Legittimo il collocamento del minore in comunità se costituisce l’unico rimedio in grado di preservalo da un conflitto genitoriale per lui altamente pregiudizievole

Gabriele Scuffi
21 Dicembre 2023

La sentenza in commento affronta la tematica dell’affidamento del minore all’Ente e al suo collocamento in Comunità richiamando il best interests of the child quale criterio guida principale che deve seguire e valorizzare il Giudice per l’adozione dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale.

Massima

I provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ex  art 333 c.c., tra cui rientra anche l'affidamento del minore ai Servizi Sociali richiamato dalla l. n. 184/1983, sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli e costituiscono sempre l'extrema ratio traducendosi in misure adottabili qualora la condotta del genitore si traduca in un grave pregiudizio per il minore e solo ove gli altri provvedimenti disciplinati dal legislatore non siano comunque idonei a tutelare l'interesse prevalente di quest'ultimo a crescere sano nel contesto familiare d'origine.

Risulta, pertanto, legittimo il collocamento in comunità del figlio se costituisce l'unico rimedio che possa preservarlo da una situazione conflittuale e manipolatoria per lui altamente pregiudizievole.

Il caso

Il Tribunale di Busto Arsizio, nell'ambito di un procedimento ex art. 337-bis c.c. e s.s., ha disposto l'affidamento del figlio minore all'Ente e il suo collocamento etero-familiare , fino alla conclusione del ciclo scolastico della scuola elementare, presso una Comunità prevedendo, inoltre, che gli incontri con i genitori avvengano tramite videochiamate nonché, all'esito di tale percorso, la collocazione preferenziale del minore presso il padre e la regolamentazione degli incontri tra la madre e il figlio secondo un calendario da predisporsi a cura dell'Ente affidatario.

Il Tribunale ha motivato la decisione adottata ravvisando l'infruttuosità di ogni altro tentativo di sostegno per il minore e per i genitori, il grave pregiudizio subito dal figlio e l'atteggiamento non collaborativo della madre.

La Corte d'Appello di Milano, a seguito del reclamo presentato da quest'ultima, ha riformato solo parzialmente il decreto impugnato incaricando i Servizi Sociali di proseguire nell'organizzazione di incontri protetti e osservati tra il minore e ciascun genitore e di provvedere ad una loro progressiva intensificazione, in prospettiva di una futura liberalizzazione, se ritenuta conforme all'interesse del minore.

La Corte d'Appello ha ritenuto, in particolare, corretta la decisione del Tribunale di disporre il collocamento del minore in Comunità ritenendo ancora tale misura l'unico rimedio in grado di preservarlo dalla situazione conflittuale tra i genitori e dalla condotta manipolatoria della madre per lui altamente pregiudizievole.

Avvero tale sentenza la madre ha presentato ricorso per Cassazione eccependo tra i motivi proposti anche la violazione dell'art. 8 della CEDU e falsa applicazione degli artt. 330 e 333 c.c.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso rilevando la legittimità del provvedimento assunto dal Giudice di merito con cui è stato disposto l'affidamento etero-familiare del minore con collocamento dello stesso presso una Comunità ritenendo tale misura l'unica soluzione possibile nell'interesse superiore del minore.

La questione

La sentenza in commento affronta la tematica dell’affidamento del minore all’Ente e al suo collocamento in Comunità richiamando il best interests of the child quale criterio guida principale che deve seguire e valorizzare il Giudice per l’adozione dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale.

Le soluzioni giuridiche

1) La responsabilità genitoriale

La responsabilità genitoriale consiste in quel complesso di poteri e di doveri attribuito al genitore a protezione e a tutela dei figli minorenni e si traduce nel nell'attribuzione del potere di proteggere, educare e istruire il bambino e di curarne gli interessi (cfr. art. 147 c.c.).

Il d.lgs. 154/2013 ha profondamente innovato la materia del diritto di famiglia e ha sostituito il concetto di potestà genitoriale con quello di responsabilità genitoriale significando che i poteri che i genitori hanno nei confronti dei figli sono funzionali al loro interesse (cfr. artt. 315 ss. c.c.).

La riforma nasce da un Regolamento dell'Unione Europea, il c.d. Bruxelles II bis, che introduce tale concetto nel proprio art. 2 n. 7 il quale definisce la “responsabilità genitoriale” come l'insieme dei i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore, riguardanti la persona o i beni di un minore” (cfr. Reg. CE n. 2201/2003)

L'art. 315-bis c.c. (commi I e II) prevede che «Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»

La responsabilità genitoriale consiste, quindi, nell'insieme dei doveri-diritti che l'ordinamento pone a carico dei genitori nell'interesse del figlio.

Il legislatore ha voluto porre l'accento sui figli e significare che i doveri dei genitori nei loro confronti sono funzionali al loro benessere e alla loro armonica crescita e, in quanto tali, vanno esercitati con senso di responsabilità e spirito di servizio.

Dalla concezione “adultocentrica” si è passati, quindi, ad una prospettiva che vede il minore non più soggetto ad un potere-dovere del genitore, ma titolare di diritti di cura, di mantenimento, istruzione ed educazione.

Con l'espressione responsabilità genitoriale si è quindi definitivamente eliminata quella connotazione di subordinazione che caratterizzava il rapporto genitori-figli.

La responsabilità genitoriale indica invece oggi il contenuto della posizione del genitore nella relazione col figlio, che costituisce oggetto di specifica tutela giuridica; allo stesso tempo il diritto riconosce e garantisce anche la posizione del figlio in relazione al genitore. È il diritto relazionale, che pone genitori e figli, su un piano non più gerarchico ma orizzontale.

2) La natura e funzione dei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale

Al fine di proteggere i diritti che l'ordinamento nazionale, l'Unione Europea e le Convenzioni internazionali riconoscono al minore, la legge prevede ampi poteri di intervento e di controllo da parte dell'Autorità giudiziaria in caso di violazione dei doveri dei genitori nei confronti dei figli o di abuso dei poteri, ove da simili comportamenti possano derivare gravi pregiudizi in capo a loro.

Il Giudice può adottare infatti i c.d. provvedimenti modificativi ed ablativi della responsabilità genitoriale che la stessa Corte di Cassazione nella sentenza in commento inquadra espressamente tra gli strumenti preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli (Cfr. anche Cass., sez. I, sent. n. 14145/2017).

I provvedimenti de potestate hanno, infatti, lo scopo di tutelare i figli dai possibili pregiudizi derivanti dall'inadempimento dei genitori ai propri doveri e di garantire la corretta crescita e lo sviluppo fisico e psicologico del minore, evitando la reiterazione e il protrarsi degli effetti pregiudizievoli (AA.VV., Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014).

- L'articolo 330 c.c. attribuisce espressamente al Giudice la possibilità di dichiarare la decadenza dalla responsabilità genitoriale di quel genitore che violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio nei confronti del figlio. Il giudice, valutata la sussistenza di gravi motivi, può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare o l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

- L'articolo 333 c.c. prevede, invece, l'ipotesi in cui la condotta pregiudizievole del genitore non sia tale da dare luogo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, ma appaia comunque pregiudizievole nei confronti del figlio. In tal caso il giudice può adottare i provvedimenti che ritiene più convenienti e disporre eventualmente l'allontanamento del figlio o del genitore dalla casa familiare.

Si tratta di misure che postulano la sussistenza di una situazione di pregiudizio inerente la sfera famigliare del minore, tale da incidere negativamente sulla sua crescita armonica e sul suo sviluppo: la funzione di tali provvedimenti, pertanto, è anzitutto protettiva e preventiva.

La ratio dei provvedimenti di cui agli artt, 330 e 333 c.c. va ricercata nell'esigenza di assicurare supporto e tutela nei confronti del minore, in presenza di situazioni che per quest'ultimo siano «pregiudizievoli» (art. 333 c.c., per quanto riguarda la limitazione della responsabilità) o di «grave pregiudizio» (art. 330 c.c., per quanto riguarda la decadenza).

Si tratta di ipotesi che differiscono principalmente dal punto di vista quantitativo.

A seconda della gravità del pregiudizio che è stato arrecato o che eventualmente possa derivare al minore dalla condotta del genitore, il Giudice valuta se fare assumere il provvedimento ai sensi dell'articolo 330 o 333 cod. civ.

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha offerto una lettura congiunta delle due norme chiarendo che il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale costituisce comunque sempre l'extrema ratio, ossia è misura adottabile non solo quando la condotta del genitore si traduca in un grave pregiudizio per il minore ma anche quando gli altri provvedimenti disciplinati dal legislatore non siano comunque idonei a tutelare l'interesse prevalente di quest'ultimo a crescere sano nel contesto familiare d'origine.

3) La limitazione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c.

Ove il comportamento del genitore non sia tale da giustificare la pronuncia della decadenza della responsabilità, ma sia in ogni caso pregiudizievole per il figlio, potranno essere adottati i più opportuni provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ex  art. 333 c.c..

È bene precisare che la norma di cui all'art. 333 c.c. può essere considerata a contenuto aperto vista anche la pregnanza delle due parole usate dal legislatore:

a) “condotta” di uno o entrambi i genitori. Il legislatore non ha indicato, volutamente, quale specifica condotta giustifica l'applicazione della sanzione: è lasciato alla libertà dell'interprete il compito di riempire di significato questa locuzione, liberando ampio spazio all'ingresso di numerose diverse e variegate fattispecie nell'ambito di applicazione di questa norma. Da notare anche che la condotta descritta non è caratterizzata dall'aggettivo “grave” come avviene nell'art. 330 c.c. sicché è da ritenersi che la condotta pregiudizievole possa anche non essere in sé e per sé grave, purché sia appunto pregiudizievole;

b) provvedimenti convenienti che il Giudice assume a fronte delle condotte pregiudizievoli contestate.

Se l'art. 330 c.c. rendeva tipica la reazione dell'ordinamento alla condotta pregiudizievole grave, così non è in questo caso che, gioco forza, va considerato su un gradino gerarchico arretrato nel percorso di repressione delle condotte.

I provvedimenti convenienti possono essere liberamente stabiliti dal Giudice in base alla singola fattispecie lesiva presentata e possono, quindi, essere di varia natura. Possono comprendere, lo dice l'articolo stesso, anche l'allontanamento dalla casa familiare del minore o del genitore danneggiante o del convivente. (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l'adozione, Milano, 2016).

4) L'affidamento all'Ente (Art 5-bis l. 184/1983).

La Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento ha chiarito che l'affidamento del minore all'Ente costituisce una misura limitativa della responsabilità genitoriale riconducibile al disposto di cui all'art. 333. c.c. (Cfr. anche Cass. civ. 10 dicembre 2018, n. 31902; Tribunale di Milano, sez. IX civ. decr. 6 maggio 2014).

L'affidamento ai Servizi si traduce di fatto in una misura di sostegno estremamente duttile: consente agli stessi non solo di proteggere il minore ma anche di sostenere le funzioni genitoriali attraverso concrete indicazioni educative e un'opera costante di restituzione delle responsabilità educative degli adulti.

Permette di dare agli operatori del Servizio Sociale un mandato forte e preciso di intervento, affinché mantenga una vigilanza adeguata su situazioni instabili, sì da poter seguire i genitori e aiutarli in modo adeguato e soprattutto autorevole nel recupero della capacità genitoriale.

Al Servizio viene attribuito, nella maggior parte dei casi, un potere indeterminato ed ampio che spazia dal sostegno ai genitori e controllo della situazione familiare, all'attuazione delle modalità di visita stabilite dal Tribunale o persino fino ad arrivare all'attribuzione vera e propria dell'esercizio della responsabilità genitoriale, relativamente alle scelte sull'educazione, istruzione e salute.

La designazione dell'ente pubblico, per l'esercizio della responsabilità genitoriale, in sostituzione dei genitori, in applicazione dell'art. 333 c.c. comporta che sia l'Ente di riferimento ad avere la facoltà di decidere per il minore, anche e soprattutto dirimendo contrasti insorti tra i genitori.

L'applicazione dell'art. 333 c.c. ha proprio questa funzione: si affida il minore all'Ente perché la conflittualità tra i coniugi è talmente patologica che, in difetto di intervento permanente del Comune, vi sarebbero continuamente controversie, litigi, a discapito del benessere del minore.

E se quest'ultimo, come nel caso di specie, risulta anche destabilizzato perché invischiato pesantemente nel conflitto genitoriale, può essere anche disposto l'allontanamento dalla sua famiglia di origine e il suo collocamento in una Comunità.

La Corte di Cassazione nella sentenza in commento chiarisce che l'affidamento del minore all'Ente trova la propria fonte normativa:

  • nell'art. 337-ter c.c. che prevede che il Giudice possa adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare.
  • nella disciplina dell'art. 5 bis l. n. 184/1983 (introdotta dal d.lgs n. 149/2022) che prevede che, salvi i casi di urgenza, il minore possa essere affidato ai servizi sociali solo quando si trovi in una condizione di pregiudizio che richiede l'applicazione di una misura di limitazione della responsabilità genitoriale ex articolo 333 c.c. e gli interventi di sostegno alla famiglia previsti dall' articolo 1 della legge adozione si siano rivelati inefficaci o i genitori non abbiano collaborato alla loro attuazione.

La nuova norma risponde all'esigenza di procedimentalizzare l'attività che i Servizi svolgono nelle situazioni in cui l'intervento del Giudice limita la responsabilità genitoriale. Si determinano infatti nel provvedimento che dispone l'affido ai servizi sociali,

a) il soggetto presso il quale il minore è collocato;

b) gli atti che devono essere compiuti direttamente dal servizio sociale dell'ente locale, anche in collaborazione con il servizio sanitario, in base agli interventi previsti dall'articolo 4, comma 3;

c) gli atti che possono essere compiuti dal soggetto collocatario del minore;

d) gli atti che possono essere compiuti dai genitori;

e) gli atti che possono essere compiuti dal curatore nominato ai sensi dell'articolo 333, secondo comma, del codice civile;

f) i compiti affidati al servizio sociale ai sensi dell'articolo 5, comma 2;

g) la durata dell'affidamento, non superiore a ventiquattro mesi;

h) la periodicità, non superiore a sei mesi, con la quale il servizio sociale riferisce all'autorità giudiziaria che procede ovvero, in mancanza, al giudice tutelare sull'andamento degli interventi, sui rapporti mantenuti dal minore con i genitori, sull'attuazione del progetto predisposto dal tribunale».

5) Il collocamento del minore in Comunità come soluzione “estrema” nell'interesse del minore.

Come sopra anticipato vi sono poi situazioni di fragilità, come quella del caso di specie - in cui è stato rilevato che il minore, a causa del conflitto genitoriale in cui è stato coinvolto, è stato coartato emotivamente tanto da non poter neppure esprimersi liberamente - che rendono indispensabile, per garantire una crescita serena del minore, l'attivazione di percorsi di protezione offerti da una comunità di tipo familiare (Cfr. Cass. civ. 4797/2022).

La misura dell'affido etero-familiare prevista dall'art. 4 della l. n. 184/1983, è temporanea e può essere disposta dal Giudice per rimuovere situazioni di difficoltà e disagio familiare collegate all'esercizio della responsabilità genitoriale.

I Giudici di legittimità, nel confermare la correttezza della decisione della Corte d'Appello - che aveva ravvisato nel collocamento comunitario del minore l'unica misura che fosse realmente idonea a tutelarlo da una situazione conflittuale e manipolatoria per lui pregiudizievole - hanno fatto altresì richiamo nella sentenza emessa all'art. 8 CEDU ( che prevede il diritto al rispetto della vita privata e familiare) nonché alla Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176.

Tale Convenzione riconosce in maniera solenne i diritti dell'infanzia - tra cui il diritto del fanciullo a preservare le relazioni familiari così come riconosciute dalla legge senza ingerenze illegali. (art. 8) e il diritto del fanciullo a non essere separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo (art. 9) – prevedendo inoltre che in tutte le decisioni relative ai fanciulli l'interesse superiore del minore debba essere una considerazione preminente (art. 3).

La Suprema Corte di Cassazione chiarisce nella sentenza in commento che il dovere dell' Autorità giudiziaria di “non intervenire” (evitando quindi l'allontanamento del minore dai genitori) non si traduce solo in un obbligo “negativo” ma anche “positivo” ogni volta che l'ingerenza risulti essere necessaria per assicurare al minore l'affettivo godimento dei propri diritti.

È in tale contesto che vanno, quindi, inquadrati i provvedimenti limitativi e/o ablativi della responsabilità genitoriale la cui adozione, sia pur rappresenti soluzione “estrema”, è sempre legittima quando rappresenti l'unico rimedio possibile funzionale a tutelare gli interessi dei figli.

Osservazioni

La pronuncia in commento esalta il criterio del best interest of the child, evidenziando come l'interesse della prole costituisca criterio guida del Giudice anche nell'adozione dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale.

Il principio del superiore interesse del minore riconosce del resto al minore diritti propri ed insieme costituisce una clausola generale positivamente predisposta al fine di permettere al Giudice la valutazione concreta delle peculiarità della situazione sottoposta al suo esame affinché adotti la decisione che a suo giudizio realizzi il miglior interesse del minore.

La priorità dell'interesse del minore è il principio alla base del sistema del diritto minorile e familiare: deve cioè essere salvaguardato con prevalenza rispetto ad altri interessi confliggenti.

La giurisprudenza ha infatti più volte chiarito che “ogni decisione sull'affidamento del minore dev'essere prioritariamente orientata a garantire il massimo benessere per quel determinato minore, protagonista della vicenda. L'interprete è in questa sede chiamato a una delicata interpretazione ermeneutica di bilanciamento, la cui specialità consiste nel predicare in ogni caso la preminenza del diritto del minore e la recessività dei diritti che con esso possono collidere.” (Cfr. Cass. civ. 24 marzo 2022, n 9691).

La sussistenza di una situazione di pregiudizio inerente la sfera familiare di appartenenza del minore rende, quindi, necessaria la pronuncia di un provvedimento protettivo, in ipotesi di conflittualità familiare grave che incide negativamente sul piano dell'armonico sviluppo della personalità dello stesso, necessitante di serene ed equilibrate relazioni familiari.

Il giudice deve mettere, pertanto, al centro della valutazione il pregiudizio che il minore può subire come conseguenza delle condotte dei genitori assumendo delle misure (come appunto l'affido etero familiare con collocamento, sia pur temporaneo, dello stesso in una Comunità) che sia pur gravose non hanno uno scopo punitivo nei confronti del genitore, ma solo protettivo nei riguardi del figlio!

L'interesse del minore ha un valore non di mero fatto, ma giuridico e preminente, reclamando una tutela efficace di tutte le esigenze connesse ad un compiuto ed armonico sviluppo della personalità (Corte cost.n.205/2015; Cass. civ., sez. I n.19599/2016), a protezione delle quali i diritti dei genitori, se non esercitati funzionalmente, possono essere sacrificati con una loro compressione temporanea o ablati o rescissi definitivamente.

La pronuncia è significativa perché valorizza le misure limitative della responsabilità genitoriali quali effettivi strumenti di tutela del minore da quelle condotte genitoriali che, comunque denominate, siano in concreto di estremo pregiudizio per loro.

La pronuncia è inoltre importante anche in quanto la Corte, oltre a ripercorrere la portata degli articoli 6 e 8 della CEDU, ne integra l'interpretazione ai sensi della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo esaminando con equilibrio la misura della necessaria ingerenza dello Stato a tutela del minore, con particolare riguardo all'affidamento etero-familiare disciplinato dalla l. 184/1983 ed ai provvedimenti assunti ai sensi degli articoli 330 e 333 del Codice Civile.

Primario è il ruolo assegnato ai Servizi Sociali, posto che il diritto alla propria famiglia va garantito innanzitutto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuoverne le cause, di ordine economico e sociale, che possano precludere in essa una crescita serena del bambino.

Compito del Servizio Sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma soprattutto di concorrere con interventi di sostegno a rimuoverle (cfr. in questo senso, Cass. n. 22640/2008; Cass. n. 7115/2011; Cass. sez. I, sent. n. 15011 /2006; Cass.n. 22589/2017; Cass. n. 7559/2018).

La sentenza in commento della Corte di Cassazione ha il pregio, altresì, anche di valorizzare in modo oggettivo i comportamenti manipolatori del genitore identificandoli semplicemente come atti pregiudizievoli e lesivi del superiore interesse del minore senza necessariamente ricondurli alla sindrome da alienazione genitoriale

Una impostazione questa in linea con il proprio orientamento secondo cui “il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale” (Cfr. Cass. civ. ord. n. 9691/2022)

In caso di condotte genitoriali che, comunque denominate, siano in concreto di estremo pregiudizio per i minori, deve essere fornita e garantita loro la massima tutela in costanza dei procedimenti giudiziari.

Il principio dell'interesse superiore del minore è stato senza dubbio la ratio della pronuncia in commento nella quale ben emerge anche come il diritto alla bigenitorialità sia da considerarsi, anzitutto, un diritto del minore prima che dei genitori, con la conseguenza che il suo esercizio deve avere come obiettivo primario quello di soddisfare, in primis, il miglior interesse del minore.

Ecco, quindi, che il delicato compito di chi è chiamato ad adottare decisioni aventi un forte impatto nella vita dei minori, deve essere sempre quello di effettuare un giusto bilanciamento dando preminenza al diritto del minore rispetto a tutti quegli altri diritti che con esso possono collidere.

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