Ricorribilità in Cassazione per violazione di legge del decreto camerale limitativo della responsabilità genitoriale e la lesione del diritto alla bigenitorialità

20 Marzo 2024

La pronuncia in esame, nel confermare l’ammissibilità del ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. per i decreti camerali limitativi e/o ablativi della responsabilità genitoriale, conferma altresì tale rimedio anche per quei provvedimenti che disciplinano le modalità di frequentazione e visita dei figli da parte dei genitori nel momento in cui gli stessi negano e violano il diritto alla bigenitorialità.

Massima

I provvedimenti giudiziali che, all’esito dell’appello o del reclamo (a seconda del tipo di procedimento avviato) statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori, sono ricorribili per Cassazione nella misura in cui il diniego si risolve nella negazione della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare che, sancito dall’art. 8 CEDU, è leso da quelle statuizioni che, adottate  in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione della prole il cui rispetto deve essere sempre assicurato nell’interesse superiore del minore.

Il caso

Nel corso del 2018 il Pubblico Ministero, nell'ambito di una situazione familiare ad alta conflittualità tra una coppia di genitori divorziati dal 2015, richiedeva al Tribunale per i minorenni di Campobasso la sospensione della responsabilità genitoriale del padre a tutela della figlia minorenne della coppia affidata ad entrambi e collocata presso la madre.

Nell'ambito del suddetto procedimento il Tribunale minorile, con l'intento di sostenere e implementare il rapporto padre-figlia, aveva incaricato gli operatori sociali territoriali di valutare le capacità genitoriali delle parti attraverso un programma di incontri condivisi, ma gli stessi avevano poi riferito al Tribunale nel maggio 2021 il rifiuto del padre ad incontrare la ex-moglie e la figlia.

Il Tribunale, dopo aver ascoltato tutti i membri della famiglia, disponeva lo svolgimento di incontri protetti ogni quindici giorni tra padre e figlia, ma anche in quella occasione il padre si rifiutava categoricamente di parteciparvi, poiché voleva vedere la figlia solo al di fuori dell'ambiente “protetto”. Diversamente, la figlia si era resa disponibile a parteciparvi e nel corso degli incontri con lo psicologo era emerso un suo malessere fisico e psichico a relazionarsi col padre riconducibile all'approccio eccessivamente critico di quest'ultimo e all'imbarazzo che le provocava la necessità di ottenerne il consenso per svariate questioni, come quelle scolastiche.

Alla luce di ciò, il Tribunale per i Minorenni, accogliendo l'istanza avanzata da parte del Pubblico Ministero incaricato, con decreto del 24 febbraio 2022 statuiva, sul presupposto che ciò non avrebbe ostacolato la ripresa dei rapporti tra padre e figlia: i) la sospensione provvisoria della responsabilità genitoriale del padre; ii) la revoca degli incontri protetti dello stesso con la minore; iii) la prosecuzione del percorso di sostegno psicologico a beneficio della minore, così come della valutazione della famiglia da parte dell'Agenzia di tutela della salute di Campobasso.

Il suddetto provvedimento veniva poi impugnato dal padre che proponeva reclamo avanti alla Corte d'Appello di Campobasso, la quale con  decreto del 18 luglio 2022 rigettava il reclamo richiamando a sostegno di tale decisione la posizione di totale chiusura assunta dal ricorrente rispetto alle modalità di incontro con la propria figlia, nonché le difficoltà manifestate dalla madre e dalla minore nel relazionarsi con lo stesso al fine di assumere le decisioni quotidiane di maggior interesse per la figlia; precisando in ogni caso che tale decisione non avrebbe comunque ostacolato la possibilità del padre di  riallacciare il rapporto con la propria figlia.

Il padre proponeva quindi ricorso per Cassazione avverso il  provvedimento reso dalla Corte d'Appello di Campobasso basandosi su 6 motivi di doglianza: i) violazione dell'art. 135 comma 4 c.p.c. per avere la Corte d'Appello non motivato adeguatamente circa il comportamento assunto dal padre, così come sullo stato di disagio espresso dalla minore; ii) violazione degli articoli 336 e 336-bis c.c. per non avere la Corte argomentato circa la mancata valutazione delle ragioni manifestate dalla curatrice speciale del minore, così come in merito al diritto alla bigenitorialità; iii) violazione degli articoli 316, 337-ter, quater, quinquies e octies per non avere la Corte preservato il diritto alla bigenitorialità della minore; iv) mancata valutazione comparativa degli effetti sulla minore dell'esclusione del padre da ogni decisione in spregio al rispetto del principio della bigenitorialità; v) violazione dell'art. 333 c.c. per avere la Corte disposto la sospensione della responsabilità genitoriale senza la sussistenza dei necessari presupposti; vi)  violazione degli articoli 1 e 8 Conv. Strasburgo, Conv. di New York per non avere la Corte tutelato il diritto reciproco del padre e della figlia a mantenere il rapporto, sulla base di un provvedimento lacunoso e irragionevole.

La questione

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna ad affrontare due tematiche particolarmente dibattute in dottrina e giurisprudenza, una di carattere prettamente processualistico, i.e. la ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti de potestate emessi dal Tribunale per i Minorenni e l’altra di rilievo sostanziale, i.e. la necessità di trovare un giusto bilanciamento tra la sospensione della responsabilità genitoriale ed il rispetto del diritto alla bigenitorialità.

Alla luce delle soluzioni cui si è pervenuti con tale pronuncia viene quindi da chiedersi: i) i decreti camerali emessi dalla Corte D’appello a conclusione di un procedimento che coinvolge un minore hanno natura di sentenza?

ii) i decreti camerali ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale emessi dal Tribunale per i Minorenni, oggetto poi di reclamo in Corte d’Appello, sono ricorribili in Cassazione con il c.d. ricorso straordinario?;

iii) il diritto alla bigenitorialità è un diritto assoluto o può subire delle limitazioni?;

iv) qual è il giusto punto di equilibrio tra il diritto alla bigenitorialità ed i provvedimenti de potestate?.

Le soluzioni giuridiche

Nel diritto di famiglia i provvedimenti che coinvolgono i minori nella maggior parte dei casi sono assunti in camera di consiglio e per questo rivestono la forma del decreto motivato camerale (art. 737 c.p.c.). I più diffusi sono i c.d. provvedimenti de potestate, oggi più correttamente denominati de responsabilitate, vale a dire quei provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale emessi a fronte della necessità d'intervenire a tutela dell'integrità psico-fisica del minore con pronunce di limitazione (art. 333 c.c.) e/o di decadenza (art. 330 c.c.) e, nei casi più gravi e irreversibili, di adottabilità.

Il procedimento relativo a tali violazioni è disciplinato dall'art. 336 c.c. e dalle norme del Codice di procedura civile dedicate ai procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 ss. c.p.c.); la competenza è ripartita, in forza di quanto previsto dall'art. 38 Disp. Att. c.c., tra il Tribunale Ordinario, nel caso in cui sia già pendente un procedimento di risoluzione della crisi familiare, e il Tribunale dei Minorenni.

Soffermando l'attenzione sui provvedimenti camerali emessi dal Tribunale per i Minorenni, in quanto oggetto della sentenza in commento, è opportuno svolgere preliminarmente alcune considerazioni in ordine alla loro natura e ciò al fine di meglio comprendere le ragioni del dibattito insorto circa l'applicabilità del rimedio  sancito dall'art. 111 comma 7 Cost, vale a dire del c.d. ricorso straordinario per Cassazione che per pacifica giurisprudenza è ammesso non solo contro le sentenze, ma anche contro tutti i provvedimenti che hanno natura di sentenza, che possiedono cioè  i caratteri della definitività e della decisorietà.

I decreti camerali si caratterizzano invero per l'assenza di contenuto prettamente decisorio e definitivo, nonché per l'attitudine ad essere modificati in ogni tempo dallo stesso giudice che li ha pronunciati, con effetti ex tunc sia per motivi sopravvenuti che preesistenti.

Tali considerazioni, unitamente al fatto che detti provvedimenti vengono assunti a seguito di procedimenti tradizionalmente definiti di natura volontaria e non contenziosa, hanno indotto la giurisprudenza ad escludere per anni l'ammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d'appello.

Un primo arresto risale al 1986, anno in cui le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sulla questione, hanno sancito la non applicabilità del rimedio di legittimità ai provvedimenti de potestate in quanto non suscettibili di acquisire valenza di giudicato, nemmeno rebus sic stantibus (Cass. Civ., Sez. Un. N. 6220/1986). Tale orientamento di chiusura è rimasto costante per molto tempo (Cass. Civ. 13845/1991, 1026/1995, 11582/2002 e 14091/2009), fin quando nel 2009 la Cassazione si è spinta ad ammettere l'impugnabilità col ricorso ex art. 111 comma 7 Cost. dei provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio (Cass. Civ. 23032/2009; 6132/2015 e 3192/2017; 28998/2018), continuando d'altro canto ad escludere l'esperibilità di tale mezzo di gravame avverso i provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., in quanto ritenuti carenti di contenuto decisorio (Cass. Civ. 14091/2009; 11756/2010 e 8778/2012).

Il tutto fino al radicale revirement avviato nel decennio scorso, caratterizzato da un'interpretazione particolarmente orientata alla tutela effettiva della ratio legis sottesa alla riforma del procedimento ex  art. 336 c.c. (Cass. civ. 18194/2015, Cass. civ. 1746/2016 e 23633/2016) e consacrato ufficialmente da parte delle Sezioni Unite del 2018 (Cass. civ. sez. un. 32359/2018).

Tale cambiamento di vedute affonda le sue radici nella sostanziale modifica alla struttura dei procedimenti de potestate attuata con la l. 154/2013 che, sancendo il diritto all'ascolto del minore, quello alla nomina di un curatore speciale in ipotesi di conflitto di interessi tra figlio e genitori, nonché l'obbligo di difesa tecnica per ciascun soggetto coinvolto nel procedimento, ha attenuato le caratteristiche intrinseche a tale procedimento che ne comportavano il rigido inquadramento tra quelli di natura non contenziosa.

Per tal modo è stato messo in discussione l'automatismo che in passato conduceva a negare contenuto decisorio ai decreti limitativi e/o ablativi della responsabilità genitoriale resi dal Tribunale per i Minorenni, a seguito del riconoscimento da parte della Corte del  carattere di stabilità intrinseco a detti provvedimenti poiché, seppur suscettibili di modifica con effetti ex tunc, il soggetto destinatario finisce inevitabilmente per subire nel mentre gli effetti della decisione, che possono assumere conseguenze catastrofiche nell'ambito delle relazioni familiari con particolare pregiudizio dell'interesse dei minori coinvolti.

La Sezioni Unite del 2018 hanno infatti evidenziato che “…il decreto…in quanto incidente su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale …è idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus: pertanto, dopo che la Corte d'Appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo, il decreto è senz'altro impugnabile con il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. comma 7…” (in tal senso Cass. civ. sez. un 32359/2018; Cass. civ. 1668/2020; Cass. civ. 11786/2021 e Cass. civ. 82/2022).

La giurisprudenza di legittimità è giunta così a riconoscere ufficialmente l'impugnabilità, in conformità a quanto previsto dall'art. 111 comma 7 Cost., dei decreti della Corte d'Appello che, in sede di reclamo, revocano o modificano i provvedimenti de potestate emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. e 739 c.p.c., in forza della considerazione del carattere decisorio e definitivo degli stessi, che sono suscettibili di modifica soltanto se sopraggiungono fatti nuovi e, al pari dei provvedimenti reclamati, si caratterizzano per l'attitudine ad incidere su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale (in tal senso Cass. civ. 14761/2023, Cass. civ. 24866/23, Cass. civ. 18569/2023, Cass. civ. 9707/2023). Qualche rara pronuncia di senso opposto non è mancata, ma sicuramente di scarso impatto (Cass. civ. 2816/2022; Cass. civ. 18149/2018; Cass. civ. 18562/2016).

Venendo all'analisi della pronuncia in esame, dobbiamo osservare come la stessa tragga origine da un provvedimento de potestate del Tribunale dei Minorenni in forza del quale veniva sospesa la responsabilità genitoriale del padre ai sensi dell'art. 333 c.c. e venivano revocati gli incontri protetti tra questi e la figlia.

Orbene, alla luce di quanto sin ora esposto è opportuno evidenziare che la Corte, nel dichiarare ammissibile il ricorso per Cassazione proposto, richiama a sostegno di tale conclusione delle motivazioni contenute in una pronuncia – la Cass. civ. n. 24226/2023 – che si discosta dall'oggetto del nostro case study, in quanto volta ad affermare la ricorribilità per Cassazione di quei provvedimenti emessi, ai sensi dell'art. 337 ter e 337 quinquies, in tema di affidamento dei figli minori.

Questo richiamo permette di aggiungere un ulteriore tassello a quanto sino ad ora esposto circa la ricorribilità per Cassazione ex art. 111 comma 7, all'esito dell'appello o del reclamo, di quei provvedimenti che attengono all'affidamento e al mantenimento dei figli minori (Cass. civ. sez. un. n. 30903/2022, Cass. Civ. n. 20204/2018) pur se tesi unicamente a disciplinare le modalità di visita e di frequentazione dei  genitori, poiché il non prevedere tale possibilità si risolverebbe “…nella negazione  della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare che, sancito dall'art. 8 CEDU, è leso da quelle statuizioni che, adottate in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità…” (in tal senso Cass. civ n. 24226/2023).

Ed è proprio la lesione del principio di bigenitorialità che ha portato gli Ermellini a ritenere fondati il secondo, terzo, quinto e sesto motivo del ricorso ex art. 111 Cost. oggetto di analisi e con i quali, in sostanza, il ricorrente-padre lamentava l'illegittimità del decreto di sospensione della responsabilità genitoriale e la conseguente lesione del suo diritto di frequentazione e visita nei confronti della figlia e, più in generale, la violazione del diritto alla bigenitorialità.

In estrema sintesi giova ricordare che, secondo l'ormai unanime orientamento della Corte di Cassazione, il diritto alla bigenitorialità ha come finalità principale quella di “garantire al minore una stabile consuetudine di vita e delle salde relazioni affettive con entrambi i genitori, che dovranno a loro volta cooperare nell'assistenza, educazione e istruzione dei figli” (tra le altre Cass. civ. n. 16125/2020, Cass. civ. n. 9143/2020, Cass. civ. 9691/2022).

In altre parole, il fine a cui tende il principio in esame è il raggiungimento del c.d. best interest of the child, che dovrebbe permeare ogni singola e distinta fattispecie nella quale l'interesse, appunto, del minore possa risultare compromesso delle distorsioni derivanti dalle situazioni conflittuali esistenti tra i genitori.

Ed è proprio in situazioni come quelle sottoposte alla S.C. nel caso in esame che la discrezionalità di cui gode il giudice nella scelta dei provvedimenti da adottare per la regolamentazione dei rapporti che intercorrono tra figli e genitori trova un evidente limite nella realizzazione del superiore interesse del minore, inteso anche come concreta attuazione del principio di bigenitorialità.

Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, spesso chiamata a valutare la sussistenza della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, si è in diverse occasioni espressa nel senso testé prospettato, non senza essersi curata di precisare che, quanto ai limiti di ingerenza dell'autorità, ai sensi dell'art. 8 CEDU per poter qualificare come legittima l'intromissione nella sfera personale di un soggetto, essa deve essere prevista dalla legge, deve soddisfare specifiche condizioni e/o essere volta a tutelare principi inviolabili di un ordinamento.

La Corte ha altresì affermato che, sebbene rientri nei poteri dello Stato e dunque dei giudici, la facoltà di intervenire con le modalità ritenute più consone nei rapporti genitoriali in circostanze particolarmente delicate, tuttavia i legami familiari con i minori possono essere sciolti solamente in presenza di situazioni del tutto eccezionali e questo proprio in virtù della tutela del best interest of the child.

Per tale ragione, qualsiasi domanda avanzata da un genitore in sede giudiziale e che si ponga anche solo potenzialmente in contrasto con questo interesse, per essere valutata ed eventualmente accolta, deve essere adeguatamente supportata da comportamenti, atti o omissioni oggettive adeguatamente provati dalla parte, onde prevenire e comunque evitare il pericolo che il rapporto tra un genitore ed il figlio in tenera età possa essere compromesso e addirittura troncato (Corte EDU 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Corte EDU 4 maggio 2017 Improta c. Italia Corte EDU 9.2.2017 Solarino c. Italia).

Proprio per tale motivo, il giudice è chiamato e tenuto a valutare adeguatamente le prove fornite dalla parte richiedente al fine di motivare compiutamente nel proprio provvedimento la scelta di limitare e/o escludere il diritto alla bigenitorialità, poiché dalla stessa potrebbe derivare un ineludibile pregiudizio per la crescita e la stabilità del minore (cfr. Cass. civ. n. 13217/2021 e Cass. civ. n. 9691/2022).

Pertanto, pur riconoscendo agli organi giudicanti ampia libertà in materia in affidamento di minori, è però necessario, oltre che doveroso, verificare la legittimità e congruità delle c.d. “restrizioni supplementari”, cioè gli interventi incisivi sul diritto di visita, rispetto all'integrità del diritto dei genitori e dei figli alla propria vita familiare (Cass. civ. 24683/2013, Cass. civ. 12954/2018 e Cass. civ. 9764/2019).

Nella considerazione del carattere “bifronte” del diritto alla bigenitorialità rivolto a ciascun genitore da un lato e al figlio dall'altro lato e con l'intento di rendere realmente attuabile questo principio, l'ago della bilancia potrebbe essere rappresentato proprio dal “miglior interesse per il minore” per cui acquista un rango superiore il diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata con entrambe le figure genitoriali, proprio per evitare l'adozione di misure abnormi che possono potenzialmente creare danni maggiori di quelli che intende prevenire (Cass. civ. 9691/2022).

Sulla scorta di tali osservazioni, la sentenza in esame non ha ritenuto fondato il provvedimento, confermato dalla Corte d'appello di Campobasso, di sospensione della responsabilità genitoriale poiché basato solo sul rifiuto del padre a partecipare agli incontri protetti e sul malessere manifestato dalla figlia circa alcuni comportamenti, comunque non scorretti, del proprio genitore, senza avere adeguatamente valutato il diritto  del minore ad avere rapporti col padre e il diritto di quest'ultimo a recuperare  i rapporti con la propria figlia.

Osservazioni

A sommesso parere di chi scrive, i provvedimenti camerali sulla responsabilità genitoriale emessi dagli organi a ciò preposti si caratterizzano per una certa lacunosità e approssimazione, nonostante la delicatezza degli interessi in gioco e gli effetti devastanti che possono avere rispetto a relazioni familiari già di per sé stesse compromesse.

Nel caso di specie, in particolare, i provvedimenti camerali de potestate assunti dagli organi di Campobasso suscitano notevoli perplessità stante la leggerezza con cui gli organi giudicanti hanno disposto la sospensione della responsabilità di un padre solo perché, riportandoci ovviamente a quanto viene massimato, si era rifiutato di partecipare agli incontri protetti e la minore manifestava di provare ansia nei momenti di incontro e confronto in tale contesto col proprio genitore. Scelta apparentemente fondata unicamente sull'improbabile constatazione che un provvedimento così pesante, aggravato dalla revoca degli incontri protetti, non avrebbe ostacolato la ripresa del rapporto tra padre e figlia.

Fermo restando che la condotta parentale sottostante a qualsiasi provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale che colpisca direttamente un genitore non rileva in sé e per sé, ma solo in quanto fonte di probabile pregiudizio per il figlio, è pur vero che le indagini che hanno condotto all'assunzione di simili decisioni debbano essere svolte concretamente e dettagliatamente  e che le valutazioni che ne sono conseguite debbano essere basate su prove certe al duplice fine di perseguire, da un lato, il principio guida del superiore interesse del minore e garantire, dall'altro lato il diritto alla bigenitorialità, inteso come diritto per il figlio ad avere entrambi i genitori e per gli stessi ad esserlo e ad essere messi nelle condizioni di esercitare la propria funzione.

Come giustamente delibato dalla S.C. nella sentenza oggetto del nostro studio, un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale basato su indagini sommarie e considerazioni poco pertinenti, come accaduto nel caso di specie, non può che essere considerato poco rispettoso della vita familiare ed atto a causare effetti devastanti.

Proprio queste valutazioni hanno condotto la giurisprudenza ad ammettere, ormai pacificamente, l'impugnazione in Cassazione per violazione di legge anche per i provvedimenti limitativi e/o ablativi della responsabilità genitoriale e ciò a prescindere dalla qualifica, ordinaria o specializzata, dell'ufficio giudiziario che pronuncia, della natura, ordinaria o camerale, del rito che viene seguito e, infine, dal rilievo che la decisione assunta rivesta carattere definitivo o provvisorio.

La definitiva risposta a questa problematica è stata fornita dalla Riforma Cartabia che, all'art. 473-bis 24 c.p.c. ha previsto contro le ordinanze di reclamo il ricorso in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.  a patto che le stesse, anche mediante conferma dell'ordinanza impugnata: i) sospendano o prevedano limitazioni alla responsabilità genitoriale; ii) prevedano modifiche all'affidamento e al collocamento dei minori; iii) affidino i minori a soggetti diversi dai genitori.

Riferimenti

S. Tarricone, Ammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione contro i provvedimenti camerali sulla responsabilità genitoriale, in Riv. dir. proc., 2020, 2, 899 ss.;

B. Agostinelli, Decadenza dalla responsabilità genitoriale- la pas, la bigenitorialità e i limiti intrinseci di un diritto “bifronte”, in Giur. It, 2022, 12, 2629 ss.;

V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 2, 405;

AA.VV, Codice della Famiglia, diretto da Fabrizio di Marzio, Giuffè, 2022.

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