Matrimonio putativo e diritti successori del coniuge superstite

07 Marzo 2024

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, principalmente, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione agli artt. 86, 117, 128 e 584 c.c., riferita al contestato accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva della figlia del de cuius a proporre il giudizio di nullità del matrimonio contratto dal padre.

Massima

D alla lettura dell' art. 584 comma 1 c.c.  si evince che il diritto alla quota ereditaria di pertinenza del coniuge superstite viene meno solo ove ricorrano due condizioni concorrenti ed intrinsecamente connesse e cioè: i) la nullità del matrimonio, ii) la mancanza di buona fede del coniuge superstite, di guisa che la declaratoria di nullità del matrimonio, ove non sia accertata la mancanza di buona fede, è priva di effetti ai fini successori.

Il caso

Nelle more del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, uno dei coniugi contraeva un nuovo matrimonio, nel corso del quale poi decedeva.

Apertasi la successione, le figlia legittima del primo matrimonio adiva il Tribunale di Cagliari al fine di far dichiarare la nullità del secondo matrimonio contratto dal padre, per mancanza del requisito della libertà di stato dello stesso, non essendo ancora passata in giudicato, al momento di celebrazione delle nozze, la sentenza di cessazione degli effetti civili del primo matrimonio.

Il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda, dichiarando la nullità del secondo matrimonio contratto dal de cuius.

Veniva proposto dalla seconda moglie appello innanzi alla Corte di appello di Cagliari, la quale accoglieva il gravame, ritenendo la figlia del de cuius non legittimata all'azione di nullità del matrimonio in forza del presunto interesse di natura successoria derivante dall'avvenuto decesso del padre.

La Corte di appello affermava, in sostanza, che l'interesse legittimo ed attuale ad agire, di cui all'art. 117 c.c., deve identificarsi nell'interesse dei soggetti titolari di una situazione soggettiva collegata a rapporti di indole familiare pregiudicata dagli effetti propri del matrimonio, per cui la legittimazione deve ammettersi in quanto l'azione sia strettamente necessaria a rimuovere il pregiudizio da cui scaturisce l'interesse. Nello specifico, andava esclusa la sussistenza dell'interesse successorio prospettato dalla figlia del de cuius, in quanto la declaratoria di nullità del matrimonio non avrebbe potuto incidere, in forza dell'art. 584 c.c., che regola i diritti successori del coniuge putativo, sulla consistenza della quota ereditaria spettante alle due parti in causa (figlia e seconda moglie) e, pertanto, non poteva realizzare l'interesse per il quale la domanda di nullità era stata proposta, ossia l'interesse successorio della figlia ad ottenere una maggiore quota dell'eredità paterna; non poteva dubitarsi, inoltre, della sussistenza della buona fede della seconda moglie al momento delle nozze, con riferimento al ritenuto passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Avverso tale sentenza, la figlia del de cuius proponeva ricorso in Cassazione, adducendo, principalmente, la violazione e falsa applicazione degli artt.112 e 345 c.p.c., in relazione agli artt. 86,117,128 e 584 c.c., riferita al contestato accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva.

La questione

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, principalmente, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione agli artt. 86,117,128 e 584 c.c., riferita al contestato accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva della figlia del de cuius a proporre il giudizio di nullità del matrimonio contratto dal padre.

La ricorrente sostiene che la sussistenza o meno dei presupposti di applicabilità dell'art. 584 c.c. rileverebbe solo in un momento successivo alla dichiarazione di nullità del matrimonio, intervenuta dopo la morte del coniuge; che l'art. 128 c.c. dimostra che non può parlarsi di matrimonio putativo se non quando il matrimonio sia stato celebrato e sia stato poi dichiarato nullo; che la Corte di appello avrebbe esorbitato dal thema decidendum rimesso alla sua valutazione, perché la questione della buona fede dei coniugi e della loro convivenza non era mai stata dedotta nel corso del giudizio, e si era pronunciata su eccezioni che potevano essere sollevate solo dalla parte, ampliando in modo non consentito l'oggetto del giudizio.

Si pongono, quindi, all'esame della Suprema Corte molteplici fattispecie interconnesse tra loro. In primo luogo, il profilo relativo all'efficacia delle sentenze di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in secondo luogo, la legittimazione ad agire dei soggetti per far valere le cause d'invalidità del matrimonio; in terzo luogo, la determinazione delle condizioni di configurabilità del matrimonio putativo e dei suoi effetti sul piano successorio.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, occorre osservare come la Cassazione presupponga la sussistenza della nullità del secondo matrimonio per mancanza del requisito della libertà di stato del nubendo, per non essere ancora passata in giudicato, al momento in cui venivano celebrate le nozze, la sentenza di cessazione degli effetti civili del primo matrimonio.

Sul punto bisogna ricorda che la legge n. 898/1970, art. 10, in deroga ai principi sul giudicato, dispone che la pronuncia di divorzio ha effetto solo dal giorno della sua annotazione nei registri anagrafici, sicché parte della dottrina ha sostenuto che, per produrre i suoi effetti, la sentenza dovrebbe, non solo passare in giudicato, ma anche essere regolarmente annotata.

Nella presente ordinanza la Cassazione sembra allinearsi ai propri precedenti di legittimità (Cass. n. 3038/1977; Cass. n. 7989/1992), e alla dottrina dominante, secondo cui, quanto agli effetti della sentenza di divorzio, occorre distinguere gli effetti tra le parti, che si verificato con il passaggio in giudicato, dagli effetti verso i terzi, che si verificano, invece, con l'effettuazione delle suddette formalità pubblicitarie.

Nel caso di specie, non essendo ancora passata in giudicato la sentenza di divorzio, la mancanza di libertà di stato del marito ha determinato la nullità del secondo matrimonio ai sensi dell'art. 86 c.c.

Ciò detto in via preliminare, si pone conseguentemente il problema relativo alla legittimazione della ricorrente ad agire, in qualità di terza, per la declaratoria di nullità del secondo matrimonio del padre.

A tale quesito la Corte di Cassazione fornisce risposta negativa, rilevando che l'art. 117 comma 1 c.c. prevede una pluralità di ipotesi di nullità del matrimonio, a seconda che siano stati violati gli artt. 86,87 o 88 c.c., circoscrivendo la legittimazione a promuovere l'azione di nullità ad alcuni soggetti specifici -  coniugi, ascendenti prossimi, pubblico ministero - e a «tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo ed attuale». Questa disposizione rileva nel presente caso, in cui è stata dedotta la nullità del matrimonio per violazione dell'art. 86 c.c., che prescrive la libertà di stato dei nubendi.

Va rammentato che l'azione di nullità, pur promuovibile dal pubblico ministero, non può più essere esperita da questi dopo la morte di uno dei coniugi, secondo quanto previsto dall'art. 125 c.c. (Cass. n. 4653/2018), e che l'azione per impugnare il matrimonio è intrasmissibile agli eredi, se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore (art. 127 c.c.), circostanza non ricorrente nel presente caso.

L'interesse legittimo e attuale all'impugnazione del matrimonio, di cui all'ultima parte del comma 1 dell'art. 117 c.c., può essere morale o patrimoniale ed è ravvisabile nei soli casi in cui vi siano posizione soggettive di terzi che siano attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere e che traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso.

Il titolo di legittimazione fatto valere dalla ricorrente, che ha agito dopo la morte del padre per conseguire la declaratoria di nullità del matrimonio, è stato fondato su «un interesse legittimo ed attuale» rappresentato dalle proprie aspettative successorie in ragione della previsione, ritenuta pregiudizievole, dell'art. 584 comma 1 c.c., ai sensi del quale «Quando il matrimonio è stato dichiarato nullo dopo la morte di uno dei coniugi, al coniuge superstite di buona fede spetta la quota attribuita al coniuge dalle disposizioni che precedono. Si applica altresì la disposizione del secondo comma dell'articolo 540», così facendo salvi i diritti successori del coniuge di “buona fede”.

Ne discende che l'interesse ad agire del terzo, ai sensi dell'art. 117 comma 1 c.c., per conseguire la declaratoria di nullità del matrimonio, al fine di evitare il pregiudizio che egli potrebbe subire ai propri diritti successori dall'applicazione dell'art. 584 c.c. in favore del coniuge “putativo”, si configura come “legittimo ed attuale” solo ove l'azione proposta sia volta a conseguire la declaratoria di nullità del matrimonio e l'accertamento della mala fede del coniuge superstite, che il terzo attore ha l'onere di allegare, dedurre e dimostrare, in quanto solo in presenza di entrambe queste circostanze, concorrenti e strettamente connesse tra loro, il diritto successorio del coniuge superstite recede.

La Corte di Cassazione sembra, quindi, accogliere la configurazione giuridica del matrimonio putativo quale fattispecie complessa, composta sia dalla declaratoria di nullità del matrimonio che dalla buona fede di almeno un nubendo, di guisa che non appare accoglibile l'eccezione promossa dalla ricorrente, relativa alla valutabilità dei presupposti di applicabilità dell' art. 584 c.c. solo in un momento successivo alla dichiarazione di nullità del matrimonio intervenuta dopo la morte del coniuge, in quanto ai fini della stessa configurabilità della fattispecie di cui alla menzionata norma, necessita la concorrente ricorrenza di entrambi i suddetti elementi (la declaratoria di nullità del matrimonio e la buona fede del nubendo), la cui assenza, anche parziale, non ne consente il perfezionamento. Poiché, come meglio si specificherà in seguito, la buona fede del coniuge si presume sino a prova contraria, l'aver omesso ogni allegazione relativa alla mala fede dello stesso non consente di ritenere, neanche astrattamente, attuabile l'interesse successorio del terzo in danno del coniuge putativo.

Si apre, pertanto, all'esame della Corte, l'ulteriore questione relativa agli elementi costitutivi del c.d. matrimonio putativo.

La disposizione di cui all'art.128 c.c., nel prevedere a quali condizioni il matrimonio nullo produce gli effetti del matrimonio valido (cd. matrimonio putativo), stabilisce che gli effetti del matrimonio valido si producono in favore dei coniugi fino alla sentenza che ha pronunciato la nullità «quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi».

Elementi costitutivi del matrimonio putativo sono, dunque, sul piano oggettivo: l'esistenza di un atto di matrimonio, anche se nullo, e di una sentenza, passata in giudicato, dichiarativa di tale nullità; sul piano soggettivo: la buona fede di almeno uno dei nubendi, dal che si deduce la centralità del tema della “buona fede” nell'ambito dell'accertamento della nullità del matrimonio, quando si controverta su diritti che vengono “fatti salvi” anche in caso di accertata nullità.

Il concetto di buona fede a cui la Cassazione fa riferimento è, chiaramente, quello di buona fede presunta e psicologica, con la conseguenza che l'onere di provare l'inefficacia del matrimonio nullo, anche sotto il profilo della putatività, e la mala fede del nubendo, incombe su colui che lo allega (cfr. Cass. n. 33409/2021Cass. n. 2077/1985Cass. n. 4889/1981; Cass. n. 1298 del 1971). In tal senso, la presunzione di buona fede che assiste il coniuge (art. 1147 comma 3 c.c.) determina che colui che intende esercitare il diritto riconosciuto dalla norma di riferimento è sollevato dall'onere di provare la condizione di buona fede, spettando alla parte interessata al superamento di tale presunzione, di allegare e dimostrare la mala fede del coniuge.

Nel caso di specie, come espressamente confermato dalla ricorrente, è stato dalla stessa omessa ogni allegazione relativa alla mala fede della seconda moglie al momento della prestazione del consenso matrimoniale, con conseguente applicazione della normativa in tema di matrimonio putativo.

Sul piano soggettivo, inoltre, la buona fede viene intesa in senso psicologico, e non negoziale, ossia quale convinzione dei coniugi, o anche di uno di essi, di aver contratto un matrimonio valido, ignorando, cioè, la causa di nullità da cui esso era affetto. A riguardo, già la Corte di Appello aveva accertato la buona fede della seconda moglie al momento delle nozze, in ciò indotta, in particolare, dalle risultanze formali delle annotazioni relative alla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio, riportate sui pubblici registri.

Premesso l'inquadramento normativo, quanto alle conseguenze derivanti dalla sussunzione della fattispecie nell'alveo del matrimonio putativo, rileva la Cassazione che, dalla lettura dell'art. 584 co. 1 c.c., si evince che il diritto alla quota ereditaria di pertinenza del coniuge superstite viene meno solo ove ricorrano due condizioni concorrenti ed intrinsecamente connesse e cioè: i) la nullità del matrimonio; ii) la mancanza di buona fede del coniuge superstite.

Ne consegue che la declaratoria di nullità del matrimonio, ove non sia accertata la mancanza di buona fede, è priva di effetti ai fini successori, in quanto la configurabilità del matrimonio come “putativo” fa sorgere, in capo al coniuge superstite, gli stessi diritti successori previsti dalla legge per il coniuge legittimo.

Sul piano processuale, quindi, la mancata prospettazione da parte della ricorrente, come dalla stessa espressamente confermato in sede di ricorso in Cassazione, del concorrente e connesso requisito della mala fede della nubenda, fa venir meno la sua legittimazione ad agire in giudizio, non essendo, in alcun modo, prospettabile il venir meno dei diritti successori del coniuge putativo in favore di quelli della ricorrente.

Conclude la Suprema Corte che, poiché sia nel giudizio di primo grado che di appello il tema della buona fede non è stato mai oggetto di discussione, sussiste la carenza dell'interesse legittimo ed attuale della ricorrente, perché l'azione proposta, senza allegazione della mala fede del coniuge superstite, non avrebbe comunque potuto contrastare il pregiudizio conseguente all'applicazione dell'art. 584 c. c., il quale deriva, non solo dalla nullità del matrimonio, ma anche dalla malafede del coniuge superstite, costituente elemento impeditivo della stessa configurabilità giuridica del matrimonio putativo e, quindi, dei diritti di cui all'art. 584 c.c.

Osservazioni

La questione esaminata in sede di legittimità consente di promuove le seguenti riflessioni relative all'istituto del matrimonio c.d. putativo (art. 128 c.c.).

Il matrimonio c.d. putativo è quel matrimonio invalido, cioè, dichiarato nullo o annullato con sentenza costitutiva, ma contratto in buona fede da almeno uno dei coniugi (ad es. matrimonio contratto dal coniuge del presunto morto che abbia fatto ritorno).

Affinché possa configurarsi la fattispecie del matrimonio putativo è, dunque, sempre necessario un atto di matrimonio, anche se invalido, di guisa che, l'inesistenza dello stesso osta alla configurabilità stessa della fattispecie e alla produzione di qualsiasi effetto giuridico.

La ricorrenza di un matrimonio nullo rappresenta la condizione necessaria, ma non sufficiente, al fine dell'applicazione della normativa di cui agli artt. 128 e ss c.c., essendo a tal fine indispensabile la ricorrenza di una sentenza accertativa e dichiarativa della nullità del matrimonio, la quale giuridicamente si configura non solo “dichiarativa” di un quid già verificatosi nella realtà giuridica, ma anche parzialmente “costitutiva” dalla fattispecie contemplata dall'art. 128 c.c.

Come anticipato, elementi costitutivi del matrimonio putativo sono, sul piano oggettivo: l'esistenza di un atto di matrimonio, anche se nullo, e di una sentenza, passata in giudicato, dichiarativa di tale nullità; sul piano soggettivo: la buona fede di almeno uno dei nubendi, intesa quale ignoranza della causa di invalidità delle nozze.

Come denota lo stesso significato etimologico dell'aggettivo “putativo”, dal latino putàre, ossia pensare, credere o reputare, assume un ruolo significativo nella determinazione della fattispecie di cui all'art. 128 c.c., la buona fede di almeno uno dei nubendi; essa si presume e deve sussistere al momento della celebrazione del matrimonio (mala fides superviens non nocet), di guisa che il dubbio circa la validità dello stesso basta ad escluderne la configurabilità.

Con riguardo agli effetti che produce il matrimonio putativo, nonostante la sua invalidità, occorre distinguere la posizione dei coniugi, da quella dei figli.

Per i coniugi in buona fede o il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore derivante da cause esterne, gli effetti del matrimonio si producono sino al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio o ne pronuncia l'annullamento (art. 128 c.c.).

Nel periodo successivo la pronuncia di nullità o annullamento del matrimonio, in caso di buona fede bilaterale, il giudice può disporre a carico di uno di essi, per tre anni dopo la sentenza, il mantenimento del coniuge più debole, che non sia passato a nuove nozze. Trattasi di obbligazione di mantenimento, in quanto, nella determinazione del suo ammontare, il giudice tiene conto del tenore di vita dei due coniugi (art. 129 c.c.).

In caso di buona fede unilaterale, il coniuge, il cui comportamento ha determinato l'invalidità del matrimonio e che ha volontariamente omesso di comunicare all'altro il motivo di invalidità di cui era a conoscenza, deve versare all'altro una indennità una tantum, di natura più sanzionatoria che risarcitoria, in quanto prescindente dalla prova del danno sofferto, nonché a versare, in via sussidiaria, senza limiti di tempo, un assegno alimentare.

Se la nullità è imputabile a un terzo, questi è tenuto a versare l'indennità al coniuge in buona fede; la responsabilità è solidale con l'altro coniuge, se vi è stato concorso nel determinare la nullità o se costui era in grado di avvertire l'altro coniuge dei motivi di invalidità del matrimonio e non l'ha fatto.

Per i figli, gli effetti del matrimonio si producono in caso di buona fede anche di un solo coniuge. In caso di mala fede bilaterale, il matrimonio produce comunque effetti nei confronti dei figli concepiti o nati durante lo stesso, i quali acquisteranno lo status di figli legittimi, salvo che la nullità dipenda da incesto (art. 128 c.c.). Il nuovo testo del co. 5, relativo ai figli incestuosi, è logica conseguenza dell'eliminazione della distinzione tra figli legittimi e naturali riconosciuti e delle modifiche introdotte al riconoscimento dei figli incestuosi di cui all'art. 251 c.c. Pertanto, ove il matrimonio sia stato contratto in mala fede da entrambi i coniugi e la nullità dipenda da incesto (essendo stato contratto un matrimonio in violazione dell'art. 87 c.c.), l'eventuale riconoscimento del figlio è soggetto alla previsione dell'art. 251 c.c., che richiede la preventiva autorizzazione giudiziale.

Va chiarito che, anche quando, in presenza di male fede bilaterale dei coniugi, i figli acquistano e mantengono lo status di figli legittimi, non si è in presenza di un effetto eccezionale dell'atto nullo né di una sanatoria dello stesso, ma solo dell'effetto derivante dal favor che il legislatore accorda alla filiazione legittima, nel senso che, acquisito lo status di figlio legittimo, esso non può più essere perso.

Non si ritiene, infatti, che la disciplina del matrimonio putativo possa essere utilizzata dalla dottrina a fondamento di una presunta sanabilità ed efficacia degli atti nulli (l'atto nullo è insanabile ed improduttivo di effetti giuridici), in quanto gli effetti dello stesso sono limitati nel tempo, solo nei confronti di coniugi e figli, e derivano non da una fattispecie semplice, nella specie l'atto di matrimonio, ma da una fattispecie complessa composta dall'atto di matrimonio e dalla buona fede di almeno uno dei nubendi.

Sul piano successorio, che qui interessa, il coniuge putativo, in caso di morte dell'altro coniuge, prima del passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia l'invalidità del matrimonio, acquista e mantiene la qualità di erede (art. 584 c.c.), con l'unico limite costituito dalla bigamia, in quanto, per la legge, il coniuge putativo deve cedere di fronte ai diritti del coniuge legittimo (art. 584 comma 2 c.c.).

In tal senso, il coniuge è considerato un legittimario solo se sussiste un valido matrimonio, produttivo di effetti civili, al tempo della morte della persona della cui eredità si tratta. La prova dell'esistenza di un rapporto di coniugio deve essere data mediante la presentazione dell'atto di celebrazione del matrimonio, estratto dai registri dello stato civile (art. 130 comma 1 c.c.) ovvero, in mancanza, nei modi previsti dagli artt. 132 e 133 c.c. Da quanto detto consegue che è assimilato al coniuge validamente coniugato il c.d. coniuge putativo, ossia colui che ha contratto in buona fede un matrimonio nullo, oppure colui che ha contratto matrimonio mediante consenso estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità, purché al tempo di apertura della successione non sia ancora intervenuta la pronuncia di invalidità. Ove la sentenza che abbia dichiarato nullo il matrimonio sia già passata in giudicato al momento della morte, il coniuge putativo è escluso dalla successione, in quanto solo in tale momento essa può produrre pienamente i suoi effetti giuridici (art. 2909 c.c.). In tal caso, infatti, il titolo che consente al coniuge di succedere, viene meno, essendo stato il matrimonio dichiarato nullo prima della morte di uno dei coniugi, con degradazione del coniuge putativo alla posizione di estraneo.

Da quanto detto emerge che, ai fini della configurabilità dei diritti successori del coniuge putativo occorre, in primo luogo, che la nullità del matrimonio venga dichiarata, con sentenza passata in giudicato, dopo la morte del coniuge e che il coniuge superstite sia in buona fede. Alla presenza di tali condizioni, il coniuge putativo avrà diritto, oltre ai medesimi diritti successori previsti dalla legge in favore del coniuge legittimo, anche al diritto di abitazione della casa coniugale e di uso dei mobili che la corredano ai sensi dell'art. 540 c.c.

La dottrina estende la disciplina dell'art. 584 c.c. a tutte le ipotesi di matrimonio putativo e, quindi, non solo quando vi sia la buona fede del coniuge superstite, ma anche, in coerenza con quanto dispone l'art. 128 c.c., nel caso in cui il consenso del coniuge sia stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo, anche se non può dirsi che il coactus sia coniuge di buona fede

È discusso se, per escludere la successione del coniuge putativo, sia necessaria, prima dell'apertura della successione, una sentenza passata in giudicato ovvero basti una sentenza di primo grado. Per la tesi più permissiva milita la lettura a contrario dell'art. 585 c.c. che, solo per il coniuge separato, parla di sentenza passata in giudicato. Sembra preferibile la tesi più restrittiva, anche in considerazione della circostanza che solo la sentenza passata in giudicato ha i requisiti necessari per la trascrizione a margine dell'atto di matrimonio.

Appare tuttavia necessario, ai fini della configurabilità dei diritti successori del coniuge putativo, che il matrimonio non sia annullato per bigamia, ossia quando il defunto era già legato, al tempo del secondo matrimonio, da un altro matrimonio valido, in quanto l'art. 584 c.c. statuisce il principio generale, dettato in tema di successione legittima, ma applicabile anche a quella necessaria, della soccombenza del coniuge putativo nei confronti di quello legittimo. In tal caso il coniuge putativo non è del tutto privato della facoltà di succedere, ma solo postergato rispetto al coniuge legittimo, potendo venire alla successione solo nel caso in cui questi non possa o non voglia succedere al de cuius.

Nella fattispecie oggetto dell'ordinanza in commento, nonostante il defunto fosse già legato, al tempo del secondo matrimonio, da un altro matrimonio valido, i diritti successori del primo coniuge sono venuti meno dopo il passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili del primo patrimonio, con conseguente riconoscimento dei diritti successori del secondo coniuge, anche se putativo. Con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il soggetto divorziato perde, difatti, la qualità di legittimario riconosciuta dal codice civile al coniuge superstite, con diritto del coniuge putativo a succedere al defunto.

Riferimenti

Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2021.

Busani, La successione mortis causa, Milano 2020.

Capozzi, Successioni e donazioni, Terza ed. a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, 2009.

Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Mengoni, Milano, 2000.

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