La fattispecie del falso nel bilancio di sostenibilità e i profili sanzionatori
La direttiva del 2014 contiene soltanto un pallido riferimento a strumenti efficaci e adeguati per far rispettare gli obblighi posti dall'Europa. Si legge, infatti, al n. 10 dei considerando: “Gli Stati membri dovrebbero assicurare l'esistenza di strumenti efficaci e adeguati atti a garantire la comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario da parte delle imprese, in conformità della presente direttiva. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero assicurare che siano poste in essere procedure nazionali efficaci per far rispettare gli obblighi stabiliti dalla presente direttiva e che tali procedure siano accessibili a tutte le persone fisiche e giuridiche che, in conformità del diritto nazionale, abbiano un interesse legittimo a garantire il rispetto delle disposizioni della presente direttiva”.
L'assenza di ogni riferimento a sanzioni penali rispetto alla fattispecie del falso nel bilancio di sostenibilità è un primo segnale, ovviamente ancora non decisivo, che la direttiva europea non ha inteso sollecitare i singoli Stati a ricorre alla massima sanzione.
Il regime sanzionatorio, infatti, è previsto dall'art. 8 del d.lgs. n. 254/2016 che, tuttavia, contiene soltanto ipotesi di sanzioni amministrative che sono irrogate agli amministratori dell'ente di interesse pubblico che omettano di depositare presso il registro delle imprese le informazioni non finanziarie, o che omettano di allegare alle stesse l'attestazione del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale e concernente la conformità delle informazioni contenute nella dichiarazione non finanziaria rispetto a quanto richiesto dal decreto, ovvero che abbiano depositato presso il registro delle imprese di carattere non finanziario redatta non in conformità delle norme del decreto.
Per l'aspetto che particolarmente qui interessa è prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa per gli amministratori e i componenti dell'organo di controllo qualora la dichiarazione di carattere non finanziario contenga fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero ometta fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista dal decreto, “salva l'ipotesi in cui il fatto costituisca reato”.
È da questa clausola di sussidiarietà espressa che si deduce come sia lo stesso legislatore a contemplare ipotesi di illeciti aventi natura anche penale: questo, però, è soltanto un primo passo, donde la necessità di verificare se e quali fattispecie criminali siano concretamente suscettive di essere integrate dall'inadempimento o dalla violazione degli obblighi di informazione secondo criteri di verità e correttezza (G. P. Accinni, Rilevanza penale delle falsità nei cd. non financial statements?, in Riv. 231, fasc. 1, 2018, 46. Vedi anche V. Rochira e L. Macri, Bilancio di sostenibilità, dichiarare il falso ha rilevanza penale? Redazione Web, 26.7.2022, secondo cui le dichiarazioni non finanziarie possono essere considerate vere e proprie «comunicazioni sociali perché provengono dai vertici della società).
Le norme di riferimento andrebbero individuate negli artt. 2621 cc. e ss., sia pure a una condizione. La possibilità della sussunzione nella fattispecie di falso in bilancio presenterebbe un primo elemento incontroverso, e cioè che le dichiarazioni non finanziarie possono essere vere e proprie comunicazioni sociali, poiché promanano direttamente dai vertici dell'impresa e veicolano nei confronti di una pluralità indeterminata di destinatari un preciso contenuto informativo riferibile a certi aspetti della situazione societaria, per poi venire inserite all'interno della relazione sulla gestione (o comunque alla medesima allegate): G. P. Accinni, op. cit., 49.
Ma – ed è questa la condizione – affinché la condotta comunicativa possa raggiungere la soglia di rilevanza penale è anche necessario, per un verso, che i fatti materiali rilevanti riguardino la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo; per altro verso, che l'agire dei soggetti agenti sia caratterizzato dal dolo specifico di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto.
Le “informazioni non finanziarie” false, tuttavia, dovrebbero riguardare una porzione complessiva o oltremodo significativa della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società: possono rientrare nell'ambito di applicazione degli art. 2621 e ss. c.c. esclusivamente le rappresentazioni di situazioni di fatti dotati di un significato economico in grado di incidere sul valore dell'impresa (G. P. Accinni, op. cit., 51. Cfr. anche V. Rochira e L. Macri, op. loc. cit., secondo cui “Va da sé che tanto il fine di profitto quanto l'occasione economica, patrimoniale e finanziaria non possono che allontanare l'idea di reprimere con l'extrema ratio punitiva la falsità della dichiarazione non finanziaria ovvero del bilancio sociale, salvo che, appunto non abbiano diretto effetto falsificatorio della situazione economica, patrimoniale o finanziaria”).
Non si può condividere questa argomentazione, per quanto prudente, perché non si tratta di una interpretazione estensiva dell'art. 2621 e ss. c.c., bensì di una evidente applicazione analogica in malam partem di tali norme, in contrasto con il principio di legalità.
È doveroso, però, tener conto della clausola di sussidiarietà, che ci dice che la falsa attestazione nel bilancio sociale può costituire reato, nel senso che può essere strumento per la commissione di un reato: ma ciò non consente di fare ricorso al reato di false comunicazioni sociali.
Si può, anzitutto, formulare una semplice osservazione, se si vuole scontata, ma decisiva: regolamentando una materia ancora piuttosto nuova, e complessa, il legislatore, ove avesse ritenuto applicabile l'art. 2621 c.c. e ss., lo avrebbe detto chiaramente invece di richiamare genericamente l'ipotesi di un qualsiasi reato.
La tesi sopra esposta, tra l'altro, difficilmente si concilia con il principio di tassatività perché sostiene che non tutte le informazioni “non finanziarie” false o reticenti sarebbero riconducibili all'art. 2621 c.c. e ss., ma solo quelle riguardanti “una posizione complessiva o oltremodo significativa della situazione economica, patrimoniale o finanziaria”: sarà il giudice, quindi, a individuare caso per caso se ricorre, o meno, questo elemento della fattispecie.
Infine, tra i documenti citati dall'art. 2621 c.c. e ss., e il contenuto del bilancio sociale vi è una distinzione di carattere semantico che smentisce l'ipotesi che le “dichiarazioni di carattere non finanziario” siano riconducibili alle false comunicazioni sociali, ed è proprio la precisazione che nel bilancio di sostenibilità non vanno incluse le dichiarazioni che abbiano un contenuto finanziario: queste ultime vanno riportate tutte nel bilancio o nelle altre comunicazioni sociali; solo se presenti in tali documenti sono riconducibili al reato previsto dall'art. 2621 cc. e ss.