Equa riparazione: quale indennizzo per l’erede della parte del giudizio presupposto?

La Redazione
26 Gennaio 2024

Tizia, Caia, Sempronio e Mevio, questi ultimi due quali eredi di P.M., chiedevano l’indennizzo per equa riparazione per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare svoltasi nei confronti della Società X, loro datrice di lavoro, iniziata nel 1988 e conclusasi con il fallimento nel 2019.

Il giudice liquidava a Tizia e Caia 1.600 euro ciascuna e inoltre la stessa cifra a Sempronio e Mevio, rilevando che la procedura doveva ritenersi iniziata dal deposito dello stato passivo e calcolando l'eccessiva durata della stessa in 4 anni, 1 mese e 15 giorni. La Corte di Appello rigettava l'opposizione proposta dai ricorrenti, sostenendo la corretta individuazione del dies a quo, per la durata della procedura, dalla data di ammissione dei crediti al passivo «in quanto solo da quel momento i creditori subiscono gli effetti della irragionevole durata della procedura e che la misura dell'indennizzo, calcolata in euro 400,00 per ogni anno di ritardo, fosse giustificata dalla considerazione che il giudizio presupposto coinvolgeva questioni di carattere patrimoniale e non diritti personalissimi». Per la cassazione di tale decreto, propongono ricorso gli ex lavoratori della società e il Ministero della Giustizia notifica ricorso incidentale.

I ricorrenti in via principale censurano la decisione impugnata «per avere affermato che il termine iniziale della procedura fallimentare per i creditori, ai fini della durata ragionevole, debba essere fissato alla data in cui il loro credito è stato ammesso al passivo e non da quella in cui hanno proposto istanza di insinuazione». Nella specie ciò ha impedito di considerare il lungo tempo trascorso tra le istanze di insinuazione e il deposito dello stato passivo. Per i ricorrenti la decisione è errata perché la richiesta di insinuazione «è la forma obbligata dalla legge per il riconoscimento di un credito nei confronti della procedura ed è equiparata, dall'art. 94 l. fall., alla domanda giudiziale». Il motivo per la Cassazione è fondato.

Ricorda la Suprema Corte che in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, «il termine dal quale decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare va individuato nella domanda d'insinuazione al passivo, atteso che è con essa che si instaura il rapporto processuale, mentre ciò che non rileva, e non può essere computato a tal fine, è unicamente il periodo anteriore, dopo la dichiarazione di apertura del fallimento, a cui il creditore è estraneo (Cass. n. 20732 del 2011; n. 13819 del 2016; n. 2207 del 2010)». Questa conclusione, sottolinea ancora la Cassazione «va confermata, risultando l'unica coerente con il disposto di cui all'art. 94 l. fall., secondo cui il ricorso contenente la domanda di ammissione di un credito al passivo produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento». Di conseguenza, per i creditori la procedura deve ritenersi iniziata dal momento del deposito della loro domanda di insinuazione al passivo.

L'unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Ministero della Giustizia denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 l. n. 89 del 2001, nonché dell'art. 75 c.p.c., per avere la Corte territoriale liquidato in favore di Sempronio e Mevio la stessa somma riconosciuta agli altri ricorrenti, omettendo di considerare che, avendo agito quali eredi di P. M., per essi la durata del giudizio presupposto trovava il suo termine finale alla data del decesso della de cuius, avvenuto nel 1991, con l'effetto che nei loro confronti non poteva ritenersi consumata alcuna violazione del termine di ragionevole durata del processo.

La Suprema Corte di Cassazione accoglie il motivo ricordando come «nel caso in cui il ricorrente chieda l'indennizzo ai sensi della legge n. 89 del 2001 in qualità di erede della parte del giudizio presupposto, non può assumersi come riferimento temporale l'intero procedimento, ma si deve tenere conto soltanto del periodo di durata del processo fino alla morte della parte, potendo per il periodo successivo gli eredi agire in nome proprio, ma soltanto nel caso in cui si siano costituiti e per la durata del processo successiva alla loro costituzione (Cass. n. 12096 del 2023; n. 17685 del 2021; n. 24771 del 2014)». Nel caso di specie i ricorrenti in via principale contestano la data del decesso della parte indicata dal Ministero, spostandola dal 1991 al 1999, ma la contestazione non rileva ai fini della fondatezza del motivo. In conclusione, la Suprema Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale; cassa in relazione ai motivi accolti il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di Appello in diversa composizione.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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