Decreto Legge - 18/10/2012 - n. 179 art. 16 sexies - Domicilio digitale 1Domicilio digitale 1
1. Fatto salvo quanto previsto dal codice di procedura civile e dalle relative disposizioni per l'attuazione, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all' articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 , nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.2 [1] Articolo inserito dall'articolo 52, comma 1, lettera b) del D.L. 24 giugno 2014, n 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114. [2] Comma modificato dall'articolo 20, comma 1, del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 , con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197 e successivamente dall'articolo 6, comma 9, lettera b), del D.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, con applicazione ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Il domicilio digitale del difensoreLa norma in parola introduce il concetto di domicilio digitale all'interno del nostro ordinamento processuale civile e lo fa non con una ricostruzione positiva della fattispecie, ma occupandosi delle conseguenze negative legate all'impossibilità di utilizzare l'indirizzo PEC del difensore della parte. A rafforzare la portata applicativa della norma in questione aiuta ora anche l'art. 16, comma 7, decreto legge n. 185 del 2008, il quale prevede che i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato devono comunicare ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo domicilio digitale di cui all'articolo 1, comma 1, lettera n-ter del decreto-legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Detto indirizzo viene poi comunicato ai pubblici registri menzionati dall'art. 16-ter d.l. n. 179 del 2012, ovvero il registro generale degli indirizzi elettronici (REGINDE) e l'indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti (INI-PEC), cosicché le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, possono essere eseguite presso l'indirizzo di posta elettronica certificata estratto indistintamente dall'uno o dall'altro registro (Cass. civ. n. 2460/2021 — si era registrata qualche isolata pronuncia di segno contrario, ad esempio Cass. civ. n. 12345/2021 che aveva teorizzato una prevalenza del REGINDE sull'INI-PEC, che tuttavia non ha avuto seguito in giurisprudenza anche perché basata su presupposti chiaramente errati). Il mancato adempimento agli obblighi di comunicazione è espressamente sanzionato, posto che, ai sensi del successivo comma 7-bis, il professionista che non comunica il proprio domicilio digitale all'albo o elenco di cui al comma 7 è obbligatoriamente soggetto a diffida ad adempiere, entro trenta giorni, da parte del Collegio o Ordine di appartenenza. In caso di mancata ottemperanza alla diffida, il Collegio o Ordine di appartenenza applica la sanzione della sospensione dal relativo albo o elenco fino alla comunicazione dello stesso domicilio. Dall'articolato normativo preso in esame discende dunque chiaramente che oggi l'unico indirizzo PEC rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza (c.d. domicilio digitale). Inoltre, il difensore non ha più l'obbligo di indicare tale indirizzo nell'atto di parte, dovendo indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale, valendo questo come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID (Cass. civ. n. 3685/2021); conseguentemente, essendo intervenuta l'istituzione del domicilio digitale, è quello l'unico punto di riferimento per l'invio delle comunicazioni di cancelleria (Cass. civ. n. 8262/2021). Non deve dunque ritenersi più possibile indicare un indirizzo differente per la ricezione delle comunicazioni, come ad esempio quello di un avvocato diverso da quello esercente il patrocinio (si era invece espressa in senso favorevole, con riferimento però a fattispecie non ricadenti sotto l'applicazione della normativa attualmente in vigore, Cass. civ. n. 4920/2021). A seguito dell'istituzione del domicilio digitale, le notificazioni indirizzate alla parte devono essere eseguite con preferenza presso quest'ultimo, rispetto ad altre forme di domiciliazione previste dall'ordinamento (Cass. civ. n. 10186/2021). L'importanza del domicilio digitale fa sì che l'avvocato sia inoltre onerato della gestione della propria utenza e abbia il dovere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni inviategli, per cui la mancata ricezione della notifica per riempimento della casella costituisce circostanza a lui imputabile (Cass. civ. n. 26810/2022). Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nel commento all'art. 125 c.p.c., a oggi non è più obbligatorio inserire il proprio indirizzo PEC all'interno del primo atto difensivo del giudizio ma, al di là di questa recente innovazione — dipesa dalla volontà del legislatore di rendere “unico indirizzo PEC ufficiale” quello censito nei pubblici registri — la giurisprudenza ha comunque avuto modo di analizzare il concetto di domicilio digitale, soprattutto in rapporto al disposto dell'art. 82 R.D. n. 37 del 1934. L'articolo testé richiamato, che come è noto non è mai stato realmente ed ufficialmente abrogato, prevede a tutt'oggi l'obbligatorietà, per tutti i difensori che esercitino il loro Ufficio al di fuori della circoscrizione del Tribunale alla quale sono assegnati, di eleggere domicilio nella circoscrizione ove ha sede l'Autorità Giudiziaria adita. Orbene, secondo detta norma, quindi, l'avvocato sarebbe virtualmente tenuto ad eleggere comunque domicilio presso un collega del foro ove si agisce, pur essendo in possesso di un indirizzo di Posta Elettronica Certificata. Di tale apparente contrasto normativo si sono occupate le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 10143/2012, con la quale è stato espresso il seguente principio di diritto: « Il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 che prevede che gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all'atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, e che in mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria — trova applicazione in ogni caso di esercizio dell'attività forense fuori dalla circoscrizione cui l'avvocato è assegnato per essere iscritto al relativo ordine professionale del circondario e quindi anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d'appello e l'avvocato risulti essere iscritto ad un ordine professionale di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d'appello, ancorché appartenente allo stesso distretto della medesima corte d'appello. Tuttavia, dopo l'entrata in vigore delle modifiche degli artt. 366 e 125 c.p.c., apportate rispettivamente dalla l. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, comma 1, lett. i), n. 1), e dallo stesso art. 25, comma 1, lett. a), quest'ultimo modificativo a sua volta del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35-ter, lett. a), conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, e nel mutato contesto normativo che prevede ora in generale l'obbligo per il difensore di indicare, negli atti di parte, l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, si ha che dalla mancata osservanza dell'onere di elezione di domicilio di cui all'art. 82 per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati consegue la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio solo se il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 c.p.c., non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine ». Interpretando la sentenza de qua alla luce della recente riforma dell'art. 125 c.p.c, nonché della norma in commento, quindi, pur mancando una vera e propria elezione di domicilio — ex art. 82 R.D. n. 37/1934 — nel circondario del Tribunale ove si agisce o si resiste in giudizio, la notificazione in cancelleria sarà possibile unicamente qualora « non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia ». Tale interpretazione è stata recentemente fatta propria anche dalla Corte di Cassazione, la quale, con numerose pronunce (si vedano per tutte: Cass. civ., n. 30139/2017; Cass. civ., n. 14914/2018; Cass. civ., n. 14140/2019), ha dichiarato l'impossibilità di procedere alla notificazione in cancelleria in presenza di un indirizzo PEC valido e funzionante in capo al difensore notificato, ciò anche in mancanza di espressa indicazione di tale indirizzo PEC all'interno del primo atto difensivo di parte. In particolare, con l'ordinanza n. 14140/2019, gli Ermellini hanno precisato che: “in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell'introduzione ex art. 16 cit. del “domicilio digitale” (corrispondente all'indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza), non è più possibile procedere — ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 — alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui il medesimo ufficio ha sede, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario”. Oltre a ciò, la Suprema Corte ha tenuto poi a sottolineare come “è da considerare nulla la notificazione della sentenza [omissis] presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite”, essendo stata — tale notificazione — effettuata in violazione dell'articolo ora in commento. Sul punto, poi, la pronuncia n. 30139/2017 fa ancora maggior chiarezza, ritenendo “che la notificazione dell'appello effettuata direttamente (ed esclusivamente) presso la cancelleria del Giudice di pace [omissis] è affetta da nullità, ma non già da inesistenza, essendo quest'ultima configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, tra cui, in particolare, i vizi relativi all'individuazione del luogo di esecuzione, nella categoria della nullità (cfr. Cass., sez. un., n. 14916/2016 e Cass. n. 21865/2016)”. Chiaro appare come, pur non potendosi parlare di inesistenza, anche la mera nullità della notificazione sarà idonea a caducare gli effetti della notificazione effettuata in cancelleria ciò, logicamente, a meno che tale notifica non abbia poi effettivamente raggiunto il proprio scopo, qualora — ad esempio — il difensore notificato abbia comunque preso visione e cognizione dell'atto pervenuto alla cancelleria. Egualmente interessante, poi, è da considerarsi la pronuncia della medesima Corte n. 14914/2018 che, in tema di mancata indicazione dell'indirizzo PEC nel primo atto difensivo (prescrizione che, lo si ricorda, non è più vigente a seguito della modificazione dell'art. 125 c.p.c.) stabilisce: “la prescrizione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, prescinde dalla stessa indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell'indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l'indirizzo p.e.c. del difensore, stante l'obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell'ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE; la norma in esame, dunque, non solo depotenzia la portata dell'elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia (ad es., per mutamento di indirizzo non comunicato) non consentirà, pertanto, la notificazione dell'atto in cancelleria, ma la imporrà pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario (salvo l'impossibilità per causa al medesimo imputabile), ma, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche il R.D. n. 37 del 1934, art. 82, posto che, stante l'obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, potrà avere un rilievo unicamente in caso, per l'appunto, di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell'ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria” Si precisa infine che, come stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia 23 luglio 2018, n. 19526, i principi testé richiamati trovano applicazione anche nei procedimenti disciplinari instaurati presso i competenti organismi forensi: “a seguito dell'introduzione del domicilio digitale, corrispondente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza, previsto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, non è più possibile effettuare le comunicazioni o le notificazioni presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario procedente (se munito di PEC, nella specie giurisdizionale(at)pec.cnf.it), anche se l'avvocato destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest'ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass., 11 luglio 2017, n. 17048 e 15 settembre 2017, n. 21519; conf. Cass., sez. un., 31 maggio 2016, n. 11383). Tale principio di diritto, enunciato riguardo al processo civile, va esteso al processo dinanzi al Consiglio nazionale forense, al quale si applicano norme e principi del codice di rito civile (art. 37, legge n. 247/2012; conf. Cass. sez. un., 26 luglio 2004, n. 13975), i quali, invece, unicamente per il giudizio di cassazione (art. 366 c.p.c., comma 2; D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies) prescrivono che, in mancanza di espresse indicazioni, le notificazioni devono essere effettuate in cancelleria (Cass., 05/10/2017, n. 23289; conf. Cass., Sez. U., 20/06/2012, n. 10143)”. In ogni caso, con la riforma dell'art. 16-bis d.l. 179 del 2012 l'orientamento ha trovato l'avallo normativo. Obbligatorietà della notificazione via PECSecondo parte della dottrina (Reale) l'art. 16-sexies al d.l. n. 179/2012 introduce e in alcuni casi un vero e proprio obbligo di notifica a mezzo PEC ai sensi della legge n. 53 del 1994, obbligo tale da configurare, ove non osservato e rispettato, responsabilità professionali e deontologiche a carico del professionista. Un esempio pratico, proprio secondo Reale, è la notifica dell'opposizione a precetto al difensore che, non abbia eletto domicilio presso un collega ubicato nella circoscrizione del Giudice adito. In questa ipotesi, l'art. 16-sexies introdotto dal d.l. n. 90/2014, obbliga a notificare l'atto di citazione in opposizione a precetto all'indirizzo PEC del difensore risultante da INIPEC e ReGIndE (pubblici elenchi) e solo se la notifica tramite PEC non andrà a buon fine per causa imputabile al destinatario della stessa, potremo effettuare la (tradizionale) notifica in cancelleria. Tale ipotesi peraltro non appare neppure tanto remota; la Suprema Corte, con sentenza n. 26696 del 28 novembre 2013, del resto, giudicando a proposito del controricorso in Cassazione notificato all'avvocato che non aveva eletto domicilio in Roma pur indicando la PEC ai sensi dell'art. 366 c.p.c. (in fattispecie antecedente all'entrata in vigore del nuovo testo dell'articolo introdotto dalla riforma Cartabia e che prevede il deposito in cancelleria al posto della notificazione) aveva accolto l'eccezione di inammissibilità dell'atto, formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria illustrativa e ribadita in sede di discussione orale, sul rilievo che la notificazione dell'atto era stata effettuata presso la cancelleria della corte, e ciò nonostante che nel ricorso fosse indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata. Infatti, rilevava la Corte « ai sensi dell'art. 370 c.p.c., « la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso » (comma 1) e « al controricorso si applicano le norme degli artt. 365 e 366, in quanto è possibile (comma 2) ». Proprio in relazione a tale disposizione evidenzia la Corte come « la possibilità della notificazione di atti presso la cancelleria della Corte di cassazione sia subordinata alla duplice condizione della mancata elezione di domicilio in Roma da parte del ricorrente e della mancata indicazione, sempre da parte del ricorrente, dell'indirizzo di posta elettronica certificata; e, solo ove questo requisito sussista, si deve ritenere che invece il destinatario della notificazione del ricorso che intenda a sua volta notificare il controricorso non possa avvalersi della notificazione presso la cancelleria della Corte, essendo egli tenuto ad eseguire la notificazione in forma telematica ». Nel regime previgente la riforma Cartabia ne conseguiva che, il controricorso, notificato presso la cancelleria della Corte sull'erroneo presupposto della sussistenza dei concorrenti requisiti della mancanza di elezione di domicilio e della omessa indicazione della posta elettronica certificata da parte della ricorrente, va dichiarato inammissibile. Si evidenzia tuttavia anche un risalente orientamento della Corte di cassazione che, pur riferendosi alla precedente formulazione dell'articolo 366 c.p.c., sanciva che non può essere dichiarata la nullità della notifica se questa, benché non effettuata nel luogo predetto, abbia raggiunto ugualmente il suo scopo, che è quello di portare l'atto a conoscenza del ricorrente (cfr. Cass. civ. sez. II, 17 gennaio 2003, n. 617). Ne consegue che, se è pur vero che nei casi sopraesposti sussista un vero e proprio onere di notifica a mezzo PEC degli atti che si consiglia di rispettare, ove mai la notifica fosse effettuata presso lo studio del difensore, finanche fuori distretto, la stessa raggiungerebbe comunque lo scopo. La notificazione via PEC al procuratore costituito in caso di elezione di domicilioIn dottrina ci si è chiesti quali possano essere le conseguenze di una notifica a mezzo PEC effettuata al procuratore costituito che opera fuori distretto e non anche all'indirizzo fisico o alla PEC dell'avvocato presso il quale è stato eletto domicilio; ed in particolare, se tale notificazione possa ritenersi valida ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare. Posto che — come detto nel paragrafo precedente — a tutt'oggi sussiste un vero e proprio domicilio digitale dell'Avvocato, per il caso di notificazione di atto di impugnazione, l'art. 330 c.p.c., nella versione precedente alle previsioni del cd. correttivo Cartabia (d. lgs. n. 164 del 2024), in tema di luogo della notificazione dell'impugnazione prevedeva che « se nell'atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del Giudice che l'ha pronunciata, l'impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell'art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio ». Detto articolo, quindi, pone la regola in forza della quale se la parte che ha notificato la sentenza ha anche indicato, all'atto della notificazione la propria residenza o ha eletto il domicilio nella circoscrizione del giudice che ha pronunciato la decisione, la notificazione dell'impugnazione deve essere eseguita alla parte personalmente in via esclusiva nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto. Il primo dei luoghi di notificazione dell'impugnazione indicato dalla norma in commento (presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto nella circoscrizione del giudice che ha pronunciato la sentenza) ha carattere esclusivo. Il correttivo Cartabia ha però profondamente modificato il primo comma dell'art. 330 c.p.c., prevedendo che "se nell'atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata o ha indicato un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o eletto un domicilio digitale speciale, l'impugnazione deve essere notificata nel luogo o all'indirizzo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell'articolo 170, presso il procuratore costituito o all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o al domicilio digitale speciale indicato per il giudizio oppure, in mancanza, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio". Si è così introdotta la possibilità che la parte indichi un proprio indirizzo PEC per ricevere una notificazione telematica personale e che, invece, nel caso di notificazione al procuratore costituito, si debba verificare se l'avvocato abbia eletto, per un determinato giudizio, un domicilio speciale ai sensi dell'art. 3-bis, comma 4-quinquies, del Codice dell'Amministrazione Digitale; verificandosi tale ipotesi, infatti, anche detto domicilio digitale potrà essere utilizzato per la notifica telematica dell'impugnazione. Per il caso, invece, della notificazione della sentenza di primo grado effettuata via PEC, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare , al difensore della parte costituita e non invece presso il domicilio eletto e dichiarato nell'atto introduttivo del giudizio, la questione deve essere analizzata alla luce del combinato disposto degli artt. 285 e 170 c.p.c., nonché dell'art. 82 R.D. n. 37/1934. Mentre, infatti, l'art. 170 c.p.c. — espressamente richiamato dall'art. 285 c.p.c. — prescrive che la notificazione sia effettuata al procuratore costituito, dall'altro l'art. 82 R.D. n. 37/1934 prevede l'espresso obbligo per l'avvocato che eserciti il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale di eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso. A questo punto, quindi, dobbiamo necessariamente domandarci se la notificazione via PEC, in virtù dell'istituzione del domicilio digitale, possa indifferentemente ritenersi valida se effettuata all'indirizzo di Posta Elettronica Certificata del procuratore costituito o a quello dell'eventuale domiciliatario. Presupponendo, per quanto sopra detto, che la notificazione effettuata ad un indirizzo PEC censito in uno dei pubblici registri previsti dalla normativa di riferimento, equivalga alla classica notificazione effettuata presso l'indirizzo fisico del medesimo professionista, potremo allora fare riferimento al principio espresso con la sentenza n. 2133/2016 della Corte di cassazione, per il quale « ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito — ancorché eseguita nel luogo ove questi deve considerarsi elettivamente domiciliato a norma dell'art. 82 R.D. n. 37/1934, — deve considerarsi equivalente alla notifica al procuratore stesso ai sensi degli artt. 170 e 285 c.p.c., soddisfacendo, l'una e l'altra forma di notificazione, l'esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della persona professionalmente qualificata ad esprimere un parere tecnico sulla convenienza e l'opportunità della proposizione del gravame ». Con tale pronuncia, quindi, i Giudici della Corte hanno ribadito il principio già espresso con il provvedimento n. 11257/2005, ossia, quello dell'alternatività della notificazione al procuratore costituito rispetto a quella effettuata presso il procuratore domiciliatario, essendo entrambe le forme di notificazione idonee ad assicurare che il provvedimento notificato sia portato a conoscenza della parte. Anche tale questione deve ritenersi superata, per i procedimenti instaurati a decorrere dal 1° marzo 2023, visto l'obbligo di notifica a mezzo PEC. Tuttavia, deve segnalarsi una pronuncia di segno contrario (cfr. Cass. civ., 22 agosto 2018, n. 20946) con cui la suprema Corte ha dichiarato giuridicamente inesistente la notificazione effettuata via PEC all'avvocato presso il quale la parte (o il suo difensore) non abbia eletto il domicilio digitale. La Suprema Corte si è domandata se la notificazione telematica del decreto del Tribunale fosse rispettosa delle norme vigenti in materia e, dunque, idonea (o meno) a far decorrere il termine decadale di legge ai fini della proposizione del reclamo; la strada seguita è stata quella di accogliere le doglianze del ricorrente, affermando che, in nessuno degli atti difensivi risultava eletto domicilio digitale presso l'avvocato domiciliatario fisico che aveva ricevuto la notifica in questione e nemmeno l'indirizzo PEC dello stesso. Si è conseguentemente affermato che il domiciliatario “fisico” non è mai, in mancanza di elezione di domicilio digitale presso di sé, abilitato a ricevere — e tantomeno ad eseguire — notificazioni telematiche, una siffatta legittimazione spettando in via esclusiva al difensore munito di procura ad litem. La Corte ha dunque dichiarato l'inesistenza della notificazione operata nella fattispecie, in applicazione analogica del principio dettato da Cass. civ., sez. VI-1, 12 ottobre 2015, n. 20468, a proposito del difensore non iscritto all'albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle corti superiori, che abbia sottoscritto e notificato un ricorso per cassazione (ad identica conclusione è giunta Cass. civ., sez. II, sent., 10 gennaio 2011, n. 357, relativamente alla notifica postale eseguita dal mero domiciliatario ai sensi della l. n. 53/1994). Va peraltro detto che la questione pare ormai aver perso rilevanza pratica in virtù del fatto che, con l'introduzione del processo telematico e con la enorme diminuzione delle udienze in presenza, la figura dell'avvocato domiciliatario è quasi del tutto scomparsa. La responsabilità dell'avvocato nella gestione degli strumenti informaticiPosto che la notificazione in cancelleria, come evidenziato nei paragrafi precedenti, sarà possibile unicamente in caso di mancato funzionamento — per causa imputabile al difensore notificato — della propria casella di Posta Elettronica Certificata, giova sottolineare come la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 13532/2019, abbia sancito l'onere, per il professionista, di verificare costantemente il corretto funzionamento dei propri strumenti digitali di lavoro e, in particolare, proprio della PEC. Con tale assunto, la Suprema Corte ha chiarito che “la notifica a mezzo PEC L. n. 53 del 1994, ex art. 3-biscit. di un atto del processo — formato fin dall'inizio in forma di documento informatico ad un legale, implica, purché soddisfi e rispetti i requisiti tecnici previsti dalla normativa vigente, l'onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l'allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l'onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l'esercizio della professione (Cass. 25 settembre 2017 n. 22320). In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che tale saturazione configuri un impedimento non imputabile al difensore al fine di legittimare la richiesta di rimessione in termini per la notifica di un atto (Cass. 12 novembre 2018 n. 28864, in motivazione). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall'ufficio giudiziario l'abilitazione all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l'avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass. 2 luglio 2014 n. 15070)”. Gli Ermellini, con la pronuncia in esame, hanno quindi sancito un vero e proprio onere di verifica, aggiornamento e controllo degli strumenti informatici in capo al professionista legale, onere che — se non rispettato — potrebbe condurre a conseguenze processuali molto gravi, con logici strascichi di natura risarcitoria. Ancora recentemente si è del resto affermato che l'eventuale mancata conoscenza dell'atto notificato da parte del difensore destinatario della notificazione, dovuta ad eventuali malfunzionamenti del sistema, va imputata alla mancanza di diligenza del difensore stesso, il quale, nell'adempimento del proprio mandato, è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici (Cass. civ. n. 6912/2022). |