Interferenze illecite nella vita privata: anche il convivente può commettere il reato, purché sia assente

12 Marzo 2024

La questione in esame, e che si è posta nel giudizio cautelare, è la seguente: può configurarsi il reato di cui all’art. 615-bis c.p. nei confronti di chi ha libero accesso – perché convivente – al domicilio nel quale avvengono le riprese di atti di vita privata?

Massima

Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis c.p., la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di registrazione di immagini, carpisca, senza il consenso degli interessati e all'interno della propria dimora, immagini di vita privata di altri soggetti conviventi, senza tuttavia esservi partecipe.

Il caso

L'indagato, convivente della persona offesa, aveva installato nella comune abitazione un impianto di registrazione di immagini, costituito da tre microtelecamere e una centralina di registrazione, che era stato inserito nel sistema di allarme dell'abitazione. Tale sistema gli aveva permesso di captare, in sua assenza, immagini della vita privata della convivente e dei figli. Tale condotta si inseriva in una più ampia contesa tra i coniugi, dato che questi ultimi si erano reciprocamente denunciati per maltrattamenti, anche a danno dei figli minori della coppia, e per lesioni personali.

Il Tribunale di Roma, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, aveva confermato il decreto del Gip con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di tale impianto di registrazione di immagini, in quanto ritenuto sussistente il fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 615-bis c.p., il quale, secondo il giudice, si realizza anche quando il sistema di registrazione sia stato installato da uno dei conviventi nell'abitazione, purché sia destinato a registrare atti della vita privata degli altri coabitanti in sua assenza.

Avverso la decisione del Tribunale del riesame l'imputato proponeva ricorso per Cassazione. Tra i vari motivi di ricorso, la difesa dell'imputato deduceva che la registrazione era stata effettuata per una ragione lecita, ovvero raccogliere elementi di prova circa i maltrattamenti realizzati dalla moglie a danno dei figli, che le videocamere erano state collocate in ambienti comuni (come il corridoio, la sala, la cucina) e che la moglie convivente era a conoscenza dell'installazione.

La questione

La questione in esame, e che si è posta nel giudizio cautelare, è la seguente: può configurarsi il reato di cui all'art. 615-bis c.p. nei confronti di chi ha libero accesso – perché convivente – al domicilio nel quale avvengono le riprese di atti di vita privata?

Le soluzioni giuridiche

La Corte sul punto ribadisce il proprio indirizzo largamente maggioritario secondo il quale neppure al convivente è consentita la registrazione di immagini della vita privata altrui, quando chi le realizza non è presente agli atti ripresi e purché non vi sia stato il consenso dei soggetti ritratti.

In motivazione, a conforto della posizione assunta dal Collegio, vengono richiamati in particolare due precedenti. Nel primo veniva precisato che non è configurabile il delitto in questione qualora l’autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto della vita privata oggetto di captazione. Nel secondo si affermava che parimenti non integra il delitto la condotta di chi, ammesso ad accedere nell’abitazione del coniuge separato, provveda a filmare, senza consenso, gli incontri tra quest’ultimo e il figlio minore.

Dunque, in sintesi, il reato di interferenze illecite nella vita privata può essere commesso anche da chi è legittimato, stabilmente o anche temporaneamente, ad avere accesso al luogo di dimora, ma è necessario da un lato che chi effettua le riprese sia assente, dall’altro che non vi sia il consenso di chi viceversa è ritratto.

Osservazioni

La Cassazione, con la presente pronuncia, non sconfessa il proprio indirizzo largamente maggioritario. Il delitto di cui all'art. 615-bis comma 1 c.p. mira a tutelare la riservatezza domiciliare, ovvero la legittima aspettativa di riservatezza che una persona ha il diritto di avere rispetto alle condotte poste in essere all'interno della propria dimora. Qualunque atto posto in essere nel perimetro descritto è oggetto di tutela da parte della disposizione in questione.

In questo senso, quindi, è del tutto comprensibile e anzi convincente quanto è ribadito dalla sentenza qui segnalata a proposito dell'indicazione dei presupposti per la commissione del delitto in esame.

Soggetto attivo può essere chiunque, trattandosi di un reato comune. E può essere pure il convivente, poiché anche nei confronti di costui la persona offesa ha il diritto di mantenere un ambito di vita non condivisa. Tale ambito ben può comprendere i comportamenti tenuti in un luogo come quelli di privata dimora, ove esiste una legittima previsione di solitudine, che merita adeguata protezione. Non perché due persone convivono, qualunque sia la ragione, da un'occasione meramente estemporanea al vincolo più stretto, le loro sfere di reciproca riservatezza debbono fondersi fino a svanire. Sicché, chi è nella propria casa ha il diritto di non vedere violata la propria intimità da chi in generale ha un pari diritto di abitarla, ma che in quel momento è assente.

L'unico precedente difforme, sul punto, riguarda un caso in cui la registrazione di un atto sessuale da parte di uno dei due partecipanti all'insaputa dell'altro è stata ritenuta estranea al delitto in quanto appunto i due erano conviventi. Secondo il supremo collegio, infatti, il delitto poteva essere compiuto soltanto da chi non avesse il diritto di trattenersi nell'abitazione. Una simile conclusione, tuttavia, non convince: in quel caso, infatti, il bene giuridico tutelato dalla disposizione non era stato leso non tanto perché chi registrava avesse una astratta legittimità a essere presente nel luogo, quanto perché partecipava direttamente all'atto ripreso.

E infatti è pure comprensibile la circostanza per la quale non commette il delitto chi registra condotte a cui partecipa. Qui, quanto accade nell'intimità del luogo privato viene percepito non grazie alla fraudolenta presenza di un apparecchio che registra quanto ivi si svolge, bensì perché la persona ha percepito immagini e suoni essendo presente “sulla scena”. Il soggetto ignaro della registrazione era comunque consapevole della partecipazione di chi ha effettuato la registrazione.

Quest'ultimo quindi non ha compiuto alcuna interferenza, ma era ammesso a percepire quanto si svolgeva davanti ai suoi occhi. Il fatto in sé della mera registrazione, sia pure non concordata, non integra l'illecito in questione in quanto tale azione non incide sul bene giuridico tutelato. L'atto di imprimere in un file audio o video ciò che si è visto o sentito non viola in alcun modo la riservatezza, poiché ha come effetto unicamente quello di poter ricordare più al lungo e con maggiore dettaglio quanto si è già vissuto in prima persona e con la consapevolezza di chi è stato pure ripreso, magari senza saperlo.

Infine, è ovvio che il consenso delle persone oggetto di ripresa pure esclude il delitto che presuppone per la sua consumazione il procurarsi indebitamente suoni e immagini tramite strumenti di ripresa visiva o sonora. L'assenso alla registrazione, è evidente, esclude il carattere indebito dell'attività.

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