Revocazione per ingratitudine della donazione: è ammessa nel caso di mero inadempimento dell’onere?
07 Marzo 2024
Massima L'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare rispetto alla dignità del donante. L'ingiuria deve, pertanto, essere espressione di radicata e profonda avversione o di perversa animosità verso il donante. Il comportamento del donatario va valutato non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche nella sua potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante, perché espressamente rivolta a ledere la sua sfera morale, tale da essere contraria a quel senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbe improntare l'atteggiamento del donatario. Si tratta, evidentemente di una formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali, il cui discrimine è segnato dalla ripugnanza che detto comportamento suscita nella coscienza sociale. Il caso L’amministratore di sostegno citava in giudizio avanti al Tribunale di Treviso la sorella dell’amministrato al fine di ottenere: in via principale la risoluzione per inadempimento dell’atto con cui l’amministrato aveva trasferito alla sorella un immobile senza corrispettivo, ma con impegno di quest’ultima di assisterlo; in via subordinata – per il caso in cui l’atto in questione dovesse essere qualificato come donazione modale – la revoca per ingratitudine della donazione medesima. Parte attrice, infatti, lamentava che la sorella non solo non avesse ottemperato agli obblighi di mantenimento del fratello assunti nel contratto, ma – anche – che lo avesse indotto a contrarre un mutuo tale da peggiorarne la condizione patrimoniale. A seguito del rigetto delle domande da parte del Tribunale di Treviso, l’amministratore di sostegno proponeva appello avanti alla Corte d’appello di Venezia che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la sola domanda subordinata di revoca della donazione per ingratitudine. In particolare, il giudice di secondo grado – reputando sia che la sorella fosse stata inadempiente rispetto agli obblighi contrattualmente assunti sia che ella avesse indotto il fratello ad aprire un finanziamento finalizzato a soddisfare interessi altrui (cioè quelli della sorella stessa) – individuava nella complessiva condotta della convenuta gli estremi dell’ingratitudine ex art. 801 c.c., stante la sussistenza di un atteggiamento irrispettoso della dignità del donante. Avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia la parte soccombente ricorreva in Cassazione sulla base di due motivi:
La questione La vertenza in commento pone essenzialmente la seguente questione: quando la condotta del donatario è tale da integrare gli estremi dell’ingratitudine tale da legittimare la revocazione della donazione? Soluzioni giuridiche L'istituto della revocazione della donazione per ingratitudine risponde ad un'intuibile esigenza di garantire giustizia (o meglio, di impedire il perpetrarsi di un'ingiustizia): un soggetto per spirito di liberalità arricchisce un altro – disponendo di un diritto o assumendo un'obbligazione – ed il beneficiario, invece che essere (eternamente?) grato nei confronti del donante per il dono ricevuto, tiene verso costui una condotta riprovevole. Insomma, sarebbe la rappresentazione cristallina del celeberrimo detto Ciceroniano summum ius, summa iniuria. È in quest'ottica che l'art. 801 c.c. identifica i casi nei quali – stante il comportamento riprovevole del donatario – possa essere proposta domanda di revocazione della donazione, ipotesi tutte unificate sotto l'egida nominale dell' “ingratitudine”. Accanto alle condotte di rilevanza penale ed all'ipotesi del rifiuto di prestare gli alimenti, l'attenzione dell'interprete non poteva non concentrarsi sui due casi di maggior respiro interpretativo: l'ingiuria grave verso il donante e la dolosa arrecazione di grave pregiudizio al patrimonio del medesimo. A livello generale l'ingiuria grave può essere definita “un comportamento con il quale si rechi, all'onore ed al decoro del donante, un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona” (così, A. Barbarisi, M. De Lisi, Sub. art. 801, in Codice delle successioni e delle donazioni a cura di M. Sesta, I, Milano, Giuffrè, 2023, 2040). La giurisprudenza ha più volte chiarito, però, come non sia sufficiente la sussistenza di singoli accadimenti, ma che occorra – invece – il quid pluris dato dalla durevolezza del sentimento di avversità del donatario verso il donante (Cass. 29 aprile 2022 n. 13544, Cass. 10 ottobre 2018 n. 24965, Cass. 13 agosto 2018 n. 20722, Cass. 31 ottobre 2016 n. 22013, Cass. 31 maggio 2012 n. 8752, Cass. 24 giugno 2008 n. 17178, App. Torino 11 maggio 2020, Trib. Ivrea 19 ottobre 2020, Trib. Trapani 2 agosto 2019). A livello casistico, sono stati reputati inidonei al fine di una declaratoria di revocazione:
Al contrario, sono state reputate rilevanti per ottenere declaratoria di revocazione:
Per quanto attiene, invece, alla dolosa arrecazione di grave pregiudizio al patrimonio del donante si tratta di una fattispecie necessariamente elastica (su tutti, A. Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schelisinger (a cura) di U. Carnevali e A. Mora, Milano, Giuffrè, 2006, 564 per cui «occorre che tale pregiudizio sia obiettivamente grave (e, in proposito, la valutazione compete al giudice del merito)»; deve, poi, deve trattarsi di condotta suscettibile di arrecare danno effettivo e non solo potenziale (così, G. Capozzi (a cura di) A. Ferrucci - C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè, 2023, II). E', perciò, chiaro il rapporto con l'ipotesi sopra esaminata dell'ingiuria grave, poiché differente ne è l'oggetto tutelato: in un caso la componente morale del donatario e nell'altro quella economica. La rarissima giurisprudenza sull'argomento ha insistito sul versante del dolo chiarendo che lo stesso debba intendersi come “malvagio proponimento di danneggiare il donante” (Trib. Bologna 27 aprile 2004). È principio unanimemente condiviso, inoltre, che l'elencazione dei casi di revocazione della donazione – costituendo tale eventualità un'eccezione al principio di vincolatività del contratto – sia tassativa. E', infine, prevista dall'art. 805 c.c. un'area di donazioni che non possono essere revocate e così quelle rimuneratorie e quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio, dato che – essendo in esse compenetrati elementi causali ulteriori (la riconoscenza e/o i meriti del donatario nelle prime e l'incentivazione dell'unione coniugale nelle seconde) – il legislatore ha reputato non rilevante la condotta astrattamente immeritevole del donatario. Osservazioni La pronuncia in commento, pur non presentando profili di particolare innovatività nel principio dalla medesima massimato, colpisce per la peculiare (o, sarebbe meglio dire, indebita) commistione delle due componenti, sopra esaminate, poste alla base della nozione di revocazione della donazione: la lesione morale e quella patrimoniale. Se dal tenore dell'art. 801 c.c. le due aree appaiono complementari, nel contenzioso in commento – invece – pare si intersechino. Dai fatti di causa è indiscusso che il donatario non abbia adempiuto all'obbligo di mantenimento, salva una flebile invocazione dell'esimente costituita dal deterioramento dei rapporti familiari; è altrettanto evidente che tale inadempimento ( … come qualsiasi inadempimento …) abbia determinato un nocumento patrimoniale al donante; il passaggio logico mancante, invece, è quello per cui l'inadempimento in questione possa essere elevato, quasi automaticamente, a causa di revocazione della donazione invocandosi gli estremi del grave pregiudizio arrecato al patrimonio del donante o, addirittura, della grave ingiuria. Sulla scia di tale ragionamento, la Suprema Corte – dopo aver ribadito che la grave ingiuria deve, per essere tale, essere sintomatica di “un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante” – ha escluso la rilevanza dei comportamenti posti in essere dal donatario. In particolare, la sentenza in commento ha sancito, nel valutare quanto posto in essere dal donatario, che trattasi di “comportamenti che, da soli, non esprimono profonda e radicata avversione verso il donante, né un sentimento di disistima delle sue qualità morali, presupposti necessari per la revoca della donazione per ingratitudine”: in questo senso, devono essere valorizzate la globalità e la continuità delle condotte lesive, non essendo sufficiente una loro analisi avulsa da una visione unitaria della fenomenologia. Per quanto esposto, la Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento del secondo, in quanto la Corte d'appello di Venezia ha erroneamente ritenuto integrati i requisiti della revoca per ingratitudine da tre comportamenti (inadempimento della donataria dell'obbligo di somministrazione degli alimenti al donante; violazione dell'obbligo di prestargli assistenza nell'abitazione donata; accensione di un mutuo per far fronte alle proprie esigenze e non a quelle del fratello) che “da soli, non esprimono profonda e radicata avversione verso il donante, né un sentimento di disistima delle sue qualità morali, presupposti necessari per la revoca della donazione per ingratitudine”. |