Risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica: criteri e valutazioni

20 Febbraio 2024

Come riconoscere il danno da perdita della capacità lavorativa specifica? Quale rilievo della persistente (pur ridotta) capacità lavorativa? Quale rilevanza dello stato di disoccupazione del danneggiato?

La Cassazione si pronunzia su queste questioni, che possono interferire sul principio generale per cui il danno va liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento.

Il caso

A seguito di un errore medico, in un intervento chirurgico di eliminazione di calcolo ureterale, a Tizio residuavano postumi di prostatite, neuropatia del pudendo e sintomatologia dolorosa pelvica, con impossibilità di mantenere posture fisse prolungate ed esigenze ravvicinate di minzione. In sostanza non poteva più svolgere il proprio lavoro di autotrasportato e chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno (comprensivo sia dell'omessa retribuzione che dell'omessa contribuzione previdenziale) per perdita della capacità lavorativa specifica.

Il danneggiato al momento dell'evento dannoso era disoccupato, involontariamente. Sul punto il Tribunale rigetto la domanda; la Corte di Appello l'ha parzialmente accolto sulla base dei seguenti rilievi:

  • il danneggiato aveva provato sia il reddito derivante dall'attività di autotrasportatore, sia di avere ricevuto una proposta di assunzione come autista che non aveva potuto accettare proprio a causa delle condizioni di salute dopo l'intervento chirurgico;
  • l'incapacità lavorativa non era assoluta, in quanto il CTU aveva chiarito che, sebbene non potesse continuare a svolgere l'attività di autotrasportatore, tuttavia il danneggiato avrebbe potuto svolgere altri lavori, purché non comportanti posture obbligate protratte o un importante impegno fisico;
  • pertanto, doveva ritenersi equo l'importo pari ad un terzo della liquidazione già operata per il danno non patrimoniale.

La questione

In sostanza la questione sottoposta alla Suprema Corte verte su alcuni aspetti in tema di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Se questo va liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento, quale rilievo può assumere la persistente (pur ridotta) capacità lavorativa? Quale rilevanza dello stato di disoccupazione del danneggiato?

La soluzione

Con un ragionamento stringente, il Collegio osserva che:

  • in tema di danni alla personal'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, pur integrando (non già la lesione di un modo di essere del soggetto rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, bensì) un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, costituisce, tuttavia, un danno patrimoniale ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica (e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica), il quale, sempre che ne sia accertata la sussistenza, anche in base ad elementi utili ad un giudizio prognostico presuntivo prospettati dal danneggiato, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c.
  • invece, il distinto danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri in relazione al lavoro svolto al momento dell'evento dannoso, va provato dal danneggiato mediante la dimostrazione che il sinistro abbia determinato la cessazione del rapporto lavorativo in atto e la perdita, per il futuro, del relativo reddito.

In tal caso, il reddito perduto dalla vittima (recte: le retribuzioni, comprensive di tutti gli elementi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che essa avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base allo specifico rapporto di lavoro perduto) costituisce la base di calcolo per la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, la quale, peraltro, deve tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà (il cui peso deve essere adeguatamente considerato), un'altra attività lavorativa retribuita.

Questo danno, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'art. 1223 c.c., deve essere pertanto liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione affidabili, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano.

Questi criteri presuppongono, in linea generale, un rapporto lavorativo in atto al momento dell'evento dannoso.

In caso di assenza del presupposto della specifica attualità del rapporto di lavoro al momento dell'illecito, assume rilievo che:

  1. lo stato di disoccupazione, oltre a non dipendere dalla volontà o dalla colpa del lavoratore (bensì da vicende incolpevoli riguardanti la sua persona o da vicende oggettive di impresa),
  2. sia contingente e temporaneo, sussistendo la ragionevole certezza o addirittura la positiva dimostrazione che, se non vi fosse stato l'illecito, il danneggiato avrebbe ripreso lo svolgimento della medesima attività lavorativa o comunque di un'attività confacente alle sue attitudini, idonea a produrre lo stesso reddito.

Nel caso specifico, il giudice del merito avrebbe dovuto tenere conto delle accertate circostanze:

  • il danneggiato aveva sempre svolto l'attività lavorativa di autotrasportatore;
  • al momento dell'illecito si trovava in stato di disoccupazione non per propria volontà o colpa, ma per vicende oggettive che avevano colpito l'impresa datrice di lavoro (dichiarata fallita);
  • comunque sussisteva la ragionevole certezza – se non la positiva dimostrazione – che lo stato di disoccupazione sarebbe cessato, con ripresa della medesima attività lavorativa, ove non vi fosse stato l'illecito, per avere egli ricevuto una proposta di assunzione da un'altra impresa, in concomitanza con la cessazione del trattamento di disoccupazione.

La Corte territoriale, pur dando espressamente conto dell'accertamento di queste circostanze, in modo contraddittorio, non ha tenuto conto, nella liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, delle retribuzioni che il danneggiato avrebbe potuto conseguire in base all'attività lavorativa perduta a causa dell'illecito, ma, al contrario, ha indebitamente attribuito rilievo negativo:

  • alla situazione di disoccupazione (contraddicendo la premessa sulla base della quale tale situazione non avrebbe potuto ridondare a detrimento del creditore) e
  • alla residua capacità lavorativa generica indicata nella relazione peritale (la quale avrebbe potuto assumere limitato rilievo al più in sede di quantificazione del risarcimento, da operarsi comunque ponendo alla base del calcolo le retribuzioni non conseguite a causa del lavoro perduto).

Conclusioni

La Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto: «in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'art. 1223 cod. civ., la necessità che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica sia liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento (salva l'esigenza di tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere un'altra attività lavorativa retribuita), sussiste non solo nell'ipotesi di cessazione di un rapporto lavorativo in atto al tempo dell'evento dannoso, ma anche nell'ipotesi in cui la vittima versi in stato di disoccupazione, ove si tratti di disoccupazione involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, sussistendo la ragionevole certezza o la positiva dimostrazione che il danneggiato, qualora fosse rimasto sano, avrebbe stipulato un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività lavorativa o comunque una attività confacente al proprio profilo professionale».

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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