Derogabile la differenza minima di età nell’adozione di maggiorenni

07 Febbraio 2024

È conforme alla Costituzione l’art. 291 c.c. che, ai fini dell’adozione di persona maggiorenne, richiede una differenza minima di età tra adottante e adottato pari ad diciotto anni, senza prevedere deroghe, pure quando la differenza sia contenuta e sussistano interessi relazionali meritevoli di riconoscimento?

Massima

È costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 2 Cost., l'art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l'adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l'intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando.

Il caso

Una signora intende adottare il figlio maggiorenne del proprio coniuge, nato da un di lui precedente matrimonio, il quale aveva convissuto con la coppia sin da quando era ancora bambino e con cui ella aveva instaurato un profondo legame affettivo. La differenza di età tra l'aspirante adottante ed il figlio del marito è peraltro di poco inferiore alla differenza minima di diciotto anni, prevista dall'art. 291 c.c.; il Tribunale solleva allora questione di legittimità costituzionale della norma in questione per violazione degli artt. 2,3,10 (in particolare in relazione all'art. 8 CEDU) e 30 Cost. La Corte costituzionale dichiara fondata la questione e pronuncia di conseguenza.

La questione

È conforme alla Costituzione l'art. 291 c.c. che, ai fini dell'adozione di persona maggiorenne, richiede una differenza minima di età tra adottante e adottato pari ad diciotto anni, senza prevedere deroghe, pure quando la differenza sia contenuta e sussistano interessi relazionali meritevoli di riconoscimento?

Le soluzioni giuridiche

L'adozione di persone maggiori di età è istituto di origini romanistiche. Esso era nato per permettere una discendenza a chi ne fosse stato privo: l'interesse primario era dunque quello dell'adottante, che avesse inteso trasmettere il patrimonio ed il cognome ad un soggetto cui era affettivamente legato. Coerentemente l'adozione di maggiorenne, atto di natura sostanzialmente consensuale, era consentita solo qualora l'adottante non avesse avuto discendenti legittimi o legittimati. Come ricorda la Corte costituzionale, risalenti leggi speciali sugli orfani di guerra avevano peraltro attribuito all'istituto in esame anche funzioni di assistenza a minori senza famiglia; il codice civile del 1942 a sua volta aveva introdotto in via generale la possibilità di adottare attraverso una disciplina che, unificata, era riferibile anche ai fanciulli a partire dagli otto anni di età, ed in tal caso l'esercizio della potestà era attribuito all'adottante. Solo con la l. 5 giugno 1967, n. 341 fu introdotto, nel codice civile, l'istituto dell'adozione speciale con efficacia legittimante, destinato ad inserire un minore, dichiarato in stato di abbandono, perché privo di assistenza morale e materiale, in una nuova famiglia, composta da una coppia di coniugi, di cui assumeva a tutti gli effetti lo status di figlio. Muta dunque la prospettiva, privilegiandosi la protezione dell'interesse dell'adottato; la l. 184/1983, poi, ha esteso la disciplina dell'adozione di minori a tutti i soggetti di minore età, riservando ai soli maggiorenni l'adozione c.d. ordinaria. Nel contempo, a seguito di un duplice intervento della Consulta (Corte cost. sent. n. 557/1988 e Corte cost. n. 245/2004), l'adozione di maggiorenni è divenuta accessibile anche per coloro che hanno figli propri, nati all'interno ovvero al di fuori del matrimonio, maggiorenni e consenzienti; le finalità prevalentemente patrimoniali perseguite attengono infatti a profili disponibili, con conseguente legittimazione ad opporsi in capo ai titolari del cognome o agli aspiranti eredi. Si giustifica così il peculiare regime degli assensi e dei consensi, che conferma il carattere negoziale dell'istituto.

Come noto, è ammessa l'adozione di più persone maggiorenni anche con atti successivi, mentre nessuno può essere adottato da più persone, salvo che non si tratti di marito e moglie, previsione quest'ultima non richiamata in caso di unione civile. Lo stato di figlio adottivo non sostituisce quello acquisito per nascita, ma si aggiunge ad esso. L'adozione di maggiorenne, infatti, a differenza di quella del minore, non interrompe i rapporti con la famiglia d'origine, né stabilisce vincoli di parentela tra i reciproci parenti (art. 74 e 300 c.c.)

Anche per l'adozione di maggiorenni vale il principio dell'imitatio naturae: dispone infatti l'art. 291 c.c. (oggetto della declaratoria di incostituzionalità in commento) che tra adottante e adottato deve intercorrere una differenza di età di almeno 18 anni (di conseguenza l'adottante deve avere almeno 36 anni, diversamente da quanto la norma suddetta dispone).

 Sulla base della disciplina dell'adozione di maggiorenni è stata strutturata quella dell'adozione di minorenni in casi particolari ex art. 44 ss. l. 184/1983, in forza del rinvio operato dall'art. 55. Preme qui rammentare come l'esclusione del vincolo di parentela, in tale forma di adozione, sia stata dichiarata illegittima con sentenza Cass. n 79/2022, permanendo dunque operativa solo per l'adozione di maggiorenni. Per quanto più specificamente riguarda poi l'età, l'ultimo comma dell'art. 44 cit. richiede oggi la differenza di diciotto anni fra le parti solo nelle ipotesi di cui alle lett. a) (minore orfano, legato stabilmente a terzi) e d) (constatata impossibilità di affidamento preadottivo), mentre nulla dispone per quelle sub b) (adozione del figlio del coniuge) c) (minore portatore di handicap). Inizialmente, peraltro, la suddetta differenza di età era prevista anche per la fattispecie sub b). La Corte costituzionale era a suo tempo già intervenuta, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma, là dove non consentiva al giudice di ridurre, quando sussistessero validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni, con riferimento all'art. 30 Cost., primo e terzo comma, a tutela del valore dell'unità della famiglia (Corte cost. 44/1990).

Osservazioni

In questi ultimi tempi l'istituto dell'adozione risulta oggetto di diversi e frequenti interventi giurisprudenziali, che l'hanno reso più duttile e rispondente ad esigenze diversificate. Ci si riferisce prevalentemente all'adozione di minori: accanto al modello tradizionale di adozione “legittimante” (in oggi “piena”) coesistono quella “mite” (articolata sulla base dei citati artt. 44 l. 184/1983, in situazioni di semi-abbandono) e quella “aperta” (nel quale il minore, pur dichiarato in stato di adottabilità, è legittimato a mantenere relazioni di fatto con quei parenti che rappresentano per lui una risorsa). La stessa disciplina dell'adozione in casi particolari costituisce lo strumento per realizzare la c.d. omogenitorialità, nei casi di minori nati all'interno di coppie same sex, sulla base di un progetto familiare condiviso.

Nel contempo, anche l'adozione di maggiorenni ha subito un'opera di svecchiamento. Alle originarie finalità strettamente patrimoniali che la strutturavano, se ne sono aggiunte altre di natura affettiva e relazionale, come già messo ben in evidenza dalla giurisprudenza di legittimità: Cass. 354/1999 aveva all'uopo precisato che, in caso di adozione da parte del coniuge, di due figli dell'altro, uno minorenne e l'altro da poco maggiorenne, sarebbe stata da applicare interamente la disciplina di cui all'art. 44 l. 184/1983, con possibilità di derogare al limite dell'art. 291 c.c. a fronte dell'imitatio naturae, per garantire l'unità della famiglia. Sulla questione del requisito dell'età particolarmente significativa appare poi Cass. 7667/2020, sempre richiamata dalla stessa Consulta. Precisa la pronuncia che, in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell'applicare la norma che contempla il divario minimo d'età di diciotto anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 291 c.c., al fine di evitare il contrasto con l'art. 30 Cost., in relazione all'art. 8 della CEDU, assumendo quindi una rivisitazione storico-sistematica dell'istituto, che, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso in esame, consenta una ragionevole riduzione di tale divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris.

Proprio nella fattispecie che ha dato luogo alla rimessione davanti alla Corte costituzionale risultano evidenti gli scopi solidaristici sottesi alla richiesta di adozione: si è in presenza di una famiglia ricomposta, all'interno della quale la domanda proveniva dalla seconda moglie del padre dell'adottando, che aveva intrattenuto con costui una stabile convivenza nella casa coniugale, trattandolo al pari della figlia, nata nel matrimonio, che, come altri soggetti interessati, aveva espresso il consenso all'adozione stessa.

Ad ulteriore comprova della sempre maggior duttilità dell'istituto, non può che richiamarsi altra recente pronuncia della Consulta, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 299, primo comma c.c. nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato maggiore d'età, se entrambi, nel manifestare il consenso all'adozione, si sono espressi a favore di tale effetto. Posto che il cognome rappresenta elemento connotativo dell'identità personale, una sua modifica potrebbe pregiudicare l'interessato, pur frustrando l'atavica funzione di trasmissione alle future generazioni quale cognome anteposto. (Corte cost. 79/2022).

In conclusione, la Corte costituzionale ha recepito e sviluppato il monito della Corte di Cassazione che aveva ritenuto necessaria un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 291 c.c., dichiarandone l'illegittimità nei termini di cui in motivazione, per contrasto con l'art. 2 Cost. Il cit. art. 291 c.c., nella sua rigida formulazione, non consentendo al giudice di intervenire, derogando, se del caso, al limite minimo nel divario di età tra adottante e adottando, «si rivela in radice incapace di tutelare situazioni affettive largamente affermatesi, senza che tale assoluto sacrificio trovi coerente giustificazione compensativa. Palese è dunque “l'irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità… in quanto destinata ad entrare in frizione, nell'assolutezza della previsione, con il diritto costituzionale inviolabile all'identità personale ”. La decisone è del tutto coerente con la precedente n. 44/1990, di cui si è dato atto, quanto all'adozione (in casi particolari) del figlio minore del coniuge, a tutela dell'unità e della coesione familiare.

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