Traffico di influenze e mediazione onerosa: precisati i caratteri dell’accordo

12 Gennaio 2024

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si è occupata di stabilire quali caratteri devi presentare l'accordo di mediazione onerosa perché assuma penale rilevanza.

Massima

In tema di traffico di influenze, la mediazione onerosa è illecita se l'accordo tra il committente ed il mediatore è finalizzato alla commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi indebiti al primo, non assumendo rilievo l'illegittimità negoziale per difformità dal contratto tipico di mediazione ovvero il mero uso di una relazione personale, preesistente o potenziale, tra il mediatore ed il pubblico agente per il conseguimento di un fine lecito. 

Il caso

L'imputata era condannata, tra gli altri per aver corrotto un consigliere regionale per l'aggiudicazione di appalti in ambito sanitario.

Proposto ricorso in cassazione, l'imputata lamentava, tra gli altri motivi di doglianza, l'errore nella qualificazione giuridica del fatto, evidenziando che l'accordo con il consigliere regionale era al più diretto ad effettuare pressioni sui pubblici ufficiali.

I giudici di legittimità, in esito ad ampia motivazione, hanno infine accolto tale motivo di ricorso, riqualificando le condotte contestate nel meno grave delitto di traffico di influenze illecite, sul rilievo che il consigliere regionale aveva speso la propria influenza onerosa, in cambio di denaro, sui pubblici ufficiali affinché compissero atti diretti a favorire l'imputata.

I giudici di legittimità hanno avuto modo di soffermarsi sul concetto di ‘mediazione illecita', offrendo una ricostruzione puntuale e completa delle recenti modifiche della fattispecie di traffico di influenze illecite ai sensi dell'art. 346-bis c.p.

La questione

La questione in esame è la seguente: quali caratteri devi presentare l'accordo in tema di mediazione onerosa perché assuma penale rilevanza?

Le soluzioni giuridiche

La vexata questio che investe il delitto di “traffico di influenze illecite”, ai sensi dell'art. 346-bis c.p. affonda radici a partire dalla sua “epifania,” o meglio dalla sua venuta ad esistenza grazie alla legge Severino del 6 novembre 2012 n. 190.

La legge è emanata in risposta a quanto l'Unione Europea richiede e cioè è figlia della Convenzione ONU di Merida, entrata in vigore nel 2005 e della Convenzione penale di Strasburgo del 1999, ai fini della predisposizione di misure di anticorruzione nella Pubblica Amministrazione, nata, infatti, proprio per fronteggiare il dilagante e l'allarmante “fenomeno corruttivo”.

A seguito della legge 9 gennaio 2019, n. 3, la base di tipicità del delitto di traffico di influenze illecite è stato stata rimodellata estensivamente in una triplice direzione: a) si è provveduto all'abrogazione del reato di millantato credito sulla scia delle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione della compravendita di influenza; b) si eliminato l'inciso contenuto nel precedente testo dell'art. 346-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio; c) è venuta meno la natura necessariamente ‘patrimoniale' del vantaggio dato o promesso al mediatore, per cui ora la disposizione individua il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico termine ‘utilità'; d) il raggio operativo dell'incriminazione è stato ampliato agli accordi finalizzati ad influenzare un pubblico ufficiale straniero o altro soggetto menzionato nell'art. 322-bis c.p. (traffico di influenze c.d. internazionale).

Quanto alla offensività ed alla lesione del bene giuridico, che l'art. 346-bis c.p. incrimina attualmente condotte prodromiche a più gravi fatti, secondo la tecnica della anticipazione della tutela; una tutela avanzata dei beni della legalità e della imparzialità della pubblica amministrazione rispetto ad una tipo criminoso obiettivamente non omogeneo. L'ampliamento della clausola di sussidiarietà dell'art. 346-bis c.p., oltre ad escludere il concorso tra il traffico di influenze e le più gravi ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio e di corruzione in atti giudiziari, assume rilievo anche in ordine ai delitti di cui agli artt. 318 e 322-bis c.p.

la riforma del 2019 ha modificato la fattispecie in esame eliminando, rispetto alla formulazione originaria, risalente alla legge Severino del 2012, il requisito della finalizzazione dell'attività di mediazione illecita dell'intermediario al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto d'ufficio, da parte del funzionario pubblico. Per l'integrazione del reato non è dunque più necessario che la mediazione sia indirizzata all'atto contrario ai doveri: la presenza di tale finalità rileva invece oggi come circostanza aggravante (art. 346-bis, comma 4 c.p.); nell'ipotesi base, invece, la remunerazione pattuita dalle parti può riguardare anche il mero esercizio delle funzioni o dei poteri di un pubblico agente.

In tale modo, sono state eliminate le incertezze, riguardanti il rapporto tra il traffico di influenze e la corruzione per l'esercizio della funzione, laddove il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio) accetti la promessa o la dazione del denaro o dell'utilità offertagli dall'intermediario per il compimento di un atto conforme ai suoi doveri d'ufficio ovvero per la vendita della sua funzione, di sé stesso, del suo essere pubblico agente. Nell'eventualità in cui la mediazione illecita vada a buon fine e si concluda l'accordo con il pubblico agente, le condotte descritte nell'art. 346-bis c.p. degraderanno a mero ante-factum non punibile, il cui disvalore risulterà assorbito in quello degli altri e più gravi delitti richiamati dalla clausola.

Anche dopo la novella del 2019, la materialità del fatto incriminato dall' art. 346-bis c.p. continua a descrivere due condotte tra loro alternative, che differiscono in ordine alla causa ed alla giustificazione della promessa/dazione del compratore di influenze. Nella prima ipotesi, l'erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita presso il pubblico agente italiano, straniero o internazionale.

Nella seconda, la corresponsione illecita è effettuata all'intermediario affinché questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri. Tale quadro di riferimento si distingue ulteriormente, con varie possibili combinazioni, in ragione della duplicità   delle condotte dell'intermediario, consistenti nello sfruttare ovvero vantare relazioni, esistenti o asserite, con il pubblico ufficiale.

Si tratta di condotte (sfruttamento, vanteria) che possono riguardare: a) un rapporto tra mediatore e pubblico agente ed una capacità di influenza del primo che possono effettivamente esistere già al momento in cui la condotta commessa e di cui il ‘compratore' può essere già   a conoscenza; b) un rapporto che non esiste al momento in cui il ‘l'influenza' viene venduta ma che il ‘compratore' sa del potere del ‘venditore' di realizzalo, di concretizzarlo, di renderlo effettivo grazie ad una capacità di influenza potenziale (dovuta ad es. al suo prestigio sociale o posizione professionale riconosciuta nell'ambiente di riferimento); c) un rapporto che esiste e che tuttavia è magnificato dal ‘mediatore', ampliato, fatto apparire più intenso di quanto lo sia in concreto; d) un rapporto che non solo non esiste al momento in cui la condotta compiuta ma che il ‘venditore' sa che non potrà   nemmeno realizzarsi in futuro e che il ‘compratore' ritiene invece esistente o realizzabile per effetto di una condotta decettiva del mediatore (un traffico di influenze impossibile/putativo). Il rapporto tra mediatore e pubblico agente e la capacità di influenza del primo sul secondo possono essere inesistenti, esistenti – anche solo in potenza – e, posto che siano esistenti, assumere diverse gradazioni e modulazioni a seguito delle asserzioni del ‘mediatore -venditore'.

Osservazioni

Il profilo di maggior interesse della sentenza riguarda le condizioni per stabilire la liceità o illiceità della cd. mediazione onerosa, in cui l'importo pagato dal privato committente costituisce esclusivamente il corrispettivo per la mediazione illecita promessa dall'intermediario nei confronti del pubblico agente, non essendo nemmeno in parte destinato a quest'ultimo.

La formulazione dell'art. 346-bis c.p. prevede infatti due modalità alternative e distinte di realizzazione della condotta tipica: da un lato, il farsi dare o promettere indebitamente denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio (mediazione onerosa); dall'altro lato, il farsi dare o promettere indebitamente denaro o altro vantaggio patrimoniale per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio (mediazione gratuita).

La questione attiene alla individuazione delle condizioni in presenza delle quali può dirsi ‘illecita' una mediazione onerosa che – in assenza di pressioni estorsive o, più in generale, condizionamenti corruttivi – sia finalisticamente rivolta ad ottenere un provvedimento ovvero un qualsiasi atto favorevole, anche discrezionale.

Il nucleo dell'antigiuridicità della fattispecie di traffico di influenze va ricercato non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità “l'influenza illecita” sulla attività della pubblica amministrazione.

La Corte di cassazione ha ritenuto che in assenza di una regolamentazione legale dell'attività dei gruppi di pressione , la illiceità della mediazione in questo caso non può che trarsi dallo scopo dell'influenza, che deve consistere nella commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi al committente (posizione conforme a quanto precisato da Cass. pen. n. 40518/2021).

La norma non chiarisce in cosa debba consistere questa illiceità, per la cui tipizzazione non è neppure possibile fare ricorso, con ragionamento a contrario, ad una normativa – attualmente non ancora entrata in vigore – che disciplini i presupposti e le procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (la c.d. lobbying). Il contenuto indeterminato della norma rischia dunque di attrarre nell'ambito del penalmente rilevante le più svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, «connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel "sottobosco" di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all'interesse perseguito.

Per ovviare a questo rischio di iper-criminalizzazione, la Cassazione propone allora una interpretazione restrittiva della fattispecie, che considera “illecita” la mediazione quando finalizzata alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente.

Nel caso di mediazione onerosa, con la riforma del 2019, la punibilità viene fatta discendere dal mero accordo tra committente e intermediario, originato, sul piano dei motivi, dalla possibilità di sfruttare una relazione reale con il pubblico agente ovvero semplicemente indotta dalla ostentazione di relazioni in tutto o in parte inesistenti: un accordo che nella prospettiva dualistica del committente e del mediatore deve tuttavia essere diretto ad ‘influenzare' l'operato del ‘pubblico agente-bersaglio', al di là dell'effettivo esercizio di una ingerenza inquinante e del conseguimento del risultato desiderato.

I giudici di legittimità hanno inoltre significativamente elencato ciò che senz'altro non rientra all'interno della nozione di “mediazione illecita”, non potendo dunque essere oggetto di incriminazione. Tra tali attività lecite figurano: a) il contratto di per sé, sia esso di mediazione in senso stretto o di altro tipo; b) il mero “uso” di una relazione personale, preesistente o potenziale; il fatto cioè che un privato contatti una persona in ragione del conseguimento di un dato obiettivo lecito perché consapevole della relazione, della possibilità di “contatto”, tra il “mediatore” ed il pubblico agente, da cui dipende il conseguimento dell'obiettivo perseguito; c) la mera circostanza che il contratto tra committente e venditore contenga difformità dal tipo legale, presenti cioè profili di illegittimità negoziale, rispetto al contratto tipico di mediazione disciplinato dagli artt. 1754 ss. c.c. (Cass., n. 1182/2022).

La mediazione onerosa illecita in ragione della proiezione ‘esterna' del rapporto dei contraenti, dell'obiettivo finale dell'influenza compravenduta, nel senso che la mediazione illecita se volta alla commissione di un illecito penale – di un reato – idoneo a produrre vantaggi al committente.

Un reato oggetto del programma contrattuale che permea la finalità del committente e giustifica l'incarico al mediatore.

Una mediazione espressione della intenzione di inquinare l'esercizio della funzione del pubblico agente, di condizionare, di alterare la comparazione degli interessi, di compromettere l'uso del potere discrezionale.

Si tratta di un tema in cui il profilo giuridico interferisce con quello processuale di accertamento probatorio dei fatti.

Un reato, quello inquinante la mediazione, che potrà essere individuato nei suoi contorni, nella sua essenza, nella sua configurazione strutturale con un quantum probatorio – dimostrativo della finalità perturbatrice della pubblica funzione – variabile in ragione dello stato del procedimento.

Ciò che assumerà rilevante valenza è la ricostruzione dell'oggetto della ‘mediazione', della volontà del committente, dell'impegno, del programma obbligatorio, dell'opera che il mediatore si obbliga a porre in essere.

Un accertamento che, sotto il profilo probatorio, deve essere compiuto caso per caso; potranno assumere rilievo le aspettative specifiche del committente, cioè il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che si intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto.

Pertanto, nella “mediazione onerosa” l'accordo deve avere teleologicamente lo scopo di realizzare il reato. L'accordo deve essere funzionale al realizzarsi di un evento costituente reato. 

Da ciò consegue che il delitto del Traffico di influenze illecite è un reato a concorso necessario, la cui peculiarità risiede appunto nel fatto che l'accordo deve essere produttivo del reato. 

Il principio affermato dai giudici di legittimità – secondo cui è illecita solo la mediazione finalizzata alla commissione di un fatto di reato idoneo a produrre vantaggi per il privato committente – pare senz'altro essere in grado di condurre ad una lettura della norma più restrittiva, capace di ovviare a quel deficit di precisione da tempo e da più parti denunciato.

Da tale premessa consegue un aggravamento dell'onere probatorio in capo al giudice del merito, il quale – per concludere circa la sussistenza del delitto di cui all'art. 346-bis c.p., nella modalità c.d. onerosa (ovvero, quando il denaro promesso al mediatore è solo destinato a remunerare la mediazione illecita verso il pubblico ufficiale) – dovrà dimostrare che la mediazione commissionata dal privato all'intermediario fosse indirizzata a far compiere al pubblico agente un fatto di reato.

Riferimenti

  • L. Roccatagliata, Traffico di influenze illecite: la Cassazione si pronuncia sulla illiceità della mediazione onerosa in assenza di una disciplina organica del lobbismo, in giurisprudenzapenale.com;
  • M.C. Ubiali, L'illiceità della mediazione nel traffico di influenze illecite: le sentenze della Cassazione sui casi Alemanno e Arcuri, in sistemapenale.it.

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