Perdita della capacità lavorativa: liquidazione del danno passato e futuro

16 Gennaio 2024

La Suprema Corte si pronuncia su una questione interessante: in presenza di perdita di capacità lavorativa a seguito di un sinistro, qual è la base di calcolo del danno passato e del danno futuro in caso di demansionamento a seguito di sinistro? Oltre alle componenti fisse, vanno considerate anche quelle variabili della retribuzione?

Cass. civ, sez. III, ord., 16 gennaio 2024, n. 1607 (Testo integrale disponibile a breve)

Presidente Travaglino – Relatore Vincenti

La soluzione adottata passa attraverso la chiara e ferma affermazione di principi cardine del sistema risarcitorio civile. In concreto, poi, si deve stabilire se e a quali condizioni dare rilievo alle componenti accessorie, in un giudizio prognostico e in relazione alla specifica natura ed essenza della mansione lavorativa.

Il caso

La causa riguarda il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa specifica a seguito del sinistro stradale. Le conseguenze derivanti dal sinistro – con postumi invalidanti a carattere permanente indicati nell'8% e una incapacità lavorativa specifica accertata – determinarono un demansionamento: dal ruolo di macchinista a funzioni di impiegato tecnico-amministrativo con conseguente rideterminazione, in peius, del trattamento salariale.

L'attore chiedeva quasi 700 mila euro per:

  • danno da lucro cessante, derivante dal mancato guadagno sofferto dalla data del sinistro alla data della citazione;
  • danno da lucro cessante futuro, derivante dal mancato guadagno sofferto successivamente all'avvio dell'azione, nonché comprensivo della riduzione dell'assegno pensionistico;
  • danno da perdita di chance;
  • danno emergente, derivante dalle spese giudiziali medio tempore sostenute.

Il Tribunale, in parziale ma sostanziale accoglimento delle pretese attoree, condannò le parti convenute, in solido tra loro, alla corresponsione della somma complessiva pari ad euro 664.078,97, comprensiva del danno da lucro cessante, passato e futuro, e del danno emergente derivante dalle spese processuali sostenute; respinse, invece, la domanda di risarcimento da perdita di chance, ritenendo non raggiunta la prova in giudizio, e la domanda di risarcimento del danno futuro per riduzione dell'assegno pensionistico, in quanto domanda nuova.

La Corte d'Appello, in parziale accoglimento del gravame, condannava il danneggiato a restituire la somma di euro 288.707,10, poiché:

  •  in riferimento al danno c.d. passato, la base di calcolo (perdita reddituale media mensile) da prendere in considerazione per quantificare il lucro cessante sofferto tra la data del sinistro e quella del demansionamento doveva tenere conto non solo delle componenti fisse, ma anche di quelle variabili, cioè anche degli accessori della prestazione lavorativa con funzione indennitaria e che, a causa delle conseguenze derivanti dal sinistro, il lavoratore non ha potuto percepire;
  • con riferimento, invece, al danno cd. futuro – consistente nel danno patito in seguito al sinistro e per effetto del demansionamento subito – la base di calcolo (perdita reddituale media mensile) da prendere in considerazione per quantificare tale voce di danno doveva essere epurata delle componenti variabili alla retribuzione, poiché, avendo tale corresponsione funzione indennitaria, esse avrebbero potuto essere liquidate nel solo caso di prestazioni effettivamente eseguite.

La questione

La questione sottoposta alla Suprema Corte e che maggiormente ci interessa riguarda la quantificazione del danno futuro.

Qual è la base di calcolo del danno passato e del danno futuro in caso di demansionamento a seguito di sinistro?

Oltre alle componenti fisse, vanno considerate anche quelle variabili della retribuzione?

La questione risolta dalla Cassazione: i principi generali del sistema risarcitorio

La Suprema Corte ricorda un principio essenziale del sistema della responsabilità civile, ossia il principio di integralità del risarcimento, enucleabile dall'art. 1223 c.c. e applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell'art. 2056 c.c.

Tale principio impone di ristorare la parte danneggiata da tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa derivanti dall'illecito, indipendentemente dal fatto che tali conseguenze si siano verificate immediatamente ovvero spiegheranno la loro forza lesiva, con certezza (processuale), in futuro.

In casi analoghi la Cassazione aveva tenuto conto della retribuzione unitamente ai relativi accessori

Nell'ambito del risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa subita dal danneggiato-lavoratore in conseguenza degli effetti negativi prodotti dall'illecito, la Supr. Corte ha affermato che, ove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione (Cassazione civile sez. III, 09/12/2020, n.28071; Cassazione civile sez. III, 23/05/2023, n.14241).

In questi precedenti giurisprudenziali, vi erano due situazioni diverse:

  1. il caso in cui a causa delle conseguenze dell'illecito il danneggiato abbia perduto l'attività lavorativa esercitata,
  2. il caso in cui il danneggiato, impossibilitato a svolgere la precedente attività lavorativa, abbia comunque trovato impiego aliunde.

In entrambi i casi, tuttavia, il principio di integralità del risarcimento è ri-affermato dalla Corte con forza

Nel primo caso, il danneggiato ha diritto alla integralità della retribuzione che avrebbe potuto ragionevolmente percepire se avesse proseguito nella sua attività lavorativa.

Nel secondo, il danneggiato ha diritto alla (eventuale) differenza tra le retribuzioni spettanti alla luce della attività lavorativa perduta (a causa dell'illecito) e quella corrisposta in ragione della nuova attività lavorativa (reimpiego che il danneggiato è stato costretto a cercare per effetto della perdita della precedente attività).

Tali considerazioni vengono estese, per identità di ratio, anche al caso annotato, ove l'attore ha subito una riduzione del trattamento retributivo in conseguenza del demansionamento per effetto della accertata incapacità a svolgere le funzioni di macchinista a causa delle lesioni subite dall'illecito.

Gli effetti del demansionamento, cioè l'adeguamento in peius del trattamento retributivo rientrano tra le conseguenze “dirette” dell'illecito, benché future (ma certe), e che, come tali, devono essere valutate ai fini della quantificazione del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1223 e 2056, c.c.

In assenza delle conseguenze lesive riportate a causa dell'incidente stradale cagionato dall'illecita condotta altrui, infatti, il lavoratore/danneggiato avrebbe con certezza proseguito nella sua attività lavorativa e continuato a percepire la maggiore retribuzione corrispondente alla qualifica professionale per la quale era stato assunto.

La Cassazione ricorda anche che il risarcimento in sede civile svolge una funzione tendenzialmente compensativa, riportando il patrimonio del danneggiato nella medesima curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato in assenza delle conseguenze derivanti dall'illecito. Se questa è la funzione del risarcimento, allora si deve riconoscere, nel caso di specie, il diritto alla differenza sussistente tra la retribuzione percepita quando ricopriva l'incarico di macchinista e la retribuzione percipienda in qualità di funzionario amministrativo.

Proprio per dare effettività al principio di integralità del risarcimento, l'ampiezza della retribuzione media (dell'attività lavorativa precedentemente svolta) e che costituisce la base di calcolo per la determinazione del danno futuro da perdita/riduzione della capacità lavorativa, deve comprendere non solo la componente fissa della retribuzione, ma anche tutti i relativi accessori e i probabili aumenti retributivi (si veda anche Cass. n. 28071/2020 cit.).

La determinazione del danno futuro, infatti, essendo un danno, sì accertato in giudizio, ma che spiegherà i propri effetti lesivi in un secondo momento, non può che essere effettuata in via prognostica.

Attraverso un giudizio ex ante, dunque, il giudice del merito deve riportarsi mentalmente nelle circostanze concrete in cui versava il danneggiato prima dell'illecito per poter arrivare alla conclusione che, in assenza di esso, avrebbe continuato a percepire la retribuzione corrispondente non solo agli “elementi retributivi fissi”, ma anche alle “componenti accessorie”.

Così, ha errato la Corte territoriale quando ha affermato che la parte di retribuzione avente ad oggetto le componenti accessorie non avrebbe potuto costituire oggetto di liquidazione del danno futuro.

La distinzione delle componenti accessorie

Per quanto detto, la Suprema Corte ritiene che la Corte territoriale abbia, genericamente ricondotto l'intera categoria delle “componenti accessorie” della retribuzione al diverso ambito delle prestazioni che sono solo occasionalmente ed eccezionalmente prestate dal lavoratore in occasione di turni di lavoro straordinari o effettuati durante i giorni di riposo: soltanto in questo caso, là dove vengano in rilievo prestazioni il cui espletamento è condizionato dal discrezionale potere direttivo del datore di lavoro, la retribuzione non può costituire oggetto, da parte del lavoratore, di alcuna pretesa essendo la stessa condizionata all'effettivo svolgimento di quella prestazione.

Nel caso concreto, viceversa, il giudice avrebbe dovuto tenere conto della specifica “natura” delle mansioni proprie della figura professionale del macchinista e in forza di questa premessa individuare tutte le “componenti accessorie del salario” che – come anche qualificate dalla CTU espletata nel corso di giudizio – erano “competenze strettamente collegate alla mansione svolta dal ricorrente (…) erogate per i mesi in cui vi è stata prestazione lavorativa (…)”.

Detto diversamente, per pervenire al risarcimento integrale del danno patito, si deve tenere conto delle specifiche mansioni di inquadramento professionale del lavoratore e distinguere:

  • le componenti accessorie della retribuzione (fissa) correlate a prestazioni soltanto occasionali e derogatorie rispetto all'ordinario svolgimento di quelle mansioni
  • dalle componenti accessorie della retribuzione (fissa) che, invece, essendo intimamente connaturate a quella particolare prestazione lavorativa, non sono da essa scorporabili.

Conclusione

Concludendo, la decisione annotata ricorda i principi fondanti il sistema risarcitorio civile (integralità del risarcimento e funzione compensativa); evidenzia l'importanza di un giudizio di tipo prognostico e, infine, la distinzione delle componenti accessorie rispetto alla specifica natura della mansione in questione.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario