Codice di Procedura Civile art. 473 bis 2 - Poteri del giudice1

Francesco Bartolini

Poteri del giudice1

[I]. A tutela dei minori il giudice può d'ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all'articolo 112 e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

[II]. Con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.

[1] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

L'art. 473-bis.2 c.p.c. assegna poteri ufficiosi al giudice specificamente riferiti a due tipi di procedimenti. La tutela dei minori ha giustificato l'attribuzione all'organo procedente di iniziative, nel loro interesse, finalizzate ad assicurare l'incisività dell'intervento giudiziale e la sua aderenza alle reali necessità della fattispecie da regolare. Nei procedimenti aventi ad oggetto domande di contributo economico i poteri d'ufficio rispondono all'esigenza di assicurare che le determinazioni rispondano ai bisogni degli aventi diritto accertati nella loro precisa realtà per quanto riguarda la situazione patrimoniale ed economica, sia di costoro e sia dei soggetti tenuti alla corresponsione.

Si desume dal tenore della disposizione che le regole da essa dettate riguardano principalmente il giudice relatore o il giudice istruttore delegato dal presidente del tribunale alla trattazione e all'istruzione della causa. Del resto proprio queste fasi processuali sono quelle nel cui contesto i poteri in argomento trovano il loro spazio di esercizio. Dal sistema costruito con le ripetute riforme del diritto di famiglia emergeva già una posizione di direzione officiosa conferita al giudice a superamento di insufficienze probatorie o di maliziose riserve delle parti. La riforma ha inteso introdurre una norma che di questa posizione costituisca esplicito titolo ed ufficializzazione. Si è voluto altresì eliminare incertezze sulla precisa ripartizione dei ruoli tra collegio e componente del collegio delegato dal presidente; la nomina del curatore speciale è stata spesso demandata al collegio.

A tutela dei minori il giudice può d'ufficio esercitare i seguenti poteri: nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge; adottare i provvedimenti opportuni in deroga al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.  Già la giurisprudenza, raccogliendo fili sparsi della normativa, aveva affermato che è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga alle regole generali sull'onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti (Cass. ord. n. 21178/2018).

La menzione della nomina del curatore speciale è una indicazione il cui contenuto è semplicemente quello di rimandare ai casi previsti in proposito dalla legge e, specificamente, al disposto degli artt. 473-bis.7 e 473-bis.8 che esplicitano in dettaglio taluni di questi casi, tutti riguardanti la nomina d'ufficio. Norme di ambito più generale sono disposte dagli artt. 78,79 e 80 c.p.c., modificati dapprima dalla l. 26 novembre 2021, n. 206, e poi dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

I provvedimenti opportuni in consentita deroga al disposto dell'art. 112 c.p.c. sono indicati dalla normativa unicamente con riferimento alla loro finalità: la tutela dei minori. L'intervento giudiziale può dunque superare l'insufficienza delle richieste proposte dalle parti, piegarne opportunamente le istanze e completarle con prescrizioni che assicurino la rispondenza allo scopo delle decisioni assunte, anche oltre l'oggetto del giudizio. La deroga consentita all'articolo 112 non sembra però possa autorizzare iniziative contrarie a quelle chieste dai protagonisti della vicenda; altro è pronunciare al di fuori di esse, rispetto a superarle con accortezze che esulano dalla materia del decidere demandata al giudice.

Alcuni dei poteri esercitabili d'ufficio sono specificamente indicati dalla normativa. Tra essi rientrano quelli che devono essere esercitati anche contro l'eventuale volontà delle parti. Possono essere ricordati, tra gli altri: l'ascolto del minore; l'adozione di provvedimenti indifferibili (art. 473-bis.15); la pronuncia, modifica e revoca dei provvedimenti provvisori (art. 473-bis.23) e dei provvedimenti indifferibili. Tanto avverso questi provvedimenti tipizzati quanto contro gli altri che rispondono alla medesima finalità è consentito il reclamo (art. 473-bis.24).

L'ammissione di prove anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile riguarda gli artt. 2721 e seguenti. L'ammissione a loro superamento fa già parte del novero dei poteri officiosi del giudice del lavoro e nella sede delle controversie di sua competenza cede alla riserva alle sole parti del deferimento del giuramento decisorio (art. 421 c.p.c.). Questa esclusiva vale certamente anche nell'ambito delle controversie di diritto familiare, per quanto concerne i diritti disponibili; per i diritti indisponibili l'esclusione del giuramento decisorio consegue alla stessa loro natura non negoziabile. La tutela del diritto alla prova e al contraddittorio è assicurata dal dovere del giudice di ammettere i mezzi di prova contraria.

I provvedimenti riferiti alle controversie aventi ad oggetto domande di contributo economico sono rivolti all'accertamento delle condizioni patrimoniali ed economiche delle parti e sono funzionali alla determinazione del diritto alla contribuzione ed alla sua quantificazione. La disciplina introdotta con la riforma ha onerato le parti della produzione di specifica documentazione riguardante le rispettive posizioni patrimoniali ed economiche (art. 473-bis.12). E in proposito il giudice può d'ufficio ordinarne l'integrazione. Può inoltre disporre ordini di esibizione e indagini, anche nei confronti di terzi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi eventualmente della polizia giudiziaria. L'attribuzione di questi poteri di accertamento non costituisce una completa novità. L'integrazione dei documenti era già prevista dall'art. 182, primo comma, c.p.c., peraltro con riferimento ai documenti che risultano difettosi. Le indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita erano consentite al tribunale nel corso del giudizio di divorzio ove fossero sorte contestazioni tra le parti (art. 5 l. n. 898/1970, attualmente abrogato). Provvede ora nel senso della continuazione normativa l'art. 337-ter c.c.

A differenza da quanto disposto nel primo comma, il comma successivo dell'art. 473-bis.2 non specifica se i poteri conferiti al giudice, in esso menzionati, gli sono attribuiti con espresso riferimento alla tutela dei minori: o se valgano anche nel contesto di controversie che riguardano soltanto gli adulti. I dati normativi ai quali far capo sono contrastanti. Nel senso di un intento normativo di protezione dei minori si esprime l'ultimo comma dell'art. 337-ter c.c., relativo alle informazioni di carattere economico fornite dai genitori allorchè si tratta di assumere provvedimenti riguardo ai figli. In senso contrario disponeva l'art. 5, nono comma, l. 898/1970, sul divorzio, ora abrogato, nel corpo di una norma riferita alla determinazione dell'assegno dovuto al coniuge. Il fatto che il rito familiare uniforme abbia per obiettivo non solo i minori, in quanto soggetti incapaci, ma più in generale i rapporti familiari nei loro aspetti anche economici induce a ritenere che i poteri attribuiti al giudice dal secondo comma della norma citata non incontrino il limite della specifica tutela dei figli minorenni (o handicappati: art. 473-bis.9).

La normativa disciplina ulteriori casi di esercizio di poteri d'ufficio. Il giudice, ad esempio, può: informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e per consentir loro di tentarla può sospendere la pronuncia dei provvedimenti temporanei e pregiudicare l'attuazione delle misure (art. 473-bis.15); formulare una motivata proposta conciliativa della controversia (art. 473-bis.21); modificare o revocare i provvedimenti temporanei e urgenti in presenza di fatti sopravvenuti o nuovi accertamenti istruttori (art. 473-bis.23); disporre l'intervento dei servizi sociali o sanitari (art. 473-bis.27); imporre al soggetto obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale se esiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di contenuto economico (art. 473-bis.36). I detti poteri d'ufficio sono rimessi alla decisione discrezionale del giudice.

La Relazione ministeriale al progetto del decreto di riforma

La Relazione a firma del ministro Cartabia, illustrativa del progetto normativo delegato, elenca i poteri spettanti al giudice per farne una esemplificazione descrittiva. Si tratta, però, di indicazioni quasi tutte riguardanti le funzioni proprie al giudice connaturate al suo ruolo e non anche di poteri ex novo attribuiti dalla riforma del processo. Si riporta un passo della Relazione per quanto possa servire da chiarimento.

«L'473-bis.2 c.p.c. dà attuazione all'art. 1 comma 23, lett. t) della legge delega, che disciplina nel dettaglio i poteri ufficiosi del giudice, anche nella veste di giudice monocratico nominato fin dal deposito del ricorso, che gestisce tutta la fase di trattazione e di istruzione, a tutela degli interessi del minore, attribuendogli, oltre al potere di «nominare il curatore speciale» (in tutti i casi previsti dalla legge ma anche ogni qualvolta emergano i presupposti previsti dall'articolo 78 del codice di procedura civile e, più nello specifico, dalla nuova norma di cui all'art. 473-bis.8 c.p.c.) il potere decisorio di «adottare i provvedimenti opportuni in deroga all'articolo 112», nonché poteri di natura squisitamente istruttoria, consistenti nel «disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile», purché venga rispettata la generale clausola di salvaguardia costituita da quella particolare applicazione del principio del contraddittorio (che deve potersi pienamente esplicare anche in materia istruttoria) rappresentata dal diritto alla prova contraria.

In particolare, infatti, sebbene anche nel sistema previgente (come la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo in molteplici occasioni di sottolineare) già si potesse ricavare da tutto l'impianto codicistico costruito dalla legge di riforma del diritto di famiglia, l'attribuzione di poteri officiosi all'organo giudicante per la tutela della prole, tuttavia la norma concepita dal legislatore delegato non solo ne esplicita l'attribuzione, ma intende altresì delinearne i contorni, superando le incertezze e le disarmonie talvolta emerse nella prassi applicativa della giurisprudenza di merito sulla competenza ad adottare provvedimenti ad opera del giudice monocratico, quali, appunto la nomina del curatore, spesso demandata al collegio.

La norma non individua poi quali tipi di provvedimenti il giudice possa adottare, utilizzando un'espressione ampia e volutamente «elastica», che consente esclusivamente di enuclearne la finalità che è quella, appunto, di apprestare massima tutela al minore.

Significativi sono inoltre i poteri istruttori che, sempre nell'ottica della tutela, consentono al giudice di individuare i mezzi di prova che possono essere assunti ai predetti fini e ciò, sia a prescindere dalle deduzioni delle parti, sia anche «al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile», con riferimento pertanto alle limitazioni di cui agli articoli 2721 e seguenti del predetto codice.

Resta naturalmente inteso (e a tal fine è deputata la clausola di salvaguardia inserita nella norma) che qualora il giudice eserciti poteri istruttori d'ufficio egli è in ogni caso tenuto a garantire il contraddittorio con le parti ed attribuire loro la facoltà di dedurre mezzi di prova contraria.

Il secondo comma della norma specificamente prevede poi che con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.

La norma deve ritenersi applicabile a tutti i provvedimenti che dispongono contributi periodici di somme di denaro, e in particolare tutte le diverse forme di assegno previste nell'ordinamento.

In tale ambito, i poteri istruttori officiosi del giudice si declinano consentendogli di acquisire, dalle parti stesse ovvero anche da terzi, tutte le informazioni e la documentazione patrimoniale e reddituale necessaria, in ossequio a quanto indicato nel comma 23, lett. t) della legge delega, che riconosce all'organo giudicante «poteri officiosi di indagine patrimoniale». A tal fine, in particolare, «il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria».

Il legislatore delegato ha così inteso generalizzare un potere già riconosciuto nella materia della separazione, del divorzio e nell'articolo 337-ter del codice civile, attribuendo al giudice istruttore, in tutti i procedimenti ai quali si applica il nuovo rito, di ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti, disporre ordini di esibizione - si badi bene, anche d'ufficio, e ciò in deroga all'articolo 210 del codice di procedura civile, che ne subordina l'emissione alla richiesta delle parti - indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi valendosi, se del caso, della polizia tributaria».

In particolare, l’ordine di esibizione

Nel procedimento ordinario di cognizione l'esibizione di cose o documenti è sottoposta a limiti precisi: sul punto l'art. 210 rimanda al precedente art. 118 che riguarda l'ordine di ispezione. Il richiamo è direttamente riferito ai seguenti requisiti condizionanti per i quali anche l'esibizione: deve avere ad oggetto cose in possesso delle parti o di terzi; deve essere inoltre indispensabile a conoscere i fatti della causa; deve potersi compiere senza grave danno per la parte o per il terzo; e non deve costringere a violare uno dei segreti previsti negli artt. 351 e 352 c.p.p., divenuti nel codice di procedura del 1988 gli artt. 200 (Segreto professionale), 201 (Segreto di ufficio) e 202 (Segreto di Stato). Oltre al rinvio alla norma disciplinatrice dell'ispezione l'art. 210 contiene alcune precisazioni. L'una di esse ripete che le cose, o i documenti, oggetto dell'ordine giudiziale devono essere in possesso della parte o del terzo; un'altra aggiunge che l'esibizione deve essere chiesta dalla parte; e una terza precisa che l'esibizione deve riguardare una cosa di cui il giudice ritenga necessaria l'acquisizione al processo.

Possesso della cosa.

 Il requisito del possesso della cosa ha costituito materia di decisioni giurisprudenziali conformi al dettato normativo. Sin da epoca risalente era stato affermato che costituisce un presupposto di ammissibilità dell'ordine di esibire un documento la certezza della sua esistenza in possesso della parte cui l'ordine di esibizione è rivolto, mentre il requisito della previa indicazione del contenuto del documento da esibire deve sempre essere riferito alla peculiari caratteristiche del rapporto controverso, senza che esso implichi la preventiva e dettagliata descrizione di quanto si suppone debba risultare da detto documento, essendo soddisfatto da qualsiasi indicazione idonea a valutare la rilevanza del documento medesimo rispetto al «thema probandum» (Cass. n. 2760/1996). Il requisito del possesso della cosa onera la parte interessata ad ottenerne l'esibizione di fornire la relativa prova. Ed esclude che l'ordine possa avere una funzione meramente esplorativa.

Perché l'ordine possa avere un risultato positivo è necessario non soltanto che la cosa o il documento esista e sia nella disponibilità della parte o del terzo ma anche che la sua esistenza permanga sino alla concreta acquisizione. L'ordine di esibizione fa sorgere a carico della parte cui esso è rivolto uno specifico obbligo, esplicazione del dovere di lealtà e probità che caratterizza il processo civile, vale a dire, quello di conservare la cosa o la documentazione e di non distruggerla fino a quando il giudice abbia provveduto a decidere sull'eventuale istanza, pena la valutazione del comportamento ai sensi degli artt. 88 e 116 c.p.c. (Cass. lav. n. 27231/2014).

Istanza di parte

Il testo dell'art. 210 c.p.c. conserva ancora, pur dopo una modifica subita per effetto del d.lgs. n. 149/2022 di riforma del processo civile, la menzione dell'occorrenza dell'istanza di parte. Si tratta di un coordinamento mancato, dato che l'art. 473-bis.2 annovera l'ordine di esibizione tra i poteri esercitabili, nel procedimento con rito familiare, dal giudice d'ufficio. Nulla vieta che sia la parte a formulare la richiesta: ma il giudice può di essa fare a meno, per quanto riguarda i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023.

Il potere officioso attribuito al giudice.

L'attribuzione del potere di ordinare d'ufficio l'esibizione non è accompagnata, nel testo dell'art. 473-bis.2, da indicazioni riguardanti l'osservanza, nello specifico procedimento familiare, di limiti di esercizio derivanti da altre fonti normative o desumibili in via di interpretazione sistematica. L'interprete può chiedersi quale sia il margine di determinazione concesso al giudice cui sono stati attribuiti i poteri svincolati dal contenuto e dallo scopo immediato della richiesta di parte: accertare, cioè, se quella attribuzione si risolva soltanto nella soppressione di un presupposto di natura processuale (l'istanza riservata alle parti), entro i limiti sostanziali previgenti, oppure se all'organo giudiziario risulta affidato l'esercizio di una ampia discrezionalità. Infatti, è vero che la nozione di «esibizione», anche se specificamente riferita a cose e documenti, non trova nel codice una definizione ed è lasciata alla comune esperienza e che il suo contenuto si ricava dalle fattispecie nelle quali essa è specificamente prevista dalla legge, come avviene ad esempio nel caso di cui all'art. 2711 c.c. Ma in un contesto profondamente mutato, nel quale le controversie sui delicati rapporti familiari hanno ricevuto una riorganizzazione che assegna incisivi compiti al giudice e al pubblico ministero potrebbe essere plausibile l'avvenuta esclusione di qualsiasi vincolo all'esercizio del potere istruttorio del giudice.

Su questo tema già la giurisprudenza si era espressa ben prima della riforma processuale introdotta dal d.lgs. n. 149/2022.

Indispensabilità e discrezionalità

Da un lato alcune pronunce giudiziali hanno insistito nel ricordare che il presupposto insostituibile per l'esibizione è costituito dall'indispensabilità della prova da acquisire al processo, come, del resto, puntualmente preteso dall'art. 118 c.c.p., richiamato dall'art. 210; ma hanno poi, spesso contestualmente al richiamo a tale presupposto, affermato che la valutazione del giudice è discrezionale e libera da obblighi di giustificazione: «In tema di poteri istruttori d'ufficio del giudice dell'opposizione allo stato passivo, l'emanazione dell'ordine di esibizione (nella specie, di documenti) è discrezionale, e la valutazione di indispensabilità neppure deve essere esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere motivazionale ed il provvedimento di rigetto dell'istanza è insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l'iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa» (Cass. lav., n. 9020/2019; conforme Cass. III, ord. n. 27412/2021). Nello stesso senso ha pronunciato Cass. II, ord. n. 31251/2021, per la quale l'ordine di esibizione, pur subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118,119 c.p.c., 94 e 95 disp. att. c.p.c., e pur costituendo uno strumento istruttorio residuale da utilizzarsi soltanto in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio a carico dell'istante, è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, per violazione di norma di diritto. Altre decisioni avevano posto in luce la caratteristica di eccezionalità dell'esibizione, che avrebbero dovuto circoscriverne l'ammissibilità in funzione di un'esigenza particolarmente qualificata che si riassume nel concetto di indispensabilità e limitarne l'esercizio a fattispecie eccezionali, ma sempre nell'esplicazione della discrezionalità di esercizio dei poteri del giudice (Cass. I, n. 3260/1997).

Queste prese di posizione cercavano di coordinare tra loro la discrezionalità del giudice, cui non si voleva rinunciare, e la condizione della indispensabilità dell'(ispezione) esibizione per conoscere i fatti della causa posta in maniera esplicita dalla normativa. Ma dalle stesse pronunce emergeva il riconoscimento di una conseguenza da trarsi dalle affermazioni di indispensabilità. L'indispensabilità del comando del giudice non poteva sussistere quando la cosa o il documento da acquisire era comunque disponibile o reperibile facilmente con i mezzi a disposizione delle parti. Certamente non si presentava quale unico mezzo di conoscenza l'ordine giudiziale se la cosa o il documento poteva essere acquisito al processo in altro modo, per iniziativa degli interessati, del resto gravati dell'onere della prova.

La giurisprudenza si è pronunciata più volte in questo senso. Per tal modo si riferiva il requisito della indispensabilità all'assenza di altre modalità di raggiungimento dello scopo di avere a disposizione la cosa o il documento: il ricorso al giudice doveva supplire all'impossibilità della parte di ottenere altrimenti ciò che occorreva a fornire la prova materiale del suo assunto. In questo senso è stata interpretata una condizione che l'art. 118, richiamato dall'art. 210, riferiva più direttamente ad una assoluta necessità dell'ordine giudiziale per ottenere la conoscenza dei fatti della causa.

Indispensabilità e necessità

L'art. 210 rinvia all'art. 118 con un richiamo che comprende il riferimento condizionante della indispensabilità dell'ispezione per conoscere i fatti della causa; ma poi dispone che l'esibizione può essere ordinata con riguardo a documenti o altre cose di cui il giudice ritenga necessaria l'acquisizione al processo. Per evitare contrasti tra le due norme sembra doveroso intendere la «necessità» nello stesso senso della «indispensabilità», che a rigore costituisce una nozione di contenuto più stringente, riferita ad una necessità ineludibile e assoluta. E allo stesso scopo deve intendersi analogo il fine dell'esibizione: conoscere i fatti del processo in quanto la cosa e il documento siano necessari alla decisione a fondare la decisione su una conoscenza completa dei fatti di causa.

Nel rito unico in materia di persone, di minori e di famiglia

I principi elaborati in via di applicazione e sin qui ricordati possono essere considerati applicabili anche nel più specifico ambito del rito unico per le controversie in materia di persone, di minori e di famiglia. L'art. 473-bis.2 non richiama direttamente né l'art. 210 e neppure l'art. 118, che stabiliscono le condizioni di fatto entro il cui ambito all'ordine di esibizione è assicurata la legittimità. Il riferimento alla «esibizione» tout court è comunque sufficiente a ritenerne richiamata la nozione, quale recepita dal codice di procedura e quale accettata nell'applicazione pratica.

Poiché il testo dell'art. 210 è stato conservato dalla riforma per quanto riguarda il requisito del possesso, l'ordine di esibizione implica anche nel procedimento retto dal rito unico nelle materie familiari la prova che la cosa o il documento esista, sia posseduta e sia conservata dalla parte o dal terzo cui l'ordine è diretto. L'ordine fu negato in relazione a cartelle cliniche relative ai ricoveri di una persona defunta, a richiesta degli eredi, trattandosi di documenti di cui gli interessati potevano a loro iniziativa acquisire la copia (Cass. II, n. 14656/2013).

Il requisito dell'indispensabilità, per quanto non sia stato espressamente richiamato dall'art. 473-bis.2 in questi termini, fa parte integrante della stessa funzione dell'ordine di esibizione, attualmente pronunciabile a supplenza e a superamento delle facoltà e degli oneri di parte. Lo stesso requisito deve inoltre ritenersi implicito nell'espressione utilizzata dalla norma citata col fare riferimento ad un documento o ad un'altra cosa di cui il giudice «ritenga necessaria» l'acquisizione al processo.

Quando all'intimato è fissato un termine per l'esibizione, l'inosservanza non comporta l'inutilizzabilità a fini probatori della relativa produzione documentale, non potendosi ravvisare alcuna lesione del diritto di difesa della controparte, la quale potrebbe pur sempre rivolgersi al giudice per ottenerne l'esibizione (Cass. I, ord. n. 22915/2023; Cass. III, n. 11671/2014).

La pena pecuniaria

Sia l'art. 118, in tema di ispezione, e sia l'art. 210, a proposito dell'esibizione, disponevano che dal rifiutato adempimento dell'ordine del giudice, ad opera della parte intimata, il giudice poteva desumere argomenti di prova a norma dell'art. 116, secondo comma, c.p.c. Soltanto per il rifiuto del terzo a prestarsi all'ispezione era prevista una vera e propria sanzione in denaro, anche se priva di effettivo rilievo per quanto concerne il suo contenuto afflittivo. La riforma del processo civile di cui al d.lgs. n. 149/2022 ha conservato la discrezionale valutabilità ai fini probatori dell'ingiustificato inadempimento e ha modificato il regime sanzionatorio.

A carico della parte inosservante è prevista la condanna al pagamento di una pena pecuniaria di importo identico nelle fattispecie di ispezione e di esibizione. Anche per l'esibizione è applicabile al terzo la pena pecuniaria; e quella in precedenza già disposta per il terzo inadempiente all'ordine di ispezione è stata aumentata nell'importo.

L'introduzione della pena pecuniaria era ritenuta opportuna sia per equiparare in punto sanzionabilità il regime dell'ispezione con quello dell'esibizione e sia per munire l'ordine del giudice di una qualche efficacia costrittiva e dissuasiva, diversa dalla mera eventualità di esaurirsi in un opinabile e contestabile apprezzamento sfavorevole del comportamento inadempiente.  

Bibliografia

Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2024; Galluzzo, Il diritto di famiglia e i minori, Torino, 2024; Ferrando, Diritto di famiglia, Torino, 2023; Costantino, Il nuovo diritto di famiglia, Bari, 2023;  Bartolini, Il nuovo processo civile, Piacenza, 2023, 64 ss; Bonilini (a cura di) Trattato di diritto di famiglia, Padova, 2022; Cascone, Ardesi, Gioncada, Diritto di famiglia e minorile, Milano, 2021; De Filippis, Il nuovo diritto di famiglia dopo la riforma Cartabia, Milano, 2023; M. Sapi, Simeone, Gli atti introduttivi, in La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo, AA.VV. a cura di Giordano e Simeone, Milano, 2023; Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 10° ediz. Padova, 2023.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario