Rapporti tra g.e. e giudice del sovraindebitamento nel caso di contemporanea pendenza di procedure

04 Marzo 2024

Per la Cassazione i rapporti tra il g.e. e il giudice delle procedure concorsuali sono improntati a piena equiordinazione, sebbene i rispettivi poteri debbano necessariamente coordinarsi nel rispetto delle specifiche disposizioni normative e delle corrispondenti funzioni e prerogative di ciascun giudice.

Massima

I rapporti tra giudice dell'esecuzione singolare e giudice del sovraindebitamento ex lege n. 3/ 2012 per l'ipotesi di contemporanea pendenza di procedure a carico del medesimo debitore sono improntati a piena equiordinazione per quanto i rispettivi poteri debbano necessariamente coordinarsi, nel rispetto delle specifiche disposizioni normative e delle corrispondenti funzioni e prerogative di ciascun giudice. Pertanto, qualora a carico del debitore, proponente un accordo di composizione della crisi, ai sensi degli artt. 6 ss. della legge cit., siano pendenti una o più procedure esecutive individuali, il giudice delegato della procedura concorsuale – col decreto di apertura della stessa, ex art. 10, comma 2, lett. c), l. cit., concorrendone i presupposti – può solo pronunciare il divieto di (iniziare o) proseguire le azioni esecutive, fino alla definitiva omologazione dell'accordo, ma non anche adottare provvedimenti direttamente incidenti sulle procedure stesse (come lo specifico ordine di sospensione, o la correlativa declaratoria di improseguibilità, o di nullità di una particolare procedura), riservati esclusivamente al giudice dell'esecuzione cui ognuna di dette procedure sono assegnate (ovvero al giudice delle eventuali opposizioni esecutive proposte). Ne discende che, ove il giudice delegato abbia pronunciato il divieto di proseguire le azioni esecutive, il giudice dell'esecuzione, che ne sia stato debitamente informato, è tenuto a sospendere il procedimento, previa verifica dei presupposti di cui all'art. 623 c.p.c.; tuttavia, nel caso di ritenuta insussistenza di questi, costituisce onere della parte interessata – che abbia ragione di contestare la decisione - opporsi al provvedimento con cui lo stesso giudice dell'esecuzione abbia disposto il prosieguo della procedura, e con i rimedi previsti dagli artt. 615 ss. c.p.c., pena l'irretrattabilità degli effetti dell'esecuzione forzata.

Il caso

Ottenuta da una società l'omologazione dell'accordo di composizione della crisi ai sensi dell'art. 12 della legge n. 3/2012, uno dei soci illimitatamente responsabili, nonché legale della stessa società, chiedeva al g.d. della procedura di sovraindebitamento di disporre la sospensione delle procedure esecutive immobiliari pendenti a suo carico, altresì chiedendo che ne venisse dichiarata l'improcedibilità e la nullità, ritenendo che, in virtù dell'art. 7, comma 2-ter della l. n. 3/2012, l'accordo di composizione della crisi della società producesse i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Tali istanze venivano tuttavia rigettate, in considerazione della circostanza che la norma si riferiva alle sole obbligazioni sociali dei soci e non anche a quelle personali (quali erano quelle dell'istante), e che ogni caso la norma invocata dall'istante a sostegno delle sue ragioni non era applicabile ratione temporis alle procedure esecutive invocate dal debitore.

Avverso detto provvedimento veniva proposto reclamo al Collegio, che lo rigettava, qualificandolo espressamente come reso ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

La questione

Avverso l'ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione, censurandosi la decisione per svariati motivi; in particolare, veniva lamentata la nullità e manifesta illogicità della “sentenza”, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., avendo il giudice del provvedimento impugnato ritenuto non estensibili gli effetti dell'accordo anche ai soci illimitatamente responsabili, anche se poi in conseguenza dell'intervento di un creditore sociale nelle procedure esecutive individuali già pendenti il socio era stato costretto a rispondere con i propri beni anche dei debiti sociali.  

Le soluzioni giuridiche

La terza sezione della Cassazione, ritenuto applicabile al procedimento di composizione della crisi l'art. 737 c.p.c. in quanto compatibile, afferma che il provvedimento impugnato non può essere qualificato quale ordinanza cautelare ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.  (come pure erroneamente aveva fatto il giudice a quo), ma quale mero «decreto collegiale, di natura camerale, reso con riferimento ad una procedura di sovraindebitamento ex lege n. 3/2012, benché il provvedimento reclamato sia stato adottato dal g.d. a procedura non più pendente, per essere già intervenuta l'omologa dell'accordo».

Così riqualificato il provvedimento impugnato, la Corte ritiene il ricorso proposto inammissibile; a tale conclusione giunge prescindendo dal valutare la decisorietà e definitività del provvedimento impugnato, ma in virtù della circostanza, ritenuta dal S.C. assorbente, del difetto d'interesse, ex art. 100 c.p.c., non potendo l'accoglimento del ricorso portare alcuna utilità allo stesso ricorrente.

Osserva infatti la Corte che l'istanza di sospensione e, in ultima istanza, quella di improcedibilità e nullità delle procedure esecutive individuali erano state formulate al giudice del sovraindebitamento come se quest'ultimo «fosse investito di un potere immanente e sovraordinato rispetto a quello di direzione e controllo, spettante a ciascun giudice dell'esecuzione titolare dei correlativi fascicoli prima emarginati, ai sensi dell'art. 484 c.p.c.» (v. § 3.4.1).

Per la Cassazione, tuttavia, così non è, dovendosi al contrario ritenere i rapporti tra g.e. e giudice del sovraindebitamento improntati ad un rapporto di “equiordinazione”.

Manca infatti nell'ordinamento una norma che permetta al giudice della procedura di sovraindebitamento di ordinare al giudice dell'esecuzione l'arresto di ogni attività, al punto addirittura di dichiararne l'improcedibilità o la nullità. Ciò in quanto, come più volte affermato dalla stessa Suprema Corte, il processo esecutivo è caratterizzato «da un sistema chiuso, tipizzato ed inderogabile, di rimedi interni», che impone alle parti dello stesso di avvalersi del complesso insieme di rimedi che il legislatore ha approntato al suo interno e che vede nel g.e. l'unico soggetto legittimato a provvedere, in quanto «munito di competenza funzionale al riguardo» (§ 3.4.2).

Inoltre, se è vero che ai sensi dell'art. 12-bis, comma 2, legge n. 3/2012, nel corso del procedimento di omologazione del piano del consumatore il giudice che si avvede che la prosecuzione dei procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, è del pari vero che la norma (e l'art. 70, comma 4 del codice della crisi che sostanzialmente riprende l'art. 12-bis della legge citata) ha carattere eccezionale, per cui da essa non è possibile trarre un principio generale.

In particolare, non pare dubbio che il g.d., a seguito dell'apertura del procedimento di accordo di composizione della crisi (ed oggi del concordato minore) può disporre il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive in danno del soggetto sovraindebitato, ma tale decisione non potrà mai riguardare una procedura specifica, spettando solo al giudice dell'esecuzione il potere disporre l'adozione del provvedimento di sospensione, dovendo egli valutare se la causa di temporanea improseguibilità sussista o meno. Ciò potrebbe allora determinare l'eventualità che il g.e., non condividendo la posizione del g.d., scelga di proseguire l'esecuzione: anche in tal caso, però, a causa del carattere c.d. chiuso del processo esecutivo, spetterà al debitore proporre «i necessari rimedi oppositivi “interni” al processo esecutivo per far valere la violazione del divieto in discorso, pena l'irretrattabilità degli effetti dell'esecuzione forzata» (§ 3.4.4).

In altre parole, come testualmente affermato dalla decisione in commento, «ove il giudice delegato abbia pronunciato il divieto di proseguire le azioni esecutive, il giudice dell'esecuzione, che ne sia stato debitamente informato, è tenuto a sospendere il procedimento, previa verifica dei presupposti di cui all'art. 623 c.p.c.; tuttavia, nel caso di ritenuta insussistenza di questi, costituisce onere della parte interessata – che abbia ragione di contestare la decisione - opporsi al provvedimento con cui lo stesso giudice dell'esecuzione abbia disposto il prosieguo della procedura, e con i rimedi previsti dagli artt. 615 ss. c.p.c., pena l'irretrattabilità degli effetti dell'esecuzione forzata».

Escluso che il giudice del sovraindebitamento potesse adottare i provvedimenti di sospensione, o di improseguibilità e/o nullità delle procedure esecutive individuali, in quanto privo di ogni potere e competenza funzionale al riguardo, la Corte ricava il difetto di interesse del ricorrente all'impugnazione in Cassazione: le censure avanzate dal soccombente, infatti, quand'anche fondate, essendo state proposte innanzi al giudice del sovraindebitamento, erano state avanzate nei confronti di un giudice funzionalmente incompetente; tale rilievo rende perciò evidente che il ricorrente non avrebbe potuto mai avere un effettivo vantaggio dall'eventuale accoglimento del ricorso. 

Osservazioni

Costituisce principio consolidato che nel momento in cui il debitore entra in stato di insolvenza, il legislatore, non potendo permettere che singoli creditori possano tutelare in via esclusiva i propri diritti di credito, prevede e impone la soddisfazione dell'intero ceto creditorio; allo scopo di permettere il rispetto del principio della par condicio creditorum, pertanto, viene da sempre prevista l'inibitoria di tutte le azioni esecutive e cautelari nel frattempo iniziate sul patrimonio del debitore.

Tale principio, invero, quasi granitico sotto il vigore della legge fallimentare, ha incominciato a perdere consistenza con l'entrata in vigore del nuovo codice della crisi di impresa, giacché il legislatore ha voluto imprimere un cambio radicale di rotta rispetto a quei meccanismi che, nell'ambito del previgente sistema normativo, facevano conseguire il blocco delle azioni esecutive alla semplice presentazione della domanda di accesso alla procedura concorsuale prescelta.

Difatti, come noto, mentre sotto la vigenza della legge fallimentare il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell'impresa in crisi costituiva un effetto automatico della pubblicazione della domanda introduttiva, con il codice della crisi l'effetto protettivo si verifica, ai sensi dell'art. 54 c.c.i., solo «se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'articolo 40».

Chiarita la nuova regola generale applicabile agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, merita di essere osservato come essa soffra nel nuovo assetto normativo numerose eccezioni. Una di queste è rappresentata dall'accordo di composizione della crisi (oggi divenuto concordato minore, disciplinato dagli artt. 74 ss. c.c.i.).

Nel concordato minore (e già prima nel procedimento di composizione della crisi) la scelta normativa è stata quella di discostarsi dalla previsione di cui all'art. 168 l. fall. in materia concordato preventivo: infatti, a differenza di quanto accade in forza di questa disposizione, secondo la quale dalla data del deposito del ricorso e fino al passaggio in giudicato del decreto di omologa è inibito l'inizio o la prosecuzione delle procedure esecutive individuali sul patrimonio del debitore, il deposito del ricorso nei procedimenti di sovraindebitamento (e di concordato minore) è inidoneo a determinare la sospensione delle azioni esecutive.

Invero, ai sensi dell'art. 10, comma 2, lett. c) della legge n. 3/2012 con il successivo decreto di apertura del procedimento il giudice «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore».

Sennonché, nel nuovo concordato minore il quadro normativo è mutato, in quanto l'art. 78, comma 2, lett. d) del codice della crisi richiede ai fini della produzione dell'effetto sospensivo la richiesta del debitore. «La scelta è, sotto questo profilo, sintonica con la previsione generale di cui all'art. 54: anche questa norma infatti prevede che la sospensione delle procedure esecutive individuali opera solo se il debitore ne ha fatto richiesta (fermo restando che la improseguibilità di cui all'art. 54 CCII consegue alla mera pubblicazione della domanda e non già al successivo decreto di apertura del procedimento)» (D'Alonzo, Le interferenze tra l'esecuzione forzata ed i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento nel Codice della crisi d'impresa, in www.inexecutivis.it, § 2).

Ciò premesso, è noto che la dottrina e la giurisprudenza formatasi in materia sostengono la tesi a mente della quale, una volta che il giudice del sovraindebitamento ha ordinato l'apertura della procedura e, soprattutto, ha disposto l'improseguibilità delle esecuzioni, spetta al g.e. ottemperare al disposto del g.d., provvedendo ai sensi dell'art. 623 c.p.c. In sostanza, «adottato il decreto dichiarativo della (temporanea) improseguibilità, la parte che vi avrà interesse depositerà nel fascicolo dell'esecuzione una istanza con la quale chiederà la sospensione della procedura esecutiva», così imponendosi al g.e. l'obbligo di prendere atto di un effetto sospensivo prodottosi altrove (D'Alonzo, op. cit., § 5; Cass. civ., 2 dicembre 2015, n. 25802).

Tale conclusione, invero, alla luce delle modifiche normative qui riportate e delle condivisibili osservazioni compiute dalla decisione in commento, non appare più meritevole di essere patrocinata: l'evidente cambiamento di rotta compiuto dal codice della crisi, unitamente all'insuperabile osservazione del carattere chiuso del sistema rappresentato dal processo esecutivo individuale deve indurre a sposare la soluzione opposta, ammettendo pertanto che il provvedimento del giudice dell'esecuzione abbia carattere costitutivo e non dichiarativo, in tal modo lasciando: 1)- al g.e. il compito di valutare autonomamente i presupposti per la sospensione della procedura e; 2)- al debitore e agli altri soggetti interessati l'onere di reagire tramite gli ordinari rimedi a loro concessi nell'ambito della procedura singolare.

Da tali premesse deve infine ricavarsi che la tutela inibitoria potrà essere eccepita solo finché l'esecuzione sia ancora pendente, ragion per cui una volta che essa sia definitivamente conclusa si consolidano gli effetti degli atti esecutivi compiuti.

Riferimenti

Bertolotto-Tosi, Il giudice dell'esecuzione alle prese con le procedure concorsuali: punti fermi e proposte per nuove prassi operative, in Riv. es. forz., 2020, 481;

D'Alonzo, La composizione negoziata della crisi e l'interferenza delle misure protettive nelle procedure esecutive individuali, in Riv. es. forz., 2021, 880 ss.;

Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Le problematiche della domanda e dell'automatic stay, in Dir. Fall., 2017, 1, 43;

Farina, Tutela esecutiva individuale, misure protettive e procedure negoziali di composizione della crisi: un (complesso) ménage à trois in evoluzione, in Riv. es. forz., 2019, 274 ss.;

Finocchiaro, I riflessi del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sull'esecuzione forzata, in Riv. es. forz., 2022, 830 e ss.;

Russolillo, Misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e procedure esecutive individuali, in Dirittodellacrisi.it.

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