detti imputati non vi siano statuizioni civili». Nell'argomentare questa conclusione, si sostenne che «la disciplina in materia di impugnazioni di cui al d.lgs. n. 231/2001 non mira a creare assoluta identità di posizioni tra imputato persona fisica ed ente, bensì, come rileva la Relazione ministeriale, ad “evitare, fin dove possibile, l'insorgere di un possibile contrasto di giudicati tra l'accertamento penale e quello relativo all'illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato», nonché a garantire alla persona giuridica «la più ampia possibilità di impugnare pronunce applicative delle sanzioni interdittive”».

A tali considerazioni si è evidentemente richiamata in questa occasione la Suprema Corte, laddove ha evidenziato come l'autonomia giuridica fra le posizioni della società e dell'imputato persona fisica non possa venir messa nel nulla nemmeno facendo riferimento alle conseguenze economiche – peraltro solo eventuali – che in capo alla seconda possano derivare da una condanna dell'ente collettivo.

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