Un nuovo termine per l’attuazione delle condotte riparatorie nel processo penale davanti al giudice di pace

25 Marzo 2024

Con la sentenza n. 45 del 2024 la Corte costituzionale ha accolto la questione sollevata dal giudice di pace di Forlì, dichiarando l'irragionevolezza della previsione contenuta nell'art. 35, comma 1, d.lgs. n. 274/2000, «nella parte in cui stabilisce che, al fine dell'estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate ‘prima dell'udienza di comparizione', anziché ‘prima della dichiarazione di apertura del dibattimento' di cui all'art. 29, comma 7, del medesimo decreto legislativo».

La questione

Nel corso di un processo davanti al giudice di pace di Forlì, nei confronti di una persona imputata del reato di percosse  (art. 581 c.p.), in ragione delle trattative già pendenti tra le parti, è stata presentata dal difensore dell'imputato istanza di definizione del giudizio ex art. 35 d.lgs. n. 274/2000, con la riserva di formulare l'offerta risarcitoria. Prima della valutazione sull'adeguatezza di tale offerta, il giudice ha osservato che l'iniziativa risultava comunque  tardiva  perché formulata nel corso dell'udienza di comparizione, anziché prima; a fronte di ciò, il difensore dell'imputato ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 35 d.lgs. n. 274/2000, per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che l'offerta risarcitoria possa essere effettuata fino al momento dell'apertura del dibattimento. Il giudice di pace, in accoglimento di tale eccezione, ha sollevato la relativa questione di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, d.lgs. n. 274/2000  (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), «nella parte in cui stabilisce che, al fine dell'estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate «prima dell'udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento» di cui all'art. 29, comma 7, del medesimo decreto legislativo” ».

L'inquadramento sistematico della vicenda

Va opportunamente segnalato che il rimettente, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale,  ha ricondotto un duplice vulnus alla disciplina censurata. In primo luogo, l'art. 35 d.lgs. n. 274/2000, nello stabilire che l'imputato debba dimostrare di aver proceduto alla condotta riparatoria prima dell'udienza di comparizione, determinerebbe la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento tra colui che deve essere giudicato per la commissione di un reato rientrante nella competenza del giudice di pace e l'imputato che provveda alla riparazione del danno cagionato per effetto di un reato attribuito alla competenza del tribunale. Come è noto, in tale ultimo caso, l'analogo istituto di cui all'art. 162-ter c.p., per i reati di competenza del tribunale, consente di accedere alla dichiarazione di estinzione del reato se l'imputato abbia interamente riparato il danno entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Nonostante la evidente similitudine tra i due istituti, soltanto l'art. 35 d.lgs. n. 274/2000 impone l'anteriorità della riparazione del danno rispetto all'udienza di comparizione, mentre nei giudizi innanzi al tribunale il termine massimo per la condotta riparatoria è quello successivo della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Si coglie, poi, un altro  deficit  sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina contestata, poiché la previsione dello sbarramento anticipato sarebbe di per sé irragionevole, in quanto in contrasto con la  ratio  del processo innanzi al giudice di pace, il quale risponde in via prioritaria a logiche conciliative, proprio per la minore gravità dei reati trattati.

In via preliminare, la Corte Costituzionale ha ritenuto rilevante la questione, atteso che la valutazione dell'adeguatezza, o meno, dell'offerta è logicamente successiva a quella dell'operatività del termine in esame.

Dopo aver inquadrato nel sistema la disciplina censurata, nel più ampio panorama degli interventi legislativi volti a rendere operative iniziative riparative in relazione all'accertamento di fatti penalmente rilevanti, la Corte ha evidenziato come «l'istituto previsto nel processo innanzi al giudice di pace ha conservato la sua peculiarità in ragione della finalità di favorire la deflazione del carico giudiziario, coniugata all'esigenza di verifica che la condotta riparatoria sia anche idonea a soddisfare le ‘esigenze di riprovazione del reato' e ‘quelle di prevenzione'».

In altri termini, la Corte ha voluto premettere, in vista del controllo di legittimità, che la disciplina in esame ha  attribuito al giudice di pace tanto il potere di sindacare la congruità e idoneità della condotta riparatoria  rispetto al fatto valutato nella sua globalità e alla personalità dell'imputato, quanto di valutare se gli adempimenti risarcitori e riparatori soddisfino le  esigenze di riprovazione e prevenzione del reato.

A tale constatazione, si è aggiunta quella volta a cogliere anche la finalità di alleggerimento del carico giudiziario connessa alla previsione in esame, posto che la causa estintiva si applica a tutti i reati di competenza del giudice di pace, di cui all'art. 4 d.lgs. n. 274/2000, tra i quali sono ricompresi oltre i delitti procedibili a querela, anche quelli azionabili di ufficio e i reati contravvenzionali.

Soffermatasi sul confronto tra le previsioni indicate dal rimettente per motivare la questione di legittimità, la Corte ha sottolineato come  l'indiscutibile disallineamento quanto al dies ad quem per perfezionare le condotte riparatorie tra l'art. 35 d.lgs. n. 274/2000 (innanzi al giudice di pace) e l'art. 162-ter c.p. (innanzi al giudice ordinario) si ricompone parzialmente in ordine alla concessione di una “sorta di termine di grazia” ove, per entrambe le ipotesi, l'imputato dimostri di non aver potuto provvedere all'adempimento.

Dall'inquadramento del complessivo contesto normativo, la Corte ha dedotto la fondatezza della questione di legittimità costituzionale,  sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza.

Punto centrale è rappresentato dalle  peculiarità del processo penale innanzi al giudice di pace. La scelta del legislatore, anche in ragione della minore gravità dei fatti oggetto di accertamento, risiede «in un  approccio duttile che non è quello della necessaria applicazione della pena come inesorabile conseguenza del reato: i comportamenti illeciti addebitati all'imputato chiamano in gioco l'attività di mediazione del giudice e, ancor prima, possono essere valutati alla luce degli specifici istituti di mitigazione della risposta sanzionatoria: quello della esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274/2000) e quello dell'estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 35, in esame)».

Costituisce, poi, prescrizione generale quella secondo la quale il giudice di pace deve favorire, nel corso del procedimento e per quanto possibile, la conciliazione tra le parti (art. 2, comma 2, d.lgs. n. 274/2000).

Dopo aver ricordato i precedenti interventi ove la Corte ha evidenziato le peculiarità del rito davanti al giudice di pace in ragione della ridotta gravità dei reati di sua competenza, espressivi di conflitti interpersonali a carattere privato, e del procedimento che innanzi a lui si svolge, improntato a finalità di snellezza, semplificazione e rapidità, la Corte ha affermato che proprio la «marcata esigenza di favorire, per il tramite dell'attività di mediazione del giudice, la conciliazione tra le parti, anche e soprattutto mediante le condotte riparatorie dell'imputato, mostra la incoerenza del termine finale, previsto dalla disposizione censurata, per porre in essere e perfezionare tali condotte; termine che scade prima che l'imputato compaia innanzi al giudice stesso».

Le conclusioni della Corte

Per la Corte è palese il cortocircuito prodotto dalla disciplina censurata laddove fissa un termine perentorio irragionevole.

Proprio il termine anteriore all'udienza di comparizione «frustra la stessa funzione del giudice non consentendogli di avviare le parti, imputato e persona offesa, ad un accordo sull'entità della riparazione del danno e delle restituzioni e sulle modalità di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato», obiettivo che si imporrebbe alla luce del principio generale di cui all'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 274/2000.

Altresì questo termine costituisce «un fattore di irragionevolezza in una sequenza procedimentale che dovrebbe, invece, favorire, proprio nell'udienza di comparizione, ‘ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice' (ordinanza n. 11 del 2004), la conciliazione, della quale la condotta riparatoria rappresenta una modalità di attuazione». Ne consegue che «l'attività conciliativa e di mediazione del giudice di pace è irragionevolmente pregiudicata dalla previsione di un termine perentorio scaduto prima dell'udienza di comparizione».

Il differimento del termine alla dichiarazione di apertura del dibattimento consentirebbe pure di “realizzare in modo più ampio la finalità deflattiva, con evidente risparmio di attività istruttorie e di spese processuali, quando – integrata la fattispecie estintiva del reato conseguente a condotte riparatorie – non ha inizio alcuna attività dibattimentale”.

Il disallineamento tra le distinte discipline messe a confronto ha trovato nelle argomentazioni della Corte ulteriori elementi di riscontro

Nell'evidenziare che il giudice di pace – a differenza di quanto accade per il giudice ordinario nell'ipotesi di applicazione dell'art. 162-ter c.p. - deve non solo apprezzare l'adeguatezza e la completezza della riparazione,  ma anche verificare il soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di quelle di prevenzione, la Corte ha giustamente rilevato che, «a fronte di questo ruolo più esteso, reso ancor più pregnante dall'attività di conciliazione delle parti che in generale il giudice di pace è tenuto a svolgere, vi è, contraddittoriamente, un termine più stretto – quello dell'udienza di comparizione – che stride se lo si pone a raffronto con il termine più esteso – quello dell'apertura del dibattimento – che definisce il tempo processuale in cui l'attività del giudice ordinario, di verifica della sola adeguatezza delle condotte riparatorie, può estrinsecarsi».

Il paradosso è rappresentato dall'ipotesi in cui l'imputato, che prima dell'udienza di comparizione non sia riuscito ad ottenere l'accettazione della persona offesa della sua offerta di riparazione, non possa contare sull'attività di mediazione del giudice nell'udienza di comparizione, a causa del termine perentorio maturato. «In mancanza di un contatto con il giudice, tanto più necessario perché deve egli comunque valutare il soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di quelle di prevenzione, pur in presenza di accettazione della persona offesa, la prospettiva di condotte riparatorie, perfezionate già prima dell'udienza di comparizione, finisce per essere, quanto meno, non incoraggiata ed anzi resa incerta, frustrando così l'esigenza di deflazionare questi processi per reati minori».

A tal fine, per la Corte è apparso quanto meno  “eccentrico e asistematico”  il termine dell'udienza di comparizione «se si considera che il diverso termine dell'apertura del dibattimento si rinviene in numerosi altri istituti, oltre quello dell'art. 162-ter c.p.».

Ulteriore conferma è desumibile dall'introduzione nel sistema, con riferimento ai reati a citazione diretta, dell'art. 554-bis c.p.p. ovvero dell'udienza di comparizione predibattimentale, proprio per favorire il ricorso a strumenti di giustizia riparativa, con il conseguente ampliamento del tempo previsto per l'esplicarsi delle attività per le quali è previsto, come termine, l'apertura del dibattimento, come per le condotte riparatorie ex art. 162-ter c.p.

Ciò conferma che il riallineamento del termine in esame, con la sua fissazione nell'apertura del dibattimento, è in linea con il processo penale in generale ed è pienamente compatibile, in particolare, anche con quello innanzi al giudice di pace.

In conclusione, la previsione della inderogabile anteriorità delle condotte riparatorie, previste dalla disposizione censurata, rispetto all'udienza di comparizione  non risponde ad alcuna logica giustificazione, tenendo conto delle peculiarità che connotano la giurisdizione penale del giudice di pace.

Il recupero di legittimità costituzionale della disciplina «va individuata, nel verso prospettato dal rimettente,  collocando al momento dell'apertura del dibattimento il termine finale  perché l'imputato possa porre in essere le condotte riparatorie idonee alla dichiarazione di estinzione del reato».

*Fonte: DirittoeGiustizia

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