In tema di dichiarazione di rinuncia alla prescrizione, il momento in cui la stessa diventa irrevocabile va individuato in quello in cui sia portata a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria.
Il caso e la questione controversa
Con doppia sentenza conforme, l'imputato, Sindaco di un Comune, era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 544-bis c.p. L'imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, denunciando erronea applicazione dell'art. 157 c.p. sul rilievo che la prescrizione era maturata nel periodo compreso tra la sentenza di primo grado e quella resa dalla Corte territoriale, né assumeva rilievo l'avvenuta rinuncia alla prescrizione, in quanto la stessa era avvenuta quando la prescrizione non era ancora maturata, per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l'inefficacia della rinuncia e dichiarare l'estinzione del reato, a nulla rilevando che la prescrizione non fosse stata eccepita dall'interessato in secondo grado.
La Corte di cassazione ha ritenuto il ricorso infondato con riferimento alle censure riguardanti sia l'aspetto sostanziale che quello processuale
Il principio di diritto
Cass. pen., sez III, 20 ottobre 2021, n. 3758
«La dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato diviene irrevocabile allorquando sia portata a conoscenza dell'autorità giudiziaria, in quanto, una volta scelta la via del giudizio sul merito a fronte della potenziale estinzione del reato, la rinuncia esplica i suoi effetti hic et nunc, dando immediatamente luogo all'espletamento dell'attività processuale volta ad accertare la consistenza del tema di accusa».
Il contrasto
Momento in cui si realizza la irrevocabilità della dichiarazione di rinuncia alla prescrizione: quando giunge alla conoscenza dell'Autorità Giudiziaria o allorchè produce i suoi effetti per essere stata valorizzata in un provvedimento del giudice riguardante la regiudicanda?
La sentenza in oggetto si inserisce in un orientamento più rigoroso secondo cui la prescrizione del reato diventa irrevocabile quando sia portata a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria (Cass. pen., sez. VI, n. 17598/2020 dep. 2021, Rv. 280969; Cass. pen., sez. V, n. 33344/2008, Rv. 241389). Si è infatti affermato che la disposizione di cui all'art. 157, comma 7, c.p., introdotto a seguito della riforma operata con l'art. 6, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nello stabilire che «la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato», non contempla affatto la possibilità di una revoca della stessa rinuncia. Né vi si prevedono forme di rinuncia condizionata, poiché la possibilità di ricorrere a tale istituto, di per sé eccezionale là dove consente all'interessato di rimuovere l'intervenuto arresto della procedibilità dell'azione penale, esplica i suoi effetti hic et nunc, dando immediatamente luogo all'espletamento dell'attività processuale volta ad accertare la consistenza del tema d'accusa ovvero il merito dell'imputazione. Una volta intervenuta la rinuncia, dunque, gli effetti di tale scelta si sono già prodotti ed un successivo blocco dell'attività processuale rimesso alla discrezionalità dell'imputato non rientra nel novero dei diritti di cui egli possa liberamente disporre perché la potestà punitiva dello Stato – a fronte di un'ipotesi di reato che non potrebbe più essere oggetto di una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione – si è ormai riattivata ed il suo esercizio attraverso l'attuazione del correlato obbligo di accertamento dell'innocenza ovvero della eventuale responsabilità dell'imputato deve trovare il suo naturale decorso nelle forme ordinarie previste dall'ordinamento (Cass. pen., sez. VI, n. 17598/2021, cit.). Donde, «intervenuta la rinuncia alla prescrizione quale atto dismissivo attraverso cui l'interessato estromette un diritto già acquisito nella propria sfera giuridica, la rinuncia non è più revocabile e la non operatività della causa estintiva deve considerarsi definitiva perché superata da una contraria manifestazione di volontà il cui contenuto, solo in apparenza negativo, esprime in realtà l'esercizio del diritto dell'imputato ad ottenere un bene maggiore, ossia un giudizio nel merito, con l'eventuale riconoscimento della sua piena innocenza attraverso il proscioglimento dall'addebito. Una volta intervenuta la dichiarazione espressa di rinuncia, infatti, egli "autorizza" sostanzialmente la prosecuzione dell'azione penale nei suoi confronti e non può sottrarsi alle conseguenze, ed agli inevitabili rischi, derivanti dalla scelta reiettiva precedentemente operata, rimanendo assoggettabile anche alla possibilità di una conclusione sfavorevole della propria vicenda processuale».
Secondo il diverso orientamento (Cass. pen., sez. II, n. 3156/2021 dep. 2022, non mass.; Cass. pen., sez. III, n. 8350/2019, Rv. 275756; Cass. pen., sez. V, n. 11071/2014 dep. 2015, Rv. 262875; Cass. pen., sez. VI, n. 30104/2012, Rv. 253256) la revoca della rinuncia alla prescrizione è invece possibile a condizione che la dichiarazione esprimente tale volontà non abbia già prodotto i suoi effetti, per essere stata valorizzata in un provvedimento del giudice riguardante la regiudicanda. Occorre in tal senso avere riguardo al principio generale vigente nel sistema processuale penale per cui una dichiarazione di volontà – tanto se costituente un atto negoziale unilaterale quanto se diretto alla formazione di un negozio processuale bilaterale – può essere revocata finché la stessa non abbia prodotto i suoi effetti propri (Cass. pen., sez. VI, n. 30104/2012, cit.). Si richiamano in proposito le prese di posizione della giurisprudenza di legittimità «con riferimento alla richiesta dell'imputato di ammissione del rito abbreviato, sempre revocabile fintanto che il giudice non abbia disposto l'instaurazione di tale rito speciale (Cass. pen., sez. IV, n. 19523/2008, Gjieta, Rv. 239764); per la richiesta di applicazione della pena che, salva la ipotesi innanzi considerata, è revocabile fintanto che la controparte non abbia espresso il suo consenso (così, tra le tante, Cass. pen., sez. III, n. 39730/2009, Bevilacqua, Rv. 244892); per la rinuncia all'impugnazione, revocabile prima che sia scaduto il termine per proporre l'impugnazione medesima (Cass. pen., sez. VI, n. 8154/1992, Corvino, Rv. 191406); per la rinuncia all'atto di opposizione, revocabile a condizione che non sia stato aperto il dibattimento e non sia stato revocato il decreto penale opposto (così, tra le molte, Cass. pen., sez. IV, n. 41557/2010, Gallonetto, Rv. 248453); per la richiesta di oblazione, revocabile prima che abbia prodotto il suo effetto proprio, e cioè prima che il giudice abbia emesso il provvedimento di ammissione dell'oblazione e di fissazione dell'importo da versare (così, per l'orientamento nettamente maggioritario, Cass. pen., sez. IV, n. 15041/2009, Pedini, Rv. 243217) e persino per la richiesta di archiviazione del P.M., se la revoca intervenga prima del provvedimento da parte del giudice, atteso il principio generale della revocabilità delle istanze delle parti (Cass. pen., sez. IV, n. 26872/2006, Pica, Rv. 234812)».
La dottrina
In dottrina non si registrano prese di posizione sulla specifica questione (1).
(1) A. Marandola, Prescrizione, effetti collaterali e rimedi, in SP, 2020; P. Bronzo, La prescrizione del reato sotto l'incubo della ragionevole durata, SP, 2020; A. Di Tullio D'Elisiis, La prescrizione dei reati in vigore dal 1° gennaio 2020, Sant'Arcangelo di Romagna, 2020.
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