Il tempo dell’intervento nell’espropriazione immobiliare

09 Febbraio 2024

Un tema, quello del tempo dell'intervento, che riserva sempre spunti di riflessione interessanti per gli addetti ai lavori. Una volta riepilogati i caratteri essenziali dell'intervento e i riferimenti minimi in tema di forma e tempo dell'intervento, ci si sofferma su una particolare ipotesi: l'intervento nell'espropriazione immobiliare formalizzato allorché la procedura risulti sospesa per essere stato introdotto giudizio di divisione endo-esecutiva.

Il quadro normativo 

Un tema all'apparenza davvero marginale e, comunque, abbondantemente arato tanto dalla giurisprudenza, quanto dalla dottrina, quindi, perché soffermarsi ancora sul tempo dell'intervento e sulla distinzione fra intervento tempestivo e tardivo nell'espropriazione forzata?

La domanda, evidentemente, è soltanto provocatoria, perché le questioni aperte, quando si tratta di intervento nella procedura esecutiva e, in particolar modo, in quella immobiliare, davvero non mancano.

Ma andiamo con ordine.

La disciplina generale in materia di intervento è dettata dall'art. 499 c.p.c., disposizione che è stata oggetto di un importante intervento di riforma ad opera del d.l. n. 35/2005 (convertito in legge, con modifiche, ad opera della l. n. 80/2005 e successivamente modificato per effetto della l. n. 263/2005).

Il comma 2 dell'art. 499 c.p.c. prevede che l'intervento debba essere formalizzato mediante ricorso, da depositarsi nel fascicolo dell'esecuzione, che rechi l'indicazione del credito e del titolo posto a base dello stesso e mediante il quale si faccia domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla procedura e si formalizzi la propria dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio.

Venendo alla individuazione del momento nel quale deve essere formalizzato l'intervento, l'art. 499, comma 2, c.p.c. prevede che il ricorso debba essere depositato «prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, ai sensi degli articoli 530, 552 e 569».

Tale disposizione, formulata nei citati termini, ha posto qualche problema interpretativo circa il suo coordinamento con le previsioni normative dettate in tema di intervento nell'ambito degli specifici mezzi di espropriazione forzata, tanto da aver indotto taluni interpreti ad ipotizzare che, alla luce della novellata formulazione dell'art. 499 c.p.c., l'intervento tardivo nella procedura esecutiva debba ormai reputarsi del tutto escluso.

A ben vedere, però, tale ultima posizione risulta senza dubbio minoritaria, atteso che le specifiche disposizioni dettate con riguardo ai diversi mezzi di espropriazione, tutt'ora vigenti, prevedono espressamente la possibilità di svolgere intervento tardivo, disciplinandone gli effetti.

Con specifico riguardo alla espropriazione immobiliare, l'art. 564 c.p.c. consente l'intervento fino alla udienza fissata per l'autorizzazione alla vendita e il successivo art. 565 c.p.c. prevede espressamente gli effetti dell'intervento tardivo, disponendo che i creditori chirografari intervenuti tardivamente (ossia successivamente alla ordinanza di vendita ma prima dell'udienza fissata per l'approvazione del piano di riparto) possano soddisfarsi solo su quanto residui dopo l'integrale soddisfazione del creditore procedente, di quelli privilegiati e degli intervenuti tempestivamente e affermando, al successivo art. 566 c.p.c., la sostanziale irrilevanza della tardività dell'intervento nel caso di creditore munito di diritto di prelazione (si noti che anche i citati articoli 564,565 e 566 c.p.c. sono stati fatti oggetto di intervento riformatore ad opera del già citato d.l. n. 35/2005).

La questione concernente la tempestività o meno dell'intervento ha effetti nient'affatto trascurabili sulla procedura esecutiva: come si accennava in precedenza, il creditore intervenuto tardivamente può soddisfarsi, ordinariamente, solo su quanto residui all'esito della distribuzione del ricavato della vendita in favore del procedente e dei creditori tempestivi.

Fa eccezione, come esposto in precedenza, il caso in cui ad intervenire tardivamente sia stato un creditore iscritto o avente un diritto di prelazione, il quale concorrerà comunque alla distribuzione in considerazione del proprio diritto di prelazione (si veda, per l'espropriazione immobiliare, il già citato art. 566 c.p.c.).

E' utile soffermarsi ancora sulle disposizioni dettate in tema di intervento nella espropriazione immobiliare: l'art. 564 c.p.c., come accennato in precedenza, prevede che partecipino a pieno titolo alla espropriazione dell'immobile pignorato i creditori intervenuti non oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione alla vendita”.

Il successivo art. 565 c.p.c. dispone, poi, che “i creditori chirografari che intervengono oltre l'udienza indicata nell'art. 564 c.p.c., ma prima di quella prevista nell'art. 596 c.p.c.”, si intendono come creditori tardivi.

A riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare come in tema di espropriazione immobiliare, l'intervento dei creditori (…) è tempestivo se avvenuto anche oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita, quando, per qualsiasi causa, questa sia stata differita, sempreché sia avvenuto prima dell'emissione dell'ordinanza di vendita” (Cass. civ. n. 689/2012).

Resta invece precluso l'intervento una volta che sia stata svolta l'udienza di approvazione del progetto di distribuzione, con la precisazione che il termine ultimo per spiegare efficacemente intervento deve essere identificato con il momento in cui “l'udienza abbia avuto inizio (nella data e nell'ora fissate) e si sia ivi svolta un'attività di trattazione effettiva, ancorché venga disposto, in esito ad essa, un rinvio in prosieguo”, restando invece possibile l'intervento nel solo caso in cui “in tale udienza, siano compiute attività esclusivamente dirette a rimediare ad una nullità impediente il suo normale svolgimento e finalizzate all'adozione del conseguente provvedimento, con fissazione di una nuova udienza ex art. 596 cod. proc. civ., ovvero se l'udienza stessa non venga tenuta per mero rinvio derivante da ragioni di ufficio” (Cass. civ. n. 6432/2015).

Alcune specifiche questioni concernenti il tempo dell'intervento nell'espropriazione immobiliare

Le norme appena passate sinteticamente in rassegna in tema di intervento nell'espropriazione immobiliare non risolvono tutte le possibili questioni che possono porsi in tema di ammissibilità e tempestività dell'intervento.

Ecco allora un breve vademecum, inevitabilmente non esaustivo e sotto certi profili piuttosto sommario, su alcune ipotesi che possono verificarsi nel corso della procedura esecutiva.

Un primo caso di sicura rilevanza riguarda l'incidenza delle vicende del titolo azionato dal creditore procedente sulla ammissibilità dell'intervento.

A riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare come ciò che conta è la permanenza di un valido titolo esecutivo a base della procedura e, in particolare, “la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell'interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento”, con l'effetto che “qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato” (Cass. civ., sez. un., n. 61/2014; nel medesimo senso, più di recente, Cass. civ. n. 23654/2023).

A diverse conclusioni, evidentemente, occorrerà giungere nel caso in cui il vizio della procedura esecutiva azionata dal creditore procedente si riveli originario (ipotesi che può verificarsi anche allorché il titolo posto a base dell'esecuzione non avesse, ab origine, i caratteri previsti dall'art. 474 c.p.c.), restando in tal caso preclusa la possibilità di proseguire l'esecuzione da parte dei creditori che abbiano spiegato intervento (si veda, ancora, la citata Cass. civ., sez. un., n. 61/2014).

Altra questione che può porsi in corso di procedura concerne l'ammissibilità dell'intervento nel caso in cui venga proposta istanza di conversione ai sensi dell'art. 495 c.p.c.

La menzionata disposizione prevede che all'esito dell'istanza di conversione, da presentarsi necessariamente prima che venga disposta la vendita o l'assegnazione unitamente al versamento di un importo pari ad un sesto del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti sino a quel momento, il giudice determina con ordinanza il saldo dovuto, dopo aver sentito le parti in udienza.

Il dato appena menzionato con riguardo alla modalità di determinazione della somma da versare unitamente all'istanza di conversione, potrebbe indurre a ritenere che unici interventi ammissibili nel caso di proposizione di istanza di conversione, siano quelli formalizzati fino alla data di presentazione della stessa.

La Cassazione, tuttavia, ha avuto modo di precisare come il termine ultimo per valorizzare l'atto di intervento al fine di determinare il saldo dovuto, non sia costituito dalla data di presentazione dell'istanza di conversione, bensì dalla udienza nella quale il giudice provvede (o si riserva di provvedere) sulla determinazione del saldo dovuto dall'esecutato (Cass. civ. n. 940/2012; nel medesimo senso, più di recente, Cass. civ. n. 411/2020), fermo restando che l'intervento, anche dopo l'emissione di tale ordinanza, può comunque reputarsi ammissibile, quanto meno per l'ipotesi di eventuale decadenza del debitore esecutato dal beneficio della conversione.

Proseguendo in questo percorso teso a scandagliare alcune particolarità in tema di intervento nella procedura esecutiva, può essere utile soffermarsi sulla possibilità di spiegare intervento in pendenza di sospensione della procedura esecutiva.

A riguardo, l'art. 626 c.p.c. prevede che quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell'esecuzione”.

Tale previsione normativa potrebbe indurre a ritenere che, in pendenza di sospensione della procedura esecutiva (sia essa disposta ai sensi degli artt. 623,624,624-bis c.p.c., ovvero, con specifico riguardo all'ipotesi di sospensione in pendenza di giudizio di divisione endo-esecutiva, ai sensi dell'art. 601, comma 1, c.p.c.) non sia ammesso alcun tipo di intervento, restando la medesima in uno stato di quiescenza.

Anche su questo argomento, però, la giurisprudenza di legittimità argomenta in senso diverso, affermando che “la preclusione degli atti esecutivi nel processo sospeso” trova la sua ratio nella necessità di “impedire che, nel medesimo processo esecutivo sospeso, si compiano atti che lo facciano proseguire con le operazioni materiali volte alla liquidazione del bene”, non restando dunque in alcun modo preclusa la possibilità di spiegare atto di intervento in pendenza di sospensione (Cass. civ. n. 6072/2012).

Il tempo dell'intervento in ipotesi di procedura esecutiva sospesa in pendenza di giudizio di divisione endo-esecutiva

Può essere utile, ora, soffermarsi su una particolare ipotesi di intervento spiegato in pendenza di sospensione della procedura esecutiva.

Viene in rilievo, così, l'ipotesi in cui un creditore spieghi intervento nel corso di una procedura esecutiva che sia stata sospesa ai sensi del citato primo comma dell'art. 601 c.p.c., al fine di consentire l'introduzione di un giudizio finalizzato a pervenire allo scioglimento della comunione su un bene in comproprietà fra l'esecutato ed altri soggetti estranei alla procedura.

Come si accennava in precedenza, non vi sono ragioni per ritenere radicalmente inammissibile tale intervento proposto in pendenza di sospensione, non ostando a tale intervento la previsione contenuta nell'art. 626 c.p.c., in tema di effetti della sospensione.

Resta però da chiedersi se, in questo caso, possa trovare applicazione la distinzione, prevista dagli artt. 564 e 565 c.p.c., fra creditori intervenuti tempestivamente e creditori intervenuti tardivamente, oppure se tale distinzione in questa ipotesi debba intendersi necessariamente superata.

La perplessità deriva dal fatto che nel caso in cui la procedura venga sospesa per dare seguito a giudizio di divisione endo-esecutiva non si avrà, verosimilmente, alcuna ordinanza che dispone la vendita nel corso della procedura esecutiva, dal momento che l'attività liquidatoria del bene pignorato viene ordinariamente attuata (salvo l'ipotesi, non frequente, che la divisione si concretizzi nella separazione della quota in natura, ovvero quella, un po' più ricorrente nella prassi, della assegnazione di quota ad uno dei condividenti e versamento del relativo prezzo) attraverso la vendita forzata del bene operata in sede di divisione.

Dunque, in mancanza di una ordinanza che dispone la vendita del bene in corso di procedura, non risulta possibile individuare, con riguardo all'intervento spiegato in pendenza di sospensione della procedura, la linea di confine fra intervento tempestivo ed intervento tardivo.

Potrebbe affermarsi, allora, che in questo caso non vi sia ragione di introdurre una tale distinzione, giungendo alla conclusione di configurare tutti gli interventi spiegati fino alla approvazione del progetto di distribuzione come tempestivi.

Una possibile alternativa, poi, potrebbe essere quella di ritenere che, in considerazione della stretta connessione esistente fra procedura esecutiva e giudizio di divisione endo-esecutiva che dalla stessa sia scaturito, debba ritenersi come tempestivo l'intervento spiegato fino al momento della emissione dell'ordinanza che si pronuncia sulla vendita del bene in sede divisionale.

Ma si tratta di una opzione che soddisfa solo in parte, risultando non priva di limiti: un limite formale, costituito dal fatto che l'art. 564 c.p.c., nell'individuare il termine entro il quale può essere spiegato tempestivo intervento, all'evidenza fa riferimento alla vendita disposta in sede esecutiva e non a quella disposta nel corso di un giudizio di divisione; ma un limite anche di carattere sostanziale, se si pensa che sovente il giudizio di divisione si risolve nell'assegnazione della quota ad uno dei condividenti, previa corresponsione del valore dello stesso, mancando dunque del tutto, in tali casi, una ordinanza di vendita.

Altra soluzione percorribile, infine, potrebbe essere quella di individuare come linea di demarcazione che segna la distinzione fra intervento tempestivo e tardivo l'udienza nella quale viene disposta la sospensione della procedura, assegnandosi termine per l'introduzione del giudizio divisionale.

Soccorre, sul punto, un dato formale: se il legislatore ha inteso individuare nell'udienza in cui viene disposta la vendita il momento entro il quale può essere utilmente spiegato intervento tempestivo, può allora ritenersi che tale previsione possa estendersi anche all'adempimento alternativo che può aver luogo in sede di prima udienza, allorché sul bene oggetto di pignoramento insistano diritti di soggetti estranei alla procedura.

Del resto, se può ritenersi che la distinzione tra creditori tempestivi e tardivi sia finalizzata ad introdurre una disciplina premiale in favore di quei creditori che si siano attivati tempestivamente ai fini della partecipazione alla procedura esecutiva, facendosi carico, se del caso, degli oneri relativi alla stessa, può allora giustificarsi una cristallizzazione al momento della introduzione del giudizio divisionale della linea di demarcazione fra i diversi tipi di intervento.

Questioni, come accennato più volte, di non agevole soluzione, sulle quali davvero non ci si stanca di riflettere.

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