Declaratoria de plano di inammissibilità del ricorso per cassazione in caso di mancanza di mandato specifico

11 Marzo 2024

L'ordinanza in commento attiene all'applicabilità della disciplina della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione senza formalità, prevista dall'art. 610 comma 5-bis c.p.p., introdotto dalla legge 23 giungo 2017, n. 103, nel caso di mancanza di mandato specifico ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, atto richiesto a pena di inammissibilità dall'art. 581, comma 1-quater, c.p.p.

Massima

La mancanza di specifico mandato a impugnare rilasciato dall'imputato dopo la pronuncia della sentenza impugnata integra senza dubbio un difetto di legittimazione, al pari di un ricorso presentato personalmente dall'imputato o da un difensore non iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, ipotesi per le quali si procede sempre de plano.

Il caso

Avverso la sentenza della Corte di appello interpone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore non munito di mandato specifico rilasciato dopo la pronuncia, chiedendo l'annullamento della sentenza di condanna per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità.

La questione

L'art. 610, comma 5-bis, c.p.p. prevede l'immediata declaratoria di inammissibilità senza alcuna formalità, e quindi senza ulteriori forme di contraddittorio camerale o cartolare, nei casi - tra gli altri - di inammissibilità previsti dall'art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p., limitatamente al difetto di legittimazione, esclusa l'inosservanza delle disposizioni dell'art. 581 c.p.p. che prevede al comma 1-quater l'obbligo di mandato specifico, rilasciato al difensore necessariamente dopo la pronuncia della sentenza da impugnare.

Le soluzioni giuridiche

Secondo l'ordinanza in commento il percorso normativo è solo apparentemente incoerente anche se, da una parte, l'art. 610, comma 5-bis, c.p.p., prevede la declaratoria di inammissibilità  senza formalità per difetto di legittimazione del soggetto proponente il ricorso e dall'altro esclude la stessa declaratoria di inammissibilità senza formalità  in caso di inosservanza delle disposizione di cui all'art. 581 c.p.p., norma che contiene, tra le altre previsioni, quella del mandato specifico rilasciato dopo la pronuncia della sentenza da impugnare.

Il contrasto tra le due disposizioni andrebbe risolto, secondo la Corte, dando prevalenza alla prima, che afferma il principio generale dell'inammissibilità per difetto di legittimazione soggettiva del ricorrente. Un'interpretazione sistematica, infatti, supererebbe il riferimento letterale all'art. 581 c.p.p., richiamato nella sua interezza dall'art. 610, comma 5-bis, c.p.p. proprio per escluderne la sua applicazione. Si tratterebbe, in sostanza, di un difetto di coordinamento tra norme risolvibile valorizzando la volontà legislativa di consentire la declaratoria di inammissibilità senza formalità in caso di radicalità del vizio, quale il difetto di legittimazione, che impedisce l'istaurazione di un corretto contraddittorio.

Osservazioni

L'ordinanza in questione, non preceduta da altre pronunce in termini, sovrappone la legittimazione soggettiva “originaria” con la legittimazione soggettiva “derivata” dal conferimento del potere di impugnare proveniente da una parte privata.

In particolare, la tesi interpretativa sostenuta dalla Corte di cassazione, in evidente e non sottaciuto contrasto con il dato letterale, risiede nella sussunzione dell'assenza del mandato specifico nel più ristretto ambito della inammissibilità per difetto di legittimazione soggettiva.

Invero, a maggior ragione dopo l'approvazione della legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha introdotto il comma 5-bis dell'art. 610 c.p.p. in tema di declaratoria de plano di talune forme di inammissibilità, specificatamente indicate, e del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha introdotto il  comma 1-quater dell'art. 581 c.p.p., in tema di mandato specifico per impugnare, è evidente che le cause di inammissibilità abbiano assunto la caratteristica della tassatività, persino oltre quell'orientamento giurisprudenziale che già affermava il divieto di fare ricorso alla categoria giuridica della inammissibilità in ipotesi diverse da quelle testualmente previste dal legislatore (in senso conforme: Cass. pen., n. 17817/2021).

Anzi, è proprio una corretta interpretazione sistematica a rafforzare la logicità dell'incontrovertibile dato letterale, superato in modo apparentemente agevole dall'ordinanza in commento.

La c.d. Riforma Cartabia ha introdotto due categorie di inammissibilità.

La prima rilevabile e dichiarabile senza formalità nei soli casi tassativamente indicati dall'art. 610 comma 5-bis, c.p.p. la seconda rilevabile dal presidente della Corte di cassazione e dichiarabile da apposita sezione in forza del combinato disposto degli artt. 610, comma 1, e 611 comma 1, c.p.p. In questo secondo caso, il procedimento si svolge in una camera di consiglio non partecipata ma garantendo comunque un adeguato contraddittorio cartolare. Tutte le parti possono, infatti, presentare motivi nuovi, memorie e memorie di replica. È ovvio, infine, che tutte le cause di inammissibilità possono essere rilevate e dichiarate a seguito delle udienze camerali partecipate e delle udienze pubbliche, quando celebrate ai sensi dell'art. 611, comma 1-bis, c.p.p.

Del resto, è evidente che la mancanza di legittimazione soggettiva “originaria”, come per esempio la mancata iscrizione del difensore, che ha sottoscritto l'atto, nell'albo speciale della corte di cassazione, abbia natura, funzione, modalità di accertamento del tutto peculiari. Non è necessario, infatti, interpretare la volontà della parte a conferire un potere difensivo ma ha rilievo, più semplicemente, il dato formale dell'iscrizione del difensore in un elenco. In caso di errore materiale o di fatto, è comunque ammesso il ricorso straordinario a norma dell'art. 625-bis c.p.p.

Inoltre, il principio di conservazione del mezzo di impugnazione, sancito dall'art. 568, comma 5, c.p.p., impone alla Corte di cassazione di verificare, a prescindere dalla qualificazione formale, la volontà della parte di impugnare il provvedimento. Per esempio, il ricorso potrebbe essere sottoscritto dall'imputato unitamente al proprio difensore, ancorché senza rilasciare formale “mandato specifico” ma dimostrando inequivocabilmente la volontà di incaricare il difensore dell'interposizione dell'impugnazione.

È possibile, altresì, che l'impugnazione venga proposta da un soggetto, diverso dall'imputato e non necessariamente coincidente con il difensore, munito di una procura speciale rilasciata ai sensi dell'art. 571, comma 1, c.p.p., anche prima dell'emissione del provvedimento da impugnare. La forma dell'atto è diversa, in quanto disciplinata dall'art. 122 c.p.p., ma il contenuto è sostanzialmente coincidente con quello del mandato specifico, anche se la procura può essere rilasciata anche prima della pronuncia della sentenza da impugnare. A prescindere dal difetto di coordinamento tra norme in relazione alla previsione dello stesso potere di impugnare conferibile prima e dopo l'emissione del provvedimento, è evidente che l'accertamento della legittimazione “derivata”, che dipende dalla sussistenza o meno di un atto e dalla sua qualificazione giuridica, sia più complesso della mera constatazione dell'assenza della legittimazione “originaria”.

Inoltre, senza dover affrontare compiutamente in questa sede i profili di criticità costituzionale della previsione in tema di mandato specifico per impugnare, non si può negare che tale previsione si collochi, a livello sistematico, nell'ambito delle facoltà  proprie del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., norma che deve essere letta in sintonia con l'art. 14, paragrafo 5 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881 che prevede il diritto del condannato a che l'accertamento della sua colpevolezza e la sua condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza. Tale profilo critico è stato correttamente evidenziato anche dalla giurisprudenza che, allo stato, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 581 1-quater c.p.p. (Cass pen., n. 43718/2023). Peraltro, per quanto concerne il ricorso per cassazione, questione qui in esame, è indubbia la copertura costituzionale prevista dall'art. 111, comma 7, Cost.

Pertanto, appare ragionevole la volontà legislativa di restringere l'ambito applicativo della declaratoria di inammissibilità senza formalità a quella categoria di inammissibilità sempre rilevabili documentalmente, come il requisito soggettivo dell'iscrizione del difensore nell'elenco dei cassazionisti, e nel contempo riservare al contraddittorio, almeno cartolare, le questioni di inammissibilità che potenzialmente possono investire l'interpretazione dell'atto, l'applicazione del principio di conservazione degli effetti giuridici dell'atto e del mezzo di impugnazione.

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