Sciopero dei dipendenti pubblici: l’adozione di misure disciplinari non viola la libertà sindacale se previste garanzie istituzionali per difendere efficacemente gli interessi professionali

La Redazione
22 Dicembre 2023

Con sentenza del 14 dicembre 2023 (n. 59433/18 e altre 3), la Corte EDU si è pronunciata su una causa che vedeva coinvolti degli insegnanti dipendenti pubblici, i quali denunciavano le misure disciplinari adottate nei loro confronti per aver partecipato, durante il loro orario di lavoro, a scioperi organizzati dal sindacato di cui erano membri per protestare contro un peggioramento delle condizioni di lavoro del loro settore professionale. La Corte ritiene che il divieto di sciopero imposto agli insegnanti rientranti nello statuto di funzionario, che mira a garantire l'esercizio delle funzioni dello Stato grazie ad una pubblica amministrazione efficace e l'accesso all'istruzione, in particolare, non ha revocato il loro diritto alla libertà sindacale nella sua sostanza in quanto, le varie garanzie istituzionali che sono state messe in atto offrono ai funzionari e ai sindacati la possibilità di difendere efficacemente gli interessi professionali dei lavoratori e interessati. Pertanto, i giudici di Strasburgo affermano che le misure disciplinari adottate contro i ricorrenti rientravano nel c.d. «margine di discrezionalità» di cui dispone lo Stato membro.

Il caso

I ricorrenti, cittadini tedeschi, all'epoca dei fatti erano impiegati come insegnanti in diversi Bundesländer ed  erano inquadrati nello statuto di funzionari. Nel 2009 e 2010 gli stessi, tutti membri del sindacato degli insegnanti e dei ricercatori, si assentarono dal lavoro per periodi che andavano da un'ora a tre giorni per chiedere un miglioramento delle condizioni di apprendimento e dell'attività lavorativa. In seguito, furono oggetto di sanzioni disciplinari dovute a tale sciopero.

Dopo aver contestato, senza successo, dinanzi a diverse giurisdizioni amministrative, le decisioni emesse nei loro confronti, ossia le misure basate sul divieto di sciopero imposto ai funzionari, i ricorrenti adirono la Corte costituzionale federale, la quale nel 2018 si pronunciò contro gli stessi, ritenendo che l'art. 9, § 3 (libertà di associazione) della Legge fondamentale (tedesca) si applicasse a tutti, compresi i dipendenti pubblici, e che le misure disciplinari adottate contro i ricorrenti si configuravano quindi come un'ingerenza nell'esercizio da parte degli interessati del loro diritto di costituire un'associazione.

La Corte costituzionale federale riteneva tuttavia che tale ingerenza fosse giustificata da altri interessi costituzionali, in particolare dai principi tradizionali della funzione pubblica di cui all'art. 33, § 5 della Legge fondamentale, tra cui uno di questi era il divieto di sciopero. Essa precisava che tale divieto aveva lo scopo di garantire la stabilità dell'amministrazione, l'esercizio delle funzioni dello Stato e quindi il funzionamento di quest'ultimo e delle sue istituzioni. Essa riteneva inoltre che concedere un diritto di sciopero anche solo ad alcuni funzionari avrebbe rimesso fondamentalmente in causa tutta la struttura della funzione pubblica in Germania e, quanto meno, avrebbe richiesto una rifusione del «principio di alimentazione», del dovere di lealtà e del lavoro a vita e del principio secondo cui i diritti e gli obblighi materiali dei funzionari, compresa la loro retribuzione, spettavano al legislatore, risultando una violazione delle garanzie di cui all'art. 33, § 5 della Legge fondamentale.

La Corte conclude pertanto che, nel complesso, la restrizione imposta ai diritti dei ricorrenti non era irragionevole e non aveva avuto l'effetto di rendere inefficace il loro diritto alla libertà di associazione, ritenendo, in particolare, che il legislatore avesse sufficientemente compensato il divieto di sciopero offrendo alle organizzazioni centrali che raggruppano i sindacati dei funzionari il diritto di partecipare alla redazione di nuove disposizioni legislative che disciplinano lo statuto dei funzionari e ai funzionari la possibilità di adire le vie legali per ottenere una retribuzione adeguata, conformemente al suddetto «principio dell'alimentazione».

La Corte tedesca ha quindi giudicato il divieto di sciopero compatibile con l'art. 11 della Convenzione EDU, ritenendo che la misura in questione fosse giustificata alla luce della prima frase del secondo paragrafo di tale disposizione («L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui»), aggiungendo che i ricorrenti fossero «membri dell'amministrazione dello Stato», ai quali potevano essere imposte restrizioni in virtù della Convenzione stessa.

La decisione della Corte EDU

La Corte EDU, in risposta al ricorso, ricorda che la libertà sindacale non è un diritto indipendente, ma un aspetto particolare della libertà di associazione riconosciuta dall'art. 11 della Convenzione EDU. Nel corso del tempo, la Corte ha sviluppato la propria giurisprudenza in materia, enunciando come elementi essenziali costitutivi della libertà sindacale il diritto di fondare un sindacato o di aderirvi, il divieto degli accordi di monopolio sindacale, il diritto di un sindacato di cercare di persuadere il datore di lavoro ad ascoltare ciò che ha da dire a nome dei suoi membri, nonché il diritto di contrattazione collettiva. Tuttavia, non ha ancora deciso se un divieto di sciopero riguardi un elemento essenziale della libertà sindacale ai sensi dell'art. 11 della Convenzione EDU.

Per rispondere alla domanda se un divieto di sciopero abbia toccato un elemento essenziale della libertà sindacale, la Corte ha dovuto prendere in considerazione la totalità delle misure che lo Stato convenuto ha adottato per garantire la libertà sindacale nonché gli altri mezzi e diritti che ha accordato ai sindacati e ai loro aderenti affinché questi possano difendere i loro interessi. Nello specifico, i giudici di Strasburgo, nell'esaminare altre particolarità della struttura dei rapporti di lavoro nell'ambito del sistema in questione, valutano la possibilità di ricorrere alla contrattazione collettiva, il settore e la posizione dei lavoratori interessati. Tuttavia, anche se in un determinato contesto potrebbe non incidere su un elemento essenziale della libertà sindacale, un divieto di sciopero riguarderebbe comunque un'attività sindacale fondamentale quando si tratterebbe di un'azione rivendicativa diretta. In ogni caso, la discrezionalità dello Stato è limitata.

Nel caso di specie sono state adottate misure contro i ricorrenti a causa della loro partecipazione a scioperi durante l'orario di lavoro. Tali misure, che si analizzano pertanto in un'ingerenza nell'esercizio da parte loro del diritto alla libertà di associazione, erano basate sull'art. 33, § 5 della legge sullo statuto dei funzionari e delle leggi sui funzionari dei vari Länder. La Corte costituzionale federale interpreta costantemente la Legge fondamentale come consacrante un tale divieto per tutti i funzionari e pertanto, la restrizione controversa era quindi prevista dalla legge.

Relativamente all'argomentazione del Governo secondo cui la restrizione del diritto di sciopero dei funzionari ha lo scopo di garantire la stabilità dell'amministrazione, l'esercizio delle funzioni dello Stato e il buon funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni, la Corte ritiene che lo scopo invocato sia legittimo. Quest'ultima osserva che il divieto di sciopero imposto ai funzionari, compresi gli insegnanti soggetti a tale statuto, è assoluto e può essere qualificato come una restrizione «severa», ammettendo che imporre a tutti i funzionari un divieto generale di sciopero solleva questioni specifiche dal punto di vista della Convenzione.

Per quanto riguarda gli argomenti sollevati dai ricorrenti in relazione al diritto internazionale del lavoro, la Corte rileva che l'approccio seguito dalla Germania per imporre a tutti i dipendenti pubblici, i cui ricorrenti, un divieto di sciopero, si discosta dalla tendenza internazionale. Infatti, gli organismi internazionali di controllo istituiti in virtù degli strumenti internazionali specializzati hanno ripetutamente criticato il divieto di sciopero imposto ai funzionari tedeschi in ragione del loro statuto. Senza rimettere in discussione l'analisi di tali organi, la Corte ricorda che, essendo la sua competenza limitata alla Convenzione, essa ha il compito di verificare se, così come è stata applicata ai ricorrenti, la legislazione nazionale pertinente sia proporzionata, conformemente all'art.11, § 2 della Convenzione.

Se rappresenta una parte importante dell'attività sindacale, lo sciopero non è l'unico mezzo per i sindacati e i loro membri di tutelare gli interessi professionali in gioco. I funzionari in Germania possono fondare un sindacato e iscriversi ad esso, e numerosi funzionari, tra cui i ricorrenti, si sono avvalsi di tale diritto. I sindacati dei funzionari godono per legge di un diritto di partecipazione quando sono redatte le disposizioni legislative che disciplinano la funzione pubblica. La Corte osserva inoltre che nessuna delle altre Parti contraenti offre ai sindacati diritti comparabili di partecipazione alla fissazione delle condizioni di lavoro per compensare il divieto di sciopero imposto ai lavoratori interessati.

Inoltre, la Costituzione conferisce a ogni funzionario il diritto, opponibile in giudizio, di percepire una retribuzione adeguata, che deve tener conto, in particolare, dei gradi e delle responsabilità dell'interessato, e riflettere sia l'evoluzione della situazione economica e finanziaria globale sia il tenore di vita generale («il principio dell'alimentazione»).  

I giudici ritengono che, considerate nella loro globalità, le varie garanzie istituzionali esistenti consentano ai sindacati dei funzionari e ai funzionari stessi di difendere in modo efficace gli interessi professionali in gioco. Infatti, l'elevato tasso di sindacalizzazione constatato tra i funzionari della Germania è il segno dell'effettività, nella pratica, dei diritti sindacali garantiti ai dipendenti pubblici. Pertanto, il divieto di sciopero non ha svuotato la libertà sindacale di quest'ultimi della sua sostanza.

Inoltre, le misure disciplinari adottate nei confronti dei ricorrenti non erano severe e perseguivano, in particolare, l'importante scopo della tutela dei diritti sanciti dalla Convenzione attraverso un'efficace amministrazione pubblica (nel caso di specie, il diritto all'istruzione). Le giurisdizioni interne hanno altresì giustificato le misure disciplinari in questione con motivi pertinenti e sufficienti, soppesando gli interessi in gioco e tenendo conto della giurisprudenza della Corte nel corso del procedimento interno.

Le condizioni concrete di impiego degli insegnanti che rientrano nello statuto di funzionario in Germania militano inoltre a favore di una constatazione di proporzionalità delle misure controverse nella fattispecie, così come la possibilità di insegnare in una scuola pubblica rientrando nello statuto di contraente del settore pubblico titolare del diritto di sciopero.

La Corte giunge quindi alla conclusione che i provvedimenti disciplinari adottati contro i ricorrenti non hanno ecceduto il margine di valutazione riconosciuto allo Stato e si sono rivelati proporzionati agli importanti scopi legittimi perseguiti, non ritenendo sussistente la lamentata violazione dell'art. 11 della CEDU.

Sul tema, si rimanda alla Giurisprudenza commentata di N. TRITTAIl diritto di sciopero e la CEDU: ammesse le restrizioni che non privano di contenuto il diritto di associazione sindacale