Procura ad litem ed obbligo di traduzione in lingua italiana: la parola alle Sezioni Unite

23 Aprile 2024

Le questioni in esame sono le seguenti: la procura rilasciata all'estero al difensore deve essere tradotta in italiano?

Massima

Deve essere disposta la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione, già decisa in senso difforme: se la traduzione in lingua italiana della procura rilasciata all'estero e dell'attività certificativa, sia nelle ipotesi di legalizzazione, sia ai sensi della Convenzione dell'Aja del 5.10.1961, sia ai sensi della Convenzione di Bruxelles del 25.5.1987, integra un requisito di validità dell'atto, con la precisazione che  nel caso di assenza di traduzione della procura o dell'attività certificativa, occorre stabilire: a) se il giudice possa farne a meno, qualora conosca la lingua straniera in cui è stata redatta la procura; b) se possa o debba assegnare un termine, ai sensi dell'art. 182 c.p.c. per la traduzione dell'atto e se tale potere-dovere possa essere esercitato anche nel giudizio di cassazione; c) se possa o debba lo stesso giudice disporre la traduzione tramite la nomina di un esperto.

Il caso

Un soggetto, identificato come erede universale, ha avviato un'azione legale presso il Tribunale per contestare l'autenticità e la completezza dell'inventario dell'eredità, redatto da un notaio su richiesta di una Provincia Religiosa.

Il Tribunale ha respinto la richiesta dell'attore e la Corte d'appello ha giustificato la sua decisione sull'ammissibilità della querela di falso, sottolineando che le presunte imprecisioni nell'inventario e il mancato accertamento di altri beni non influivano sulla genuinità del documento.

Proposto ricorso in Cassazione, il ricorrente contestava la validità della procura speciale rilasciata da uno dei controricorrenti al difensore per difetto di traduzione nella lingua italiana e per omesso accertamento dell'identità del soggetto che aveva rilasciato la procura.

In particolare, nel caso de quo la procura speciale era stata rilasciata innanzi al 'notary public' dello Stato della Florida e conteneva: l'attestazione del rilascio in sua presenza in lingua inglese con allegata asseverazione giurata ('subscribed and sworn before me, this second day of January, 2018 a Notary Public'), la firma del notaio e della parte, l'attestazione di conformità ed era corredata da apostille in lingua inglese, ai sensi della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, anch'essa non tradotta.

La Corte di Cassazione si è interrogata se la traduzione in lingua italiana della procura rilasciata all'estero e dell'attività certificativa, sia nelle ipotesi di legalizzazione che ai sensi della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 e di quella di Bruxelles del 25 maggio 1987, integri un requisito di validità dell'atto.

Da tale premessa, ha ritenuto di investire il giudice della nomofilachia se in caso di assenza di traduzione della procura o dell'attività certificativa deve essere stabilito se il giudice: possa farne a meno, qualora conosca la lingua straniera in cui è stata redatta la procura; possa o debba assegnare un termine, ai sensi dell'art. 182 c.p.c. per la traduzione dell'atto e se tale potere- dovere possa esercitarsi anche nel giudizio di cassazione; possa o debba egli stesso disporre la traduzione tramite la nomina di un esperto.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: la procura rilasciata all'estero al difensore deve essere tradotta in italiano?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento ha sottolineato che, secondo l'art. 12 della l. n. 218/1995, le procure alle liti utilizzate in un procedimento giudiziario in Italia, anche se ottenute all'estero, sono disciplinate dalla legge processuale civile italiana. Tuttavia, per quanto riguarda l'utilizzo di atti pubblici o scritture private autenticate, la validità del mandato deve essere valutata in base alla legge del luogo in cui è stato redatto l'atto. 

Sotto questo aspetto il diritto straniero deve riconoscere tali istituti in conformità ai principi fondamentali dell'ordinamento italiano, quali la dichiarazione del pubblico ufficiale sulla firma avvenuta in sua presenza e la verifica preventiva dell'identità del sottoscrittore. Inoltre, i giudici di legittimità hanno sottolineato l'importanza che l'atto redatto all'estero rispetti, sia nella forma che nell'efficacia, gli standard richiesti dalla legge italiana, secondo le formalità della lex loci, evidenziando che la procura alle liti è soggetta alla disciplina presente nel codice di procedura civile.

La procura alle liti, anche se rilasciata all'estero, deve rispettare la forma prescritta dall'art. 83 c.p.c., ossia deve essere considerata come un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, secondo i requisiti stabiliti dagli artt. 2699 e 2703 c.c.

Nello specifico, la giurisprudenza ha adottato l'interpretazione che le procure rilasciate all'estero debbano essere equivalenti, sia nella forma che nell'efficacia, a quelle richieste dalla legge processuale italiana. Pertanto, tali procure devono contenere gli elementi essenziali dell'autenticazione, come la verifica dell'identità del sottoscrittore e la firma apposta di fronte a un pubblico ufficiale.

Le disposizioni che disciplinano la legalizzazione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate redatte all'estero sono principalmente stabilite dall'art. 33 del d.P.R. n. 445/2000, che ha recepito le norme prima contenute nell'art. 17 della l. n. 18/1968. In base a queste normative, le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero devono legalizzare le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere, affinché essi siano validi nello Stato italiano. Inoltre, per gli atti redatti in lingua straniera, è necessario allegare una traduzione in lingua italiana certificata, conforme al testo originale, da parte delle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari o da un traduttore ufficiale.

In merito alla validità della procura alle liti rilasciata all'estero priva dell'autorizzazione in lingua italiana si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo orientamento, posto che la procura alle liti deve considerarsi come un atto preparatorio del processo e non un atto processuale in senso proprio, riguardo ad essa non trova applicazione l'art. 122, comma 1, c.p.c., ma l'art. 123 c.p.c., che prevede il potere-dovere del giudice di disporre la traduzione attraverso un interprete dei documenti relativi al processo redatti in lingua straniera.

L'art. 122 c.p.c. sancisce l'obbligo dell'uso della lingua italiana per tutto il corso del processo. Ma è altrettanto indubbia la riferibilità della norma citata soltanto alle attività processuali ed agli atti che si formano nel e per il processo e non gli atti che siano solamente coordinati o preparatori a quelli processuali. Ciò trova conferma, ex adverso, nell'art. 123 c.p.c. che consente al giudice di nominare un traduttore per procedere all'esame di documenti non redatti in lingua italiana.

Il carattere meramente facoltativo della nomina indica chiaramente che il documento (per il cui esame il giudice potrebbe nominare il traduttore) è valido ed efficace ai fini processuali anche se privo di una traduzione, mentre il fatto stesso che sia contemplata l'ipotesi di documenti redatti in lingua estera, dimostra che il principio di cui all'art. 122 c.p.c. deve essere inteso in modo restrittivo.

Pertanto, non è necessaria l'esistenza della traduzione al momento della costituzione in giudizio della parte, ben potendo il giudice disporre la traduzione attraverso un interprete (Cass. civ. n. 27282/2008Cass. civ. n. 30035/2011Cass. civ. n. 19513/2020).

La Corte di Cassazione ha chiarito che la traduzione al momento della costituzione in giudizio della parte non è obbligatoria, ma può essere disposta dal giudice se necessaria. La validità della procura alle liti è stata confermata anche in casi in cui l'atto non sia redatto in lingua italiana, ma era corredato dalla “apostille” e autenticato in un paese aderente alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.

I giudici di legittimità hanno affrontato l'argomento, confermando il principio generale secondo cui gli atti preparatori del processo, tra cui le procure alle liti, possono essere redatti in lingua straniera senza necessariamente richiedere una traduzione in italiano (Cass. n. 19900/2023).

Tuttavia, tale orientamento ha chiarito che il giudice ha il potere discrezionale di richiedere la traduzione se la ritiene necessaria per una corretta comprensione dell'atto.

Secondo un altro orientamento, invece, la procura speciale alle liti rilasciata all'estero, sia pur esente dall'onere di legalizzazione da parte dell'autorità consolare italiana, nonché dalla c.d. apostille, in conformità alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ovvero ad apposita convenzione bilaterale, è nulla, agli effetti dell'art. 12 della  l. n. 218/1995, relativo alla legge regolatrice del processo, ove non sia allegata la traduzione dell'attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l'attestazione che la firma sia stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità, vigendo pure per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (Cass. civ. n. 26937/2013Cass. civ. n. 28217/2019).

Per quanto riguarda l'obbligo di traduzione, le Sezioni Unite hanno stabilito che la mancanza di traduzione da parte di un esperto rende nullo l'atto di procura alle liti rilasciato all'estero (Cass. civ. n. 5592/2020; Cass. civ. n. 8174/2018 ha affermato l'obbligo di utilizzare la lingua italiana per gli atti interni al processo, sottolineando la necessità di tradurre in italiano la procura tramite un professionista abilitato).

Una sentenza più recente della Cassazione ha dichiarato la nullità della procura per mancanza di traduzione in italiano dell'attività certificativa svolta dal notaio, stabilendo l'obbligo del giudice di concedere un termine per la correzione, in linea con i principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza del n. 37434/2022 (Cass. civ. n. 27598/2023).

Osservazioni

L'intervento, a più riprese, delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., sent. nn. 10312/2006, Cass. civ., sez. un., n. 16296/2007, Cass. civ., sez., un., n. 3410/2008) ha fissato il principio che per il disposto dell'art. 12 della l. n. 218/1995, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all'estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l'utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci, occorrendo, però, che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell'ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell'identità del sottoscrittore.

La conclusione tiene ragione, in primis, dell'art. 12 della l. n. 218/1995 (secondo cui «il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana»), finendo con l'aderire al pensiero della dottrina che aveva energicamente evidenziato come la regolamentazione di specie non potesse essere trovare riferimento nella legge di altro Stato nel caso di ministero del patrocinante da esercitarsi in un processo innanzi una giurisdizione italiana.

Questa esigenza viene «temperata» dalle Sezioni Unite da un'altra inderogabile necessità: quella della conformità, della procura alle liti rilasciata all'estero, a tutti i requisiti di forma previsti dalla legge del paese in cui l'atto viene perfezionato e ciò nonostante l'intervenuta abrogazione, ad opera dell'art. 73 della l. n. 218/1995, dell'art. 26 delle Disposizioni sulla legge in generale (il quale nella prima parte del 1° comma prevedeva che: «La forma degli atti tra vivi e degli atti di ultima volontà è regolata dalla legge del luogo nel quale l'atto è compiuto...»).

Una volta che la procura è stata redatta all'estero nel rispetto delle normative nazionali applicabili, la medesima - a mente dei combinato disposto di cui agli artt. 17, 3° comma, l. n. 15/1968 e 12 della l. n. 218/1995, le sezioni unite sono chiamate a stabilire se deve essere, altresì, accompagnata - se redatta in lingua straniera - da una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale.

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