Il tema centrale è quali siano i “reati di criminalità organizzata”, non specificati dall'art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, cioè se appartengano alla categoria dei reati di criminalità organizzata solo i reati associativi o anche i reati monosoggettivi (quali omicidio ed estorsione) se aggravati dall'utilizzo del metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un'associazione di tipo mafioso.
La sentenza della Sezione I ha ritenuto che si trattasse dei soli reati associativi.
La questione è particolarmente rilevante con riguardo alla disciplina che regola le intercettazioni telefoniche e ambientali.
Il caso e la questione controversa
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza dell'8 febbraio 2021, decideva sugli appelli proposti dagli imputati avverso la sentenza resa in data 26 aprile 2019, con la quale erano stati condannati dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, con rito abbreviato, per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso aggravata, nonché per reati in materia di armi, ricettazione, minaccia e tentata estorsione aggravati.
La Prima Sezione penale, oltre ad annullare con rinvio in relazione ad uno degli imputati per una questione limitata al trattamento sanzionatorio, rigettava o dichiarava inammissibili i ricorsi proposti dagli imputati.
Il tema centrale è quali siano i “reati di criminalità organizzata”, non specificati dall'art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, che per questa categoria ammette (in deroga al regime ordinario) intercettazioni anche solo se “necessarie” (anziché “indispensabili”); in presenza di indizi anche solo “sufficienti” anziché “gravi”; in partenza per 40 giorni anziché 15; e nel domicilio anche senza bisogno che vi si stia svolgendo un'attività criminosa. Cioè se appartengano alla categoria dei reati di criminalità organizzata solo i reati associativi o anche i reati monosoggettivi (come omicidio ed estorsione) se aggravati dall'utilizzo del metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un'associazione di tipo mafioso.
La sentenza in parola ha ritenuto che si trattasse dei soli reati associativi.
Il principio di diritto
Cass. pen., sez I, 30 marzo 2022, n. 34895
«In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, per delitti di "criminalità organizzata", di cui all'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, devono intendersi tutti i reati di tipo associativo, anche comuni, correlati ad attività criminose più diverse, ai quali è riferito il richiamo ai delitti elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., con esclusione delle ipotesi di mero concorso nei delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolarne l'attività».
Il contrasto
Un caso particolare
Nel 2016 si erano pronunciate sul tema le Sezioni Unite con la sentenza n. 26889 del 1° luglio 2016 (ric. Scurato, Rv. 266906-01). La pronuncia partiva dalla premessa che fornire una definizione di "criminalità organizzata" non costituiva un mero esercizio teorico, perché da essa dipende l'applicazione delle norme processuali che si riferiscono specificamente a detta categoria di reati. Effettuava poi una ricognizione delle norme processuali che si riferiscono ai “delitti di criminalità organizzata” e richiamava il complesso e variegato panorama offerto dalla giurisprudenza e dalla dottrina circa la nozione di “criminalità organizzata”. Affermava quindi il principio di diritto secondo il quale per reati di criminalità organizzata devono intendersi sia quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (fra i quali sono espressamente annoverati i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo), sia quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato. Si sottolineava infine che tale interpretazione era in linea con le fonti sovranazionali, ben potendo parlarsi di “modello internazionale dell'associazione criminale”, in presenza del forte e continuo interesse manifestato dagli Stati dell'Unione europea sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.
La particolarità del caso consiste nel fatto che la Prima Sezione penale, nel 2022, anziché emettere la sentenza in contrasto col principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, avrebbe dovuto emettere ordinanza ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., rimettendo il ricorso alle Sezioni Unite. Tale meccanismo non è stato attivato e si sono altresì registrate preoccupazioni, evidenziate nella missiva scritta dal Procuratore Nazionale Antimafia alla Procura Generale della Corte di cassazione a fine 2022, per l'utilizzabilità nei processi in corso delle intercettazioni disposte in base al criterio estensivo dettato dalle Sezioni Unite per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
Lo scorso 4 ottobre 2023 il Senato ha approvato in via definitiva, nel testo licenziato dalla Camera, il d.d.l. n. 897 di conversione in legge, con modificazioni, del d.l n. 105 in materia (fra l'altro) di processo penale e civile.
E' quindi intervenuto il legislatore che, anziché attendere la ricomposizione giurisprudenziale del contrasto, ha ritenuto di risolvere la questione controversa adottando una norma nuova, che a integrazione della legge del 1991 prevede che le modalità più semplificate di intercettazione siano consentite anche per i delitti aggravati dal metodo mafioso o dalla finalità di agevolazione mafiosa o di terrorismo, per il sequestro di persona a scopo di estorsione e per il traffico organizzato di rifiuti.
La disciplina sul punto cristallizza pertanto la soluzione adottata dalle Sezioni unite “Scurato” nel 2016 (art. 1, comma 1: il regime derogatorio opera anche «per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 c.p.., ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo»).
Trattandosi di norma processuale, le nuove intercettazioni sarebbero disciplinate da questa regola, mentre quelle già disposte o in corso resterebbero regolate dal precedente quadro normativo come interpretato dalla giurisprudenza. Intervenendo anche in merito al regime intertemporale il decreto ha previsto, con una norma transitoria, la sua applicabilità anche ai procedimenti in corso (comma 2), con conseguente utilizzabilità delle intercettazioni già autorizzate in base alla previgente disciplina speciale.
Una prima risposta al quesito è giunta dalla Sezione II della Corte di cassazione, con la sentenza n. 47643 del 28 settembre 2023, depositata lo scorso 28 novembre.
La Corte era chiamata a decidere sul ricorso di indagato attinto da misura custodiale carceraria per il reato di cui all'art. 512-bis c.p. aggravato dalle modalità mafiose, avverso il provvedimento del tribunale del riesame che aveva confermato l'ordinanza genetica.
Il ricorrente invocava l'applicazione al caso di specie del principio statuito dalla sentenza n. 34895 del 2022, evidenziando che i gravi indizi di colpevolezza erano stati tratti da conversazioni intercettate ai sensi dell'art. 13 d.l. n. 152/1991, pur essendo in contestazione - non reati di criminalità organizzata, ma - unicamente reati concorsuali aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 c.p.
Nell'analizzare il motivo di ricorso, la Corte, considerando imprescibdibile l'indagine sulla natura della disposizione introdotta dal decreto legge n. 105 del 2023, ha ritenuto quella in parola una norma di interpretazione autentica, valorizzando «la volontà legislativa alla base dell'intervento», concludendo nel senso che la norma introdotta dal decreto legge n. 105/2023 ha «contenuto interpretativo» e, dunque, efficacia retroattiva, «dovendo applicarsi anche nella materia processuale la possibilità di specificare, ora per allora, l'ambito applicativo delle norme destinate a regolare i criteri legittimanti il ricorso a specifici mezzi di ricerca della prova».
La dottrina
Con riferimento alla ultima e recentissima pronuncia segnalata, in dottrina si sono registrati orientamenti adesivi, rappresentando che il tenore testuale della disposizione in commento - pur occupandosi esclusivamente di definire, a seguito di un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, il campo di applicazione di una norma preesistente - rimanda al lessico tipico delle norme innovative.Si può dunquesostenere che l'art. 1, comma 1, d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 137, abbia introdotto una norma di interpretazione autentica, come tale retroattiva ed applicabile a tutti i procedimenti in corso di svolgimento, sì da divenire il parametro di riferimento per valutare la legittimità delle autorizzazioni concesse anche in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. Ne consegue la piena utilizzabilità delle captazioni autorizzate in base alla disciplina derogatoria dettata dall'art. 13 d.l. n. 152/1991 nei procedimenti per il delitto di cui all'art. 452-quaterdecies c.p., in quelli per il delitto di cui all'art. 630 c.p., e, soprattutto, in quelli per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 c.p., quand'anche il giudice per le indagini preliminari le avesse autorizzate prima dell'11 agosto 2023 (1).
(1) M. Toriello,La prima pronuncia della Corte di cassazione sul decreto-legge n. 105 del 2023: quella introdotta in materia di intercettazioni è norma di interpretazione autentica, SP, 2023.
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