L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità nel reato continuato: verso le Sezioni Unite?

Alessandro Trinci
26 Febbraio 2024

La questione involve l'accertamento della sussistenza delle circostanze “quantitative” quando si è in presenza di una pluralità di reati espressione di un medesimo disegno criminoso.

Massima

Ai fini dell'applicazione al reato continuato dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p., la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere effettuata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato.

Il caso

Tizio, titolare di una società di smaltimento rifiuti, veniva accusato di aver truffato Caio, medico che aveva stipulato con l'imputato un contratto per il ritiro e lo smaltimento dei rifiuti provenienti dal suo ambulatorio, inducendolo a pagare somme non dovute, paventando inesistenti irregolarità nella gestione dei rifiuti da sanare, prospettando la necessità di pagare, per servizi accessori di contratto, somme superiori a quelle pattuite e simulando il malfunzionamento bancomat, con necessità di digitare più volte la cifra dovuta, così autorizzando il versamento di importi più elevati. L'insieme delle condotte truffaldine provocava alla vittima un danno di circa 30.000 euro.

Il Tribunale di Bologna, con pronuncia confermata dalla Corte di Appello, condannava Tizio per il reato di truffa aggravata dall'aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di particolare gravità.

Avverso la sentenza di appello interponeva ricorso per cassazione il difensore di Tizio, deducendo, fra i vari motivi, la violazione di legge con riferimento all'art. 61 n. 7 c.p., perché il giudice di secondo grado, al fine di ritenere integrata tale aggravante, aveva cumulato tutti gli episodi contestati.

La Corte, nell'annullare con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p., ha ritenuto di aderire all'orientamento che considera unitariamente il reato continuato solo per gli effetti che sono espressamente previsti dalla legge (come, ad esempio, ai fini della determinazione della pena, ai sensi del secondo comma dell'art. 81 c.p., e dell'individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, ai sensi del primo comma dell'art. 158 c.p.), ammettendo la considerazione unitaria, per tutti gli altri effetti che non sono espressamente previsti dalla legge, solo a condizione che essa garantisca un risultato favorevole al reo.

La questione

Per ritenere integrata la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, il giudice deve tenere conto del danno prodotto dalla singola condotta oppure della somma dei danni prodotti dalle singole condotte unificate dalla continuazione?

Le soluzioni giuridiche

Sui rapporti tra reato continuato e circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità si registra un contrasto giurisprudenziale.

Secondo la linea interpretativa maggioritaria, in caso di reato continuato vale il principio della unitarietà, salvo che ricorrano tassative esclusioni. Dunque, mancando una espressa previsione in tema di circostanze, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell'aggravante del danno di rilevante gravità deve essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione commessa nei confronti di un'unica persona offesa, ma a quello complessivo causato all'unica persona offesa dalla somma delle violazioni (cfr. ex multis Cass. pen., sez. II, 13 novembre 2013-20 gennaio 2014, n. 2201, Rv. 258477; Cass. pen., sez. II, 27 ottobre 2015-16 novembre 2015, n. 45504, Rv. 265557; Cass. pen., sez. V, 7 aprile 2017-8 giugno 2018, n. 28598, Rv. 270244; Cass. pen., sez. II, 13 luglio 2021-16 settembre 2021, n. 34525, Rv. 281866; Cass. pen., sez. II, 31 maggio 2022-30 giugno 2022, n. 25030, Rv. 283554; Cass. pen., sez. II, 3 maggio 2023-4 ottobre 2023, n. 40314, Rv. 285253).

Un diverso orientamento, minoritario, ritiene invece che la considerazione unitaria del reato continuato sia limitata ai soli effetti espressamente previsti dalla legge, mentre, ad ogni altro fine, la valutazione cumulativa può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo. Discende da ciò che, ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p. al reato continuato, la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere operata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma con riguardo al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato (Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2019-16 dicembre 2019, n. 50792, Rv. 277627).

La sentenza in commento si inserisce nel secondo filone, in consapevole contrasto con l'orientamento maggioritario, osservando come il principio sia stato già espresso dalle Sezioni unite in due pronunce.

Nel 2008, con la sentenza Chiodi, era stato affermato, proprio con riferimento alle circostanze “quantitative”, che i reati uniti dal vincolo della continuazione conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti (Cass. pen., sez. un., 27 novembre 2008-23 gennaio 2009, n. 3286, Rv. 241755).

Nel 2013, con la sentenza Ciabotti, è stato ribadito che i reati legati dal vincolo della continuazione devono considerarsi come una vera e propria pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più o meno favorevole degli effetti che ne discendono, con la conseguenza che la concezione unitaria del reato continuato opera soltanto per gli effetti espressamente presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, e sempre che garantisca un risultato favorevole al reo (Cass. pen., sez. un., 28 febbraio 2013, n. 25939, Rv. 255347).

Osservazioni

La pronuncia in esame ha il pregio di essere coerente con la natura giuridica del reato continuato.

Come noto, la struttura della continuazione è quella del concorso materiale di reati, e si caratterizza per il fatto che, sotto il profilo sanzionatorio, al cumulo materiale delle pene, il legislatore ha preferito un più mite cumulo giuridico, in base al quale la pena per la violazione più grave viene aumentata fino al triplo.

Laratio di tale disciplina di favore viene rinvenuta nell'idea, non da tutti condivisa, che si possa muovere un rimprovero minore al soggetto che commette più reati avvinti da un medesimo disegno criminoso rispetto al soggetto che pone in essere più reati in esecuzione di plurimi progetti criminosi, in quanto la condotta del primo, in base ad una fictio iuris, viene considerata come un unico atto di ribellione ai precetti dell'ordinamento.

Conformemente alla sua ratio, la continuazione deve essere considerata come un unico reato o come una pluralità di reati, a seconda del carattere favorevole o sfavorevole degli effetti nei confronti del reo che discendono dall'accoglimento dell'uno o dell'altro punto di vista. La dottrina è concorde nel ritenere che solo in questo modo sia possibile garantire al reato continuato, sotto tutti i profili, quel trattamento privilegiato che è imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva. Ciò è quanto fa espressamente la legge a taluni fini (determinazione della pena, decorrenza del termine di prescrizione, ecc.). Là dove tace, occorrerà disciplinare il reato continuato come un solo reato o come più reati, a seconda che siano più favorevoli le conseguenze derivanti dall'una o dall'altra disciplina.

Non si vede perché ciò non debba valere anche in tema di circostanze “quantitative” (specificamente, quelle attenuanti previste dal numero 4) e dal numero 6) del primo comma dell'art. 62 c.p. e quella aggravante prevista dal numero 7) del primo comma dell'art. 61 c.p.; ma il problema si pone, ad esempio, anche per la circostanza di cui all'art. 80, comma 2, d.P.R. 309/1990).

Dunque, l'orientamento maggioritario parte da un assunto concettualmente errato, ossia che per il reato continuato operi una presunzione di unitarietà che può essere vinta solo da espresse previsioni derogatorie.

A sostegno della concezione pluralistica si osserva anche che, quando il danno patrimoniale provocato dai reati unificati dal vincolo della continuazione non riguarda più persone offese, ma resta confinato nel patrimonio della stessa vittima, nel quale si accumula ed accresce ad ogni episodio delittuoso della serie oggetto di giudizio, la scomposizione di tale danno unitariamente arrecato alla vittima in ragione dei singoli episodi delittuosi non corrisponderebbe alla realtà dei fatti, e dunque del pregiudizio effettivamente arrecato (cfr. Cass. pen., sez. II, 13 novembre 2013, n. 2201, Rv. 258477; in senso conforme, cfr. Cass. pen., sez. II, 27 ottobre 2015, n. 45504, Rv. 265557; Cass. pen., sez. II, 27 ottobre 2015, n. 45505, Rv. 265541; Cass. pen., sez. V, 7 aprile 2017, n. 28598, Rv. 265541; Cass. pen., sez. II, 22 febbraio 2019, n. 15617; Cass. pen., sez. VII, 20 ottobre 2020, n. 34537).

L'argomento è suggestivo ma non convincente, perché analizza il problema da una prospettiva errata: quella della persona offesa dal reato. Il principio del favor rei sotteso alla continuazione criminosa può avere dei risvolti negativi per la vittima quando questa è unica per tutti i reati avvinti dal medesimo disegno criminoso. Non vi è dubbio, infatti, che a fronte di un danno patrimoniale di ingente gravità, per chi lo subisce sia indifferente che a cagionarlo sia stata un'unica condotta o una pluralità di azioni illecite. Dal punto di vista del soggetto agente, invece, fra concezione unitaria e concezione pluralistica del reato continuato vi è una differenza sostanziale, perché l'adesione all'una o all'altra può rilevare sul trattamento sanzionatorio, consentendo di ritenere o meno integrata una circostanza aggravante o attenuante (il problema, infatti, si pone anche per le attenuanti relative alla speciale tenuità del danno patrimoniale o al risarcimento del danno).

Deve osservarsi, però, che le esigenze di tutela della persona offesa sono estranee all'istituto della continuazione, il cui scopo è quello di mitigare il trattamento sanzionatorio a fronte di una riprovevolezza dell'agente ritenuta minore rispetto ai normali casi di concorso di reati. In sostanza, la prospettiva della continuazione criminosa è quella del soggetto agente non della vittima.

Del resto, se l'agente viene ritenuto meno riprovevole quando viola, anche in tempi diversi, più volte la stessa o diverse disposizioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, non si comprende perché tale giudizio di favore non debba valere anche per le circostanze, che riguardano pur sempre il trattamento sanzionatorio. Diversamente opinando, il reato continuato andrebbe considerato, ai fini delle circostanze, come un unico reato o come più reati, a seconda che sia commesso nei confronti della stessa persona offesa o di diverse persone offese. Si tratta, però, di una soluzione irragionevole, soprattutto ove si consideri che l'identità del soggetto passivo rende la continuazione ancor più assimilabile al reato unico.

Va detto che, adottando la concezione pluralistica del reato continuato, le circostanze (attenuanti o aggravanti) “quantitative” possono essere riscontrate in relazione al reato più grave e/o ai reati meno gravi in continuazione. Come precisa la sentenza in esame, nel primo caso inciderà sulla determinazione della pena base, mentre nel secondo caso rileverà per la determinazione dell'aumento di pena per i reati satellite, ai sensi del secondo comma dell'art. 81 c.p.

Per concludere, deve osservarsi che il contrasto in esame non è nuovo e non è recente. Già negli anni Ottanta si registravano pronunce della Suprema Corte in un senso e nell'altro (cfr., per la soluzione adottata dalla pronuncia in commento, Cass. pen., sez. II, 25 febbraio 1983-12 ottobre 1983, n. 8172 Rv. 160587; per la soluzione opposta, si veda Cass. pen., sez. II, 12 aprile 1989-5 luglio 1989, n. 9408, Rv. 181755).

Considerata la rilevanza pratica della tematica, sarebbe quindi opportuno un intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

Sul punto, la pronuncia che si annota ritiene che «l'evidenziato contrasto giurisprudenziale non risulti, in realtà, concretamente sussistente negli ampi termini che appaiono risultare dalla mera lettura delle massime delle sentenze che hanno fatto proprio lo stesso orientamento non condiviso da questo Collegio, senza considerare le fattispecie concrete oggetto dei procedimenti, i quali, almeno in alcuni casi, concernevano delle ipotesi di truffa cosiddetta a consumazione prolungata, nelle quali il reato, essendo riconducibile a un unico comportamento fraudolento, era, quindi, in realtà, unico». Tuttavia, analizzando le varie pronunce che compongono l'orientamento avversato si rilevano molte decisioni concernenti episodi in cui è stata commessa una pluralità di condotte criminose.

Dal canto suo, la sentenza n. 40314 del 2023, che costituisce l'ultima in ordine di tempo che ha aderito all'orientamento maggioritario, ha osservato che l'interpretazione seguita non è in contrasto con i principi affermati in precedenza dalla sentenza Chiodi, perché la fattispecie concreta esaminata dalle Sezioni unite riguardava una pluralità di persone offese e una pluralità di reati (rapina, lesioni, resistenza, danneggiamento, furto). Inoltre, si osserva che l'unico precedente contrario – che al tempo della decisione era la sentenza n. 50792 del 2019 – non è sufficiente a fondare un contrasto radicato e insuperabile che giustifichi l'intervento delle Sezioni unite.

L'attualizzazione del contrasto a seguito della pronuncia in esame e, soprattutto, una più attenta analisi delle tematiche giuridiche sottese alle soluzioni campo dovrebbe indurre il prossimo collegio investito della questione a rimettere gli atti alle Sezioni unite.  

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