L’assemblea puo’ (ri)nominare l’amministratore revocato dal magistrato una volta “scontato” l’anno di squalifica

06 Marzo 2024

Confermando l'orientamento secondo cui non può trovare ingresso in sede di legittimità, salvo che per le spese di lite, il sindacato sul decreto con cui la Corte d'Appello si sia pronunciata nell'àmbito del procedimento di reclamo avverso la revoca dell'amministratore di condominio, la Cassazione, a confutazione degli argomenti che militavano a favore della decisorietà del provvedimento emesso in sede di gravame, suscettibile, come tale, del ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., ha chiarito la portata temporale del disposto dell'art. 1129, comma 13, c.c., nel senso che, per un verso, posto il carattere sanzionatorio impresso dalla nuova disposizione a fronte di un'assemblea inottemperante ai comandi giudiziali, l'esito del procedimento di revoca non può essere eluso dalla maggioranza con decisioni contrarie al diktat del magistrato, e, per altro verso, non essendo questo impedimento definitivo e non volendo comprimere ulteriormente il diritto dell'amministratore di ricevere l'incarico, non è preclusa all'assemblea la possibilità di (ri)nominare lo stesso amministratore revocato, una volta, però, trascorso l'anno di “squalifica” e ripristinato il vincolo fiduciario.

Massima

In tema di condominio negli edifici, anche dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 220/2012, che ha modificato la relativa normativa di settore, il decreto di revoca dell'amministratore adottato dalla Corte d'Appello, su reclamo dell'interessato, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., in quanto privo del carattere decisorio e definitivo, non rilevando, in senso contrario, il divieto per l'assemblea di nominare l'amministratore revocato, atteso che tale divieto è, comunque, temporaneo e rileva soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto giudiziale di rimozione.

Il caso

Il procedimento, giunto all'esame del Supremo Collegio, traeva origine da un ricorso, presentato da un condomino, al fine di ottenere la revoca dell'amministratore incaricato e la nomina, ai sensi dell'art. 1129 c.c., di un amministratore giudiziario.

Instaurato il contraddittorio, il Tribunale dichiarava la “improcedibilità” del suddetto ricorso, per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 e, per l'effetto, condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In virtù di reclamo interposto dal condomino soccombente, la Corte d'Appello rigettava il gravame e compensava le spese di lite.

A sostegno della decisione adottata, il giudice distrettuale evidenziava, preliminarmente, che il comma 4, lett. f), dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 escludeva l'applicazione della condizione di procedibilità, consistente nel preventivo ed obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione, ai procedimenti che si svolgevano in camera di consiglio, in cui rientrava anche il giudizio di revoca dell'amministratore di condominio, che costituiva un procedimento camerale plurilaterale tipico.

Ciò nonostante, la Corte territoriale riteneva fondata l'eccezione di improcedibilità, sollevata pure dall'originario resistente, il quale, nel costituirsi, aveva dedotto l'insussistenza dei presupposti per procedere alla nomina di un amministratore, in particolare, la presenza di otto condomini richiesta dall'art. 1129, comma 1, c.c., per essere il Condominio composto da sole n. 5 unità abitative, circostanza che impediva di valutare nel merito il ricorso, considerato, peraltro, che, prima della presentazione del ricorso, era stato regolarmente nominato dall'assemblea l'amministratore condominiale, in sostituzione del dimissionario; né il reclamante aveva esplicitato le ragioni che avevano giustificato la presentazione del ricorso, per cui non era neanche possibile valutare la sussistenza di “gravi irregolarità” addebitabili all'amministratore in carica legittimanti la sua revoca.

Il condomino soccombente proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava, in via preliminare, di vagliare l'ammissibilità o meno del suddetto ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., avverso il decreto con il quale la Corte d'Appello aveva provveduto sul reclamo contro il decreto del Tribunale in tema di revoca dell'amministratore di condominio, previsto dagli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il suddetto ricorso “inammissibile”, potendo trovare ingresso, in sede di legittimità soltanto lo scrutinio avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 13 novembre 2020, n. 25682; Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 2020, n. 23743; Cass. civ., sez. II, 28 luglio 2020, n. 15995; Cass. civ., sez. II, 23 giugno 2017, n. 15706; Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2017, n. 9348; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2017, n. 8283; Cass. civ., sez. II, 1° settembre 2014, n. 18487; Cass. civ., sez. II, 1° luglio 2011, n. 14524; Cass. civ., sez. II, 26 giugno 2006, n. 14742).

Viene, dunque, ribadito che il procedimento di revoca dell'amministratore di condominio di cui all'art. 1129, commi 11 e 12, c.c. si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla Corte d'Appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o status (v., soprattutto, Cass. civ., sez. un., 29 ottobre 2004, n. 20957).

Ne consegue che il decreto con cui la Corte d'Appello provvede, su reclamo dell'interessato, in ordine alla domanda di revoca dell'amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa Corte d'Appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo - restando attribuita al Tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: v. Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2019, n. 7623; Cass. civ., sez. II, 1° marzo 1983, n. 1540 - ai sensi dell'art. 742 c.p.c., atteso che quest'ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (Cass.  civ., sez. II, 6 novembre 2006 n. 23673).

Ad avviso degli ermellini, il decreto con cui la Corte d'Appello rigetti - come nella specie - il reclamo sul provvedimento di revoca dell'amministratore di condominio, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all'art. 111, comma 7, Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale, né il diritto dell'amministratore allo svolgimento del suo incarico.

Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di revoca (o meno) resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo anche la pronuncia sull'osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato.

I magistrati del Palazzaccio aggiungono - ed è questo il profilo che maggiormente rileva in questa sede - che, anche dopo le modifiche introdotte dalla riforma di settore (l. 11 dicembre 2012, n. 220), rimane da confermare la mancanza di attitudine al giudicato del provvedimento con cui il Tribunale pone termine ante tempus al rapporto tra amministratore e condomini.

Né è determinante, in senso contrario, il disposto del comma 13 dell'art. 1129 c.c., in forza del quale “in caso di revoca da parte dell'autorità giudiziaria, l'assemblea non può nominare nuovamente l'amministratore revocato”, atteso che il divieto di nomina dell'amministratore revocato dal Tribunale - peraltro, esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, che intercorre unicamente tra il condomino istante e l'amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l'intervento dei restanti: v. Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2020, n. 4696 - è “temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l'incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”.

Il suddetto divieto di nomina, posto dal riformato art. 1129, comma 13, c.c. funziona, in realtà, nei confronti dell'assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l'amministratore rimosso dal Tribunale (e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca).

Tale divieto non oblitera, quindi, il tipico connotato di provvisorietà ed intrinseca modificabilità dei provvedimenti giudiziari camerali in tema di nomina e revoca dell'amministratore di condominio, lasciando all'amministratore revocato la facoltà di avvalersi della tutela giurisdizionale piena in un ordinario giudizio contenzioso a fini risarcitori.

Neppure sono ammissibili, avverso il decreto in tema di revoca dell'amministratore di condominio, le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129, comma 12, c.c. o la materiale mancanza della motivazione occorrente per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

Del resto, il Supremo Collegio aveva, altresì, chiarito che tali principi non contrastano con l'art. 13 CEDU, il quale, nello stabilire che ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione siano violati ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, non implica affatto che gli Stati debbano, sempre ed in ogni caso, accordare la tutela giurisdizionale fino al livello del rimedio di legittimità, la cui funzione ordinamentale non consiste nel tutelare lo ius litigatoris, attribuendo al singolo ulteriori opportunità di verifica delle condizioni di fondatezza della sua pretesa, ma di garantire lo ius constitutionis, cioè la nomofilachia e con essa l'uniformità dell'interpretazione giurisprudenziale (Cass. civ., sez. VI/II, 27 febbraio 2012, n. 2986).

Osservazioni

La norma in esame - che qui interessa - è quella contenuta nel comma 13 del novellato (e notevolmente implementato) art. 1129 c.c., il quale, dopo aver previsto, ai precedenti due capoversi, che il magistrato “può” revocare l'amministratore, e dopo aver stilato un elenco esemplificativo di quelle che “costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità”, stabilisce che, “in caso di revoca da parte dell'autorità giudiziaria, l'assemblea non può nominare nuovamente l'amministratore revocato”.

All'assemblea è, pertanto, precluso di rendere inoperativa la revoca giudiziale, deliberando, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., la riconferma dell'amministratore rimosso dal Tribunale, e ciò anche se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca.

La nuova nomina assembleare dell'amministratore revocato viene, quindi, presuntivamente intesa dal legislatore come una violazione dei canoni di correttezza e trasparenza della gestione condominiale, oppure come una deroga implicita all'invece inderogabile meccanismo sanzionatorio previsto dall'art. 1129 c.c. per l'amministratore che incorra in gravi inerzie o/e irregolarità, finendo per consentire allo stesso, nei fatti, di proseguire nel rapporto di mandato che l'autorità giudiziaria aveva, piuttosto, deciso di recidere.

In tal modo, la Riforma del 2013, pur conservando al provvedimento giudiziale di revoca natura di volontaria giurisdizione, sostitutivo della volontà assembleare, finisce per incidere significativamente sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, negando all'assemblea di ridesignare quello stesso mandatario, al quale non rimarrà che avvalersi della tutela giurisdizionale in un ordinario giudizio contenzioso, ma ai meri fini risarcitori (e non reintegratori).

La disposizione è indubbiamente volta a vietare alla maggioranza assembleare di by-passare la statuizione del magistrato, (ri)nominando, come amministratore, quella stessa persona che, su sollecitazione della minoranza, era stata riconosciuta inadempiente, scorretta, disonesta, poco trasparente, ecc., ma la problematica è sorta sull'estensione temporale di tale divieto.

In parole semplici, l'amministratore, colpito dalla revoca dell'autorità giudiziaria, deve stare “in castigo”, fermo un solo giro, e poi si può rimettere in corsa - specie laddove la caducazione per via giudiziale era dovuta unicamente ad irregolarità c.d. formali ed a fronte di magistrati alquanto “fiscali” - oppure lo stesso amministratore è stato “messo al bando” e la sua ineleggibilità deve considerarsi a vita da parte di quel condominio che aveva male gestito?

La soluzione del dilemma dipende tutta dal significato che si offre all'avverbio “nuovamente”, ossia se la preclusione alla rielezione sia o meno contingente, ossia limitata esclusivamente all'immediato e successivo mandato annuale, oppure la squalifica debba considerarsi perpetua.

La risposta della giurisprudenza - a quanto consta, tuttora mancante nei precisi termini - potrebbe avvenire a seguito di un giudizio di impugnazione di quella delibera condominiale ex art. 1137 c.c., in cui, a fronte di una revoca giudiziale di un amministratore, l'assemblea, dopo solo un anno, abbia nominato lo stesso amministratore revocato: solo in questa ipotesi, infatti, il giudice adìto può affermare che l'assemblea poteva farlo, essendo trascorsa la temporanea scomunica, oppure che l'amministratore, cacciato via, era destinatario di un'interdizione eterna.

Laddove, invece, l'assemblea non abbia nemmeno aspettato l'anno dalla revoca, la relativa delibera, eludendo in toto il comando, dapprima, in difetto di una norma hoc, poteva considerarsi viziata per eccesso di potere, mentre, attualmente, va ritenuta nulla in quanto contraria ad espressa norma imperativa di ordine pubblico, posta a tutela dell'interesse generale ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto di amministrazione.

Ci si è chiesti, altresì, se il divieto di nomina dell'amministratore revocato dal giudice, espressamente imposto all'assemblea - la quale è organo retto dal principio maggioritario - sia altrettanto operante per l'unanimità dei condomini, e la risposta è stata nel senso che il consenso totalitario dei partecipanti al condominio potrebbe validamente valutare conveniente la ricostruzione del rapporto di fiducia con l'amministratore revocato, conferendo in suo favore un nuovo mandato, anche se l'ipotesi appare piuttosto accademica perché, presupponendosi l'unanimità dei consensi, difficilmente si troverebbe un condomino che insorga contro la decisione che lui stesso aveva contribuito a perfezionare.

In quest'ordine di concetti, il Supremo Collegio, con l'ordinanza in commento, ha offerto, incidentalmente, la soluzione alla questione, sia pure nell'àmbito di un giudizio camerale di revoca dell'amministratore ex art. 64 disp. att. c.c., il cui ingresso in sede di legittimità ha, tuttavia, dichiarato “inammissibile”, in quanto trattavasi di procedimento di volontaria giurisdizione ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c.

Di contro, si poteva obiettare: a) che il provvedimento di revoca dell'amministratore comporti, in realtà, la risoluzione anticipata - e non la mera sospensione - del rapporto esistente tra tutti i condomini e l'amministratore, evenienza, quest'ultima, estranea all'àmbito della giurisdizione volontaria; b) che vi erano una serie di complicazioni di carattere pratico che ostacolavano il rispristino dell'incarico in favore dell'amministratore revocato (quale, ad esempio, l'eventuale nomina, nelle more, di un nuovo amministratore); c) che l'art. 64 disp. att. c.c. derogava all'art. 1726 c.c., riconoscendo la legittimazione ad agire per la revoca ad un solo condomino, contemplando anche la necessità del “contraddittorio” tra ricorrente ed amministratore, anch'esso esulante dall'àmbito della volontaria giurisdizione; d) che l'art. 1129, comma 13, c.c. precludeva all'assemblea la possibilità di nominare nuovamente l'amministratore, sicché poteva ravvisarsi l'incidenza del provvedimento di revoca dell'amministratore su diritti soggettivi e, quindi, l'esperibilità del rimedio impugnatorio contemplato dall'art. 111 Cost.

Tuttavia, ad avviso degli ermellini, gli elementi sottolineati dall'attenta dottrina non hanno indotto a mutare l'orientamento sulla questione di diritto posta (un eventuale revirement, d'altronde, avrebbe necessitato di rimettere la stessa questione alle Sezioni Unite, in forza del nuovo disposto dell'art. 374, comma 3, c.p.c., considerando, appunto, il citato precedente del supremo organo di nomofilachia del 2004).

Nello specifico, si è ribadito che il decreto del Tribunale in tema di revoca dell'amministratore, ai sensi degli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c. costituisce un provvedimento sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall'esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell'interesse alla corretta gestione dell'amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa.

L'art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solo all'assemblea, mentre la revoca disposta dal magistrato ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo è esclusivamente di impulso procedimentale; pur incidendo sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, il decreto di revoca non ha, però, carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide.

La deduzione che la revoca ex artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c. si riverbera sul rapporto intercorrente tra tutti i condomini e l'amministratore neppure convince il giudice di ultima istanza circa la “decisorietà”, e, quindi, l'attitudine al giudicato, del provvedimento, agli effetti del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

Invero, è caratteristica frequente dei procedimenti camerali plurilaterali, nei quali l'intervento giudiziale è pur sempre diretto all'attività di gestione di interessi, l'incidenza su un diritto altrui dell'esercizio, da parte del giudice, di un potere gestorio, restando consentito al titolare del diritto di chiedere la tutela giurisdizionale a cognizione piena del diritto inciso.

Proprio il richiamo dell'art. 1726 c.c. “scolpisce le differenze” con la revoca giudiziale dell'amministratore di condominio: il procedimento ex artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c. legittima anche uno solo dei condomini a rivolgersi al Tribunale, anticipando la delibera dell'assemblea eventualmente inerte o persino in contrasto con una già espressa volontà della maggioranza dei condomini, per chiedere la rimozione dell'amministratore, unico legittimato a contraddire; la revoca di un mandato collettivo - come quello conferito all'amministratore dai condomini in esecuzione della delibera di nomina - supporrebbe, altrimenti, o il comune accordo di tutti i mandanti, ex art. 1726 c.c., oppure una pronuncia giudiziale di risoluzione idonea al giudicato nel litisconsorzio necessario di tutte parti del rapporto contrattuale plurisoggettivo, concettualmente unico e inscindibile.

Ad avviso della Cassazione, non è determinante, in senso contrario, il disposto del summenzionato comma 13 dell'art. 1129 c.c., atteso che il divieto di nomina dell'amministratore revocato dal Tribunale è, appunto, “temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l'incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”.

Il suddetto assunto, in realtà, prova troppo, atteso che proprio perché l'assemblea non può nominare l'amministratore revocato dall'autorità giudiziaria, sia pure per un solo anno - che, peraltro, non è poco! - allora sì che il contenuto del decreto di revoca assume carattere “decisorio”, perdendo così quel tipico connotato di provvisorietà, ed intrinseca modificabilità, dei provvedimenti giudiziari resi in sede di volontaria giurisdizione.

Infine, che il provvedimento di revoca debba essere adottato “sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente” (art. 64, comma 1, disp. att. c.c.) non è - secondo l'autorevole parere del Supremo Collegio - affatto indizio contrastante con la natura di volontaria giurisdizione del procedimento, atteso che nei procedimenti camerali di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale deve, comunque, essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio.

In conclusione, si conferma che l'esito del procedimento giudiziale non possa essere eluso dalla maggioranza con decisioni contrarie al diktat giudiziale, ma, non essendo questo impedimento definitivo e non volendo comprimere ulteriormente il diritto dell'amministratore di ricevere l'incarico, non è preclusa all'assemblea la possibilità di (ri)nominare lo stesso amministratore revocato, una volta trascorso l'anno di squalifica (sulla base di un ripristinato rapporto fiduciario e, ovviamente, sempre che sia in possesso ancora dei requisiti, di onorabilità e di professionalità, prescritti dall'art. 71-bis disp. att. c.c.).

Siffatto divieto di nomina non dovrebbe, dunque, più operare nel caso di designazione assembleare dell'amministratore “non immediatamente successiva” all'estinzione del mandato oggetto del decreto di rimozione, ossia intervallata da un ulteriore incarico annuale ma a favore di altri soggetti.

Riferimenti

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Nicoletti, La revoca giudiziale dell'amministratore, in Rass. loc. e cond., 1995, 7.

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