La prova del danno-conseguenza nella responsabilità ex art. 2043 c.c. spetta anche al condomino

20 Marzo 2024

La pronuncia in esame si inquadra nell'ambito della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito e si occupa della sussistenza degli elementi caratteristici in capo alla fattispecie di cui trattasi (danni lamentati alla proprietà privata di beni immobili e mobili in condominio a seguito di opere ordinate dalla Autorità giudiziaria), con un particolare focus sull'elemento costitutivo del danno-conseguenza e della particolare rilevanza della sua prova.

Massima

La fattispecie del fatto illecito si perfeziona con il danno-conseguenza, sicché, se sussiste solo il fatto lesivo ma non vi è un danno-conseguenza, non vi può essere l'obbligazione risarcitoria. Il danno-conseguenza assume rilevanza giuridica solo in quanto cagionato da un evento lesivo di un interesse meritevole di tutela ad un determinato bene della vita, e non per la mera differenza patrimoniale fra il prima e il dopo dell'evento dannoso; specularmente, l'evento di danno è giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno- conseguenza quale concreto pregiudizio al bene della vita; la nozione di danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. rappresenta la sintesi di questi due reciproci vettori e, affinché sussista un danno ingiusto risarcibile, è necessario che, al profilo dell'ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno-conseguenza, e perciò la perdita subita o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso.

Il caso

Una società proprietaria di beni immobili e mobili siti all'interno di un condominio, agiva in giudizio nei confronti del direttore dei lavori e della ditta esecutrice per l'esecuzione di opere ordinate dall'Autorità giudiziaria, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni arrecati.

I convenuti si costituivano in giudizio, contestando le pretese attoree, chiedendo il rigetto della pretesa risarcitoria e domandando di essere autorizzati a chiamare in giudizio le rispettive Società assicurative.

Autorizzate le chiamate in causa dei terzi, le Compagnie si costituivano contestando le domande di parte attrice e chiedendone il rigetto.

Il giudice assegnatario della causa rigettava le istanze istruttorie e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.

Il Tribunale etneo rigettava le domande proposte da parte attrice e condannava quest'ultima al pagamento delle spese di lite nei confronti dei convenuti, compensando le spese di lite nei confronti delle due società assicurative.

La questione

La pronuncia in esame si inquadra nell'ambito delle richieste risarcitorie a seguito di danni lamentati per l'esecuzione di opere, quale fattispecie riconducibile all'art. 2043 c.c. in materia di responsabilità extracontrattuale e, conseguentemente, nella necessaria verifica della sussistenza degli elementi costitutivi ovvero la condotta, l'elemento psicologico del dolo o della colpa, il nesso di causa e il verificarsi di un danno ingiusto. In particolare, quanto al danno-conseguenza, che deve consistere nella perdita subita o nel mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso, esso deve essere provato dal ricorrente che sussume il patimento del danno e che, in difetto di puntuale ed analitica allegazione probatoria, potrà determinare il rigetto della domanda azionata.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Catania è chiamato a decidere sulla legittimità delle richieste risarcitorie formulate da parte attrice per il risarcimento dei danni patrimoniali che la società condomina attrice lamenta essere stati arrecati ai beni immobili e mobili di proprietà, a seguito dei lavori eseguiti dai convenuti, l'uno direttore dei lavori, l'altra l'impresa di costruzioni, all'esito di un procedimento civile avente ad oggetto una denuncia di danno temuto.

Precisamente, il magistrato siciliano avviava la propria disamina partendo da due differenti ordinanze, pronunciate nel giudizio di cui sopra, e si soffermava sul loro contenuto.

La prima ordinanza del 17 luglio 2015 ordinava al Condominio di eseguire le opere necessarie per rimuovere il lamentato stato di pericolo denunciato nel procedimento ex art. 1172 c.c.ed indicate nella c.t.u. elaborata dall'ingegnere convenuto, il quale aveva avuto altresì l'incarico di controllare l'esecuzione a regola d'arte di dette opere; il Tribunale proseguiva, poi, nel designare il nominato c.t.u. per le opere individuate, in caso di mancato e spontaneo adempimento alla esecuzione della ordinanza.

Il giudice etneo precisava, quindi, il contenuto delle opportune opere per eliminare lo stato di pericolo causato dalle dedotte infiltrazioni di acqua ovvero: lavori di sostituzione della pavimentazione e della sottostante impermeabilizzazione della terrazza di copertura, previa rimozione delle due verande realizzate sulla pavimentazione, nonché di tutto il materiale insistente su di essa (vasi, cabine, armadi, condizionatori, oggetti vari e materiali di risulta); rimozione della pavimentazione della terrazza, dello zoccoletto, della vecchia impermeabilizzazione e del sottostante massetto, delle copertine in lamierino e dell'intonaco del paramento interno dei parapetti; rifacimento del massetto delle pendenze e dell'impermeabilizzazione; collocazione di pavimentazione, zoccoletto, copertina in marmo con gocciolatoio e rifacimento dell'intonaco dei paramenti interni dei parapetti.

Veniva precisato che, se le verande insistenti sulla vecchia pavimentazione fossero state compiute legittimamente, si sarebbe potuto evitare lo smontaggio e provvedere ai lavori di modifica e adeguamento delle pendenze della terrazza.

Infine, bisognava eseguire i lavori di pittura delle pareti e dei soffitti degli immobili in proprietà della società ricorrente danneggiati dalle infiltrazioni di acqua.

La seconda ordinanza del 6 luglio 2016 veniva emessa ai sensi dell'art 669-decies c.p.c. con la quale il Tribunale accoglieva la domanda di modifica dell'ordinanza cautelare del 17 luglio 2015 - proposta da altro soggetto - e per l'effetto, ad integrazione della stessa, ordinava alla società ricorrente nel giudizio ex art. 1172 c.c. di rimuovere immediatamente le due verande abusive realizzate sulla terrazza condominiale nella parte concessa in uso esclusivo alla società, nonché il materiale su di essa insistente; disponeva altresì che, in mancanza di adempimento spontaneo, l'esecuzione doveva avvenire per il tramite dell'Ufficiale Giudiziario con l'ausilio del c.t.u. già nominato in qualità di direttore dei lavori.

Stante il perdurare dell'inerzia della società condomina ricorrente, l'Ufficiale giudiziario immetteva il c.t.u. nominato nella direzione dei lavori indicati, per i quali il professionista si avvaleva dell'intervento della ditta di costruzioni convenuta.

All'esito dell'esecuzione delle predette opere, la Società odierna ricorrente lamentava - con il giudizio oggi in commento - numerosi danni fra cui: la rottura di parti della veranda abusiva e il danneggiamento di due infissi; la presenza di infiltrazioni all'interno dell'immobile per l'assenza della guaina a protezione della mantovana e la rimozione non autorizzata di impianti sottotraccia della veranda abusiva; la rottura della porta della veranda abusiva; il danneggiamento di fioriere, piante, impianti elettrici e di un impianto antifurto; la sussistenza di vizi nelle opere realizzate oltre alla propensione della terrazza a trasformarsi in “piscina” in occasione delle precipitazioni autunnali per un sistema di scarico condominiale inadeguato.

Il Tribunale riteneva sussumibile la fattispecie in oggetto nell'alveo della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. ed ammissibile la sua risarcibilità solo nel caso in cui il danno fosse ingiusto, come tale non iure, cioè che non fosse altrimenti concesso dall'ordinamento, e contra ius ovvero ledesse una situazione giuridica protetta dall'ordinamento.

Occorreva, inoltre, dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie in esame, ovvero la condotta, l'elemento psicologico del dolo o della colpa, il nesso di causa e il verificarsi di un danno ingiusto, soffermandosi poi sulla nomenclatura di quest'ultimo aspetto evidenziando come l'evento di danno fosse giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno-conseguenza, quale concreto pregiudizio al bene della vita.

Pertanto, a fondamento della propria decisione, il giudice siciliano riteneva l'allegazione di parte ricorrente carente in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, né l'elemento soggettivo del dolo e/o della colpa delle parti convenute nell'esecuzione dell'ordinanza cautelare, né la riferibilità in capo al direttore dei lavori di una omessa vigilanza o coordinamento dell'attività.

Risultava insussistente anche l'onere di allegazione del danno-conseguenza, in quanto la quantificazione dei danni fornita dalla società ricorrente non era analitica, né poteva essere dirimente un'eventuale consulenza tecnica d'ufficio (che non sarebbe un mezzo di prova), né tantomeno una allegazione di materiale fotografico privo, peraltro, di una certa collocazione temporale.

In ragione di quanto sopra, spettando alla parte ricorrente ex art. 2697 c.c. l'onere di allegazione, la proposta domanda veniva rigettata, con condanna al pagamento delle spese di lite per il principio della soccombenza.

Osservazioni

La pronuncia in esame del Tribunale di Catania si colloca nel ventaglio interpretativo del danno da responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

In realtà, la fattispecie oggi in commento prende avvio dalla richiesta di risarcimento del danno a seguito dell'esecuzione di un provvedimento dell'Autorità giudiziaria all'esito di una azione di denuncia di danno temuto disciplinata nell'art. 1172 c.c.

Nello specifico, la denuncia di danno temuto ex art. 1172 c.c. è data nel caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa medesima derivante da qualsiasi altra cosa, e la condizione di quest'ultima azione non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, bensì anche nel solo ragionevole pericolo che lo stesso danno si verifichi (Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2004, n. 10282; Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1992, n. 4531).

Precisamente, in breve, il contenuto di detti provvedimenti mirava all'esecuzione di opere necessarie alla eliminazione dello stato di pericolo causato dalle infiltrazioni di acqua, a motivo delle quali l'impresa e il direttore dei lavori convenuti erano chiamati ad eseguire i lavori di sostituzione della pavimentazione - e sottostante impermeabilizzazione - della terrazza di copertura, previa rimozione di due verande realizzate su detta pavimentazione nonché del materiale vario ivi insistente e di proprietà della società ricorrente che lamentava plurimi danni (rottura di parti di esse, danneggiamento di fioriere, piante, impianti elettrici e antifurto ecc.)  nonché la presenza di vizi nelle opere realizzate.

Orbene, siffatta digressione consente al giudicante di operare una disamina sulla fattispecie considerata, ricondotta nell'àmbito della responsabilità ex art. 2043 c.c., ma con un'apertura di indagine che vuole travalicare la verifica della sussistenza o meno dei meri elementi costitutivi.

Infatti, oltre a enunciare la configurabilità dell'illecito extracontrattuale in presenza di una condotta lesiva sorretta dal dolo - o dalla colpa - e causalmente collegata ad un danno ingiusto, evidenzia l'importanza della sussistenza del danno-conseguenza che assume rilevanza giuridica solo se causato da un evento lesivo di un interesse meritevole di tutela e non se riveste, meramente, i caratteri di un decremento patrimoniale (tra il momento prima e il momento dopo del fatto lesivo).

A questo proposito, occorre tuttavia distinguere il danno-evento - elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità e dell'illecito civile come fonte di obbligazioni - e il danno-conseguenza come parametro di determinazione del contenuto dell'obbligazione risarcitoria gravante sul soggetto (e al quale sia imputabile la responsabilità del danno-evento).

In altri termini il danno-evento è quello che l'art. 2043 c.c. definisce “danno ingiusto” quale lesione di una situazione giuridica protetta dall'ordinamento giuridico.

Sul punto, la storica sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500) aiuta a determinare la portata del concetto di danno ingiusto ed a comprendere le modalità di indagine del Giudice chiamato a decidere sulla sussistenza dell'illecito aquiliano.

In particolare, si legge che: “Ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all'ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un ‘danno ingiusto', ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza. Comparazione e valutazione che non sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una rottura del ‘giusto' equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento)”.

Il danno-conseguenza, invece, è rappresentato dall'insieme delle conseguenze pregiudizievoli che la vittima dell'illecito civile ha sofferto a causa della lesione arrecata alla situazione giuridica della quale è titolare.

Il concetto di danno ingiusto sarà giuridicamente rilevante solo qualora determini un danno-conseguenza.

Anche la giurisprudenza più recente è ormai consolidata nel sancire che, “in tema di responsabilità civile, perché sorga un'obbligazione risarcitoria aquiliana occorre non soltanto un fatto lesivo, retto dalla causalità materiale, ma anche un danno-conseguenza di questo, retto dalla causalità giuridica, la cui imputazione presuppone il riscontro di alcuna delle fattispecie normative ex artt. 2043 ss. c.c., consistenti tutte nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento ad una condotta, a cose o ad accadimenti di altra natura, collegati con una particolare relazione al soggetto chiamato a rispondere” (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4043).

Quindi, in applicazione dei suddetti principi, l'onere probatorio della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano spetta a chi propone l'azione di risarcimento (nel caso di specie, la società ricorrente condomina) e, a maggior ragione, anche la prova del danno-conseguenza.

Esso non può convergere nella richiesta di una consulenza tecnica in quanto, per assodato principio giurisprudenziale, essa non è un mezzo di prova sostitutivo dell'onere di allegazione bensì uno strumento di ausilio del giudice per la valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che esigano specifiche conoscenze.

Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ovvero di compiere una indagine meramente esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. civ., sez. VI, 7 giugno 2019, n. 15521).

Allo stesso modo, non può essere consentito - come nella fattispecie de qua - offrire in prova del materiale fotografico (ad esempio, diretto a dimostrare la mancata realizzazione di opere o la rimozione/danneggiamento delle precedenti) laddove sia sprovvisto di un riferimento certo temporale: una fotografia priva di data, infatti, non ha alcun valore probatorio e potrà essere facilmente oggetto di contestazione della controparte, senza onere di altra motivazione.

Infatti, secondo l'art. 2712 c.c.: “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Volendo dare un'indicazione su come ovviare all'apposizione della data certa, sulla scia delle nuove tecnologie informatiche, è possibile oggi rendere i documenti e le foto in formato informatico e, quindi, firmare con un dispositivo di firma digitale; con l'apposizione della firma digitale, si applica automaticamente la c.d. “marca temporalein grado di imprimere sul documento informatico, data e ora della firma, che, a questo punto, potranno saranno opponibili verso chiunque.

Sul punto, la Cassazione ha riconosciuto come metodo egualmente efficace, quello di allegare il documento ad una mail certificata (PEC): in questo caso, stante il necessario intervento di un Ente certificatore terzo, si è riconosciuta la piena validità della marcatura temporale “impressa” con la trasmissione e consegna della PEC; quindi, si legge nell'ordinanza, “la c.d. "marcatura temporale" è il processo con cui un certificatore accreditato crea ed appone su documento informatico, digitale o elettronico una "firma digitale del documento" alla quale sono associate le informazioni relative alla data e all'ora di creazione che, ove siano state seguite le regole tecniche sulla validazione temporale di cui al d.p.c.m. del 22 febbraio 2013, sono così opponibili ai terzi” (Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2019, n. 4251).

In caso di riscontrata deficienza probatoria ex art. 2697 c.c. sulla sussistenza di tutti gli elementi caratterizzanti la fattispecie dell'illecito aquiliano, la domanda risarcitoria dovrà essere rigettata con soccombenza delle spese di lite.

Riferimenti

Balbusso, Las trico solare e danni da infiltrazioni: nuove indicazioni giurisprudenziali, in Resp. civ. e prev., 2017, 887;

Bianca, Diritto Civile - Libro V - La responsabilità, II ediz., Milano, 2012;

Gliatta, Atto di denunzia di danno temuto e oggetto della tutela, in Corr. giur., 2008, 1742;

Grasso, Atto lecito dannoso e condominio, in Libro dell'Anno del Diritto, Roma, 2017;

Santersiere, Lavori indifferibili su terrazzo di proprietà esclusiva in ambito condominiale - Azione di danno temuto, in Arch. loc. e cond., 2002, 326.

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