La presunzione di responsabilità a carico del conducente concorre con quella del proprietario dell’animale

20 Dicembre 2023

Lo stabilire se un fatto illecito resti disciplinato dall'art. 2043 c.c. o dall'art. 2052 c.c., quando su esso sia mancata in primo grado una pronuncia espressa, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda.

La società Alfa convenne in giudizio la Regione Marche chiedendo il risarcimento dei danni causati alla sua vettura da parte di un cinghiale sbucato improvvisamente sulla strada. Il Giudice di pace accolse la domanda liquidando una somma di denaro alla società e la Regione Marche propose appello che il Tribunale di Macerata accolse condannando la società Alfa alle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la sentenza del Tribunale di Macerata ricorre in cassazione la società Alfa.

Preliminare all'esame dell'eccezione di giudicato interno sollevata dalla Regione Marche è stato stabilire se la presunzione di cui all'art. 2052 c.c. si applichi ai danni causati dalla fauna selvatica, applicazione contestata dalla Regione.

Diversamente, infatti, il ricorso sarebbe inammissibile per irrilevanza della censura, in quanto invocherebbe la violazione d'una norma che il giudice non doveva applicare. Al quesito appena esposto la Cassazione ha risposto affermativamente: che la Regione debba rispondere ai sensi dell'art. 2052 c.c. dei danni causati dalla fauna selvatica è già stato affermato da numerose decisioni, tra le quali la recente Cass. 20 aprile 2020, n. 7969.

Sul punto, non sembra aver avuto rilevanza l'ordinanza n. 4 del 4 gennaio 2001 della Corte Costituzionale in cui la Consulta escluse che quell'interpretazione restrittiva, in allora diffusa, contrastasse col principio di uguaglianza. In secondo luogo, non è condivisibile l'affermazione secondo cui «il potere sulla fauna spetta allo Stato», non alle Regioni. Alle Regioni la legge attribuisce il potere di «emanare norme relative alla gestione ed alla tutela della fauna selvatica» ed è principio antico del diritto civile che l'attribuzione di qualsiasi potere comporta l'assunzione delle connesse responsabilità.

La qualificazione giuridica della domanda, infatti, resta invariata nell'uno come nell'altro caso: il risarcimento del danno da fatto illecito. Lo stabilire se debba applicarsi l'art.2043 o l'art.2052 c.c. è questione da risolvere in base al principio jura novit curia. Se dunque si ammette che la scelta tra l'applicazione dell'art. 2043 c.c. e l'applicazione dell'art. 2052 c.c. sia questione non di qualificazione della domanda, ma di riparto dell'onere della prova, deve negarsi la formazione del giudicato interno, posto che il giudicato sostanziale non si forma sugli errores in procedendo.

Chiarito ciò, i giudici hanno aggiunto che la modifica della domanda è sempre ammissibile quando riguarda «la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o comunque essere a questa collegata quanto meno per alternatività». E questo è il caso che ricorre nella vicenda analizzata in cui la parte attrice, infatti, chiedendo applicarsi l'art. 2052 c.c.:

  • ha invocato una diversa qualificazione giuridica della domanda;
  • non ha modificato i fatti posti a fondamento della domanda;
  • ha formulato una istanza alternativa, e non cumulativa, rispetto alla domanda originaria.

Sul punto è bene evidenziare che il precedente invocato dalla Regione con controricorso (Cass. 11 novembre 2020, n. 25280), oltre ad essere rimasto isolato non può ritenersi decisivo, in quanto dalla scarna esposizione dei fatti di causa non consente di stabilire se, in quel caso, vi fu o meno una pronuncia espressa sull'inapplicabilità dell'art. 2052 c.c. al caso di specie: circostanza decisiva ai fini della formazione del giudicato.

In conclusione, deve affermarsi il principio per cui lo stabilire se un fatto illecito resti disciplinato dall'art., 2043 c.c. o dall'art. 2052 c.c., quando su essa sia mancata in primo grado una pronuncia espressa, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda, e può essere prospettata per la prima volta in grado di appello.

Nel merito, la censura del primo motivo è fondata alla luce della giurisprudenza che ritiene applicabile alla Regione la presunzione di cui all'art. 2052 c.c., già in precedenza richiamata.

Con la censura del terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto “non superata” da parte sua la presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c. La Corte ha affermato più volte che essa, in virtù del principio jura novit curia, può ritenere fondato il ricorso anche per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione avvenga sulla base dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata. Ciò posto, ritiene il Collegio che sia erronea in punto di diritto l'affermazione del Tribunale, nella parte in cui parrebbe sostenere che, nel caso di sinistri stradali causati da fauna selvatica, dapprima il giudicante debba accertare se il danneggiato abbia fatto tutto il possibile per evitare il sinistro; e solo dopo che sia stata fornita tale prova, scatterebbe la presunzione di colpa di cui all'art. 2052 c.c. a carico del proprietario dell'animale.

La Corte, infatti, ha affermato che nel caso di sinistro stradale causato da un animale, la presunzione di responsabilità a carico del conducente concorre con, ma non prevale su, la presunzione di colpa a carico del proprietario dell'animale.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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