Negatoria servitutis: l’attore può proporre domanda di accertamento a seguito delle difese del convenuto?

09 Maggio 2024

Le Sezioni Unite valuteranno se, proposta una domanda di di negatoria servitutis, possa essere altresì proponibile, in conseguenza delle difese del convenuto, nelle prime memorie e dopo la prima udienza ex art. 183 c.p.c. (nella formulazione precedente l'art. 3 d.lgs. n. 149/2022, al comma 12, lett. i) e al comma 13 lett. b), una domanda di accertamento, con efficacia di giudicato, della titolarità del diritto di proprietà per maturata usucapione.

Massima

Occorre rimettere gli atti alla Prima Presidente affinché valuti la sussistenza dei presupposti per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite allo scopo di stabilire se, proposta una domanda di negatoria servitutis, possa essere altresì proponibile, in conseguenza delle difese del convenuto, nelle prime memorie e dopo la prima udienza ex art. 183 c.p.c. (nella formulazione precedente l'art. 3 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, al comma 12, lett. i e al comma 13 lett. b), una domanda di accertamento, con efficacia di giudicato, della titolarità del diritto di proprietà per maturata usucapione.

Il caso

Con atto di citazione notificato in data 5/12/2006, Tizia, qualificandosi proprietaria di un terreno per successione ereditaria, proponeva domanda di negatoria servitutis nei confronti del proprietario confinante Caio. Costituendosi in giudizio, il convenuto contestava la proprietà del fondo oggetto della domanda di Tizia, essendone egli stesso proprietario e avendolo da sempre posseduto. Con le memorie ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. (secondo la formulazione ratione temporis vigente) Tizia, allegando di aver sempre posseduto il terreno per cui era giudizio, così come sua nonna prima di lei, chiedeva accertarsi l'intervenuta usucapione in suo favore, anche in via di eccezione. Istruita la causa con prova testi e CTU, il giudice di primo grado, con sentenza n. 1341/2011, dichiarava Tizia proprietaria della porzione di terreno in contesa per averla acquistata a titolo originario per usucapione, rigettando le altre domande. Avverso la predetta decisione Caio interponeva appello, chiedendone, per quanto qui rileva, la riforma per avere il Tribunale considerato ammissibile e accolto la domanda di usucapione, a suo dire, invece, inammissibile perché proposta per la prima volta con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. e non a verbale della prima udienza. Tizia proponeva, invece, appello incidentale avverso il rigetto delle ulteriori domande proposte. La Corte d'appello di Catanzaro rigettava l'appello principale, confermando l'ammissibilità della domanda perché formulata in reconventio reconventionis in conseguenza della difesa articolata da Caio in comparsa di risposta. In parziale accoglimento dell'appello incidentale di Tizia, condannava Caio a pagare in favore della prima la somma di euro 1.000,00 a titolo di risarcimento dei danni.

La questione

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per Cassazione Caia, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 183 c.p.c. (sempre secondo la formulazione ratione temporis vigente, antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022), per avere la Corte d'appello ritenuto ammissibile e tempestiva la domanda di usucapione dell'attrice, seppure da lei proposta soltanto con le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. e non entro il limite della prima udienza di trattazione, secondo il quinto comma del medesimo articolo. Il ricorrente rappresentava, altresì, che Tizia non aveva proposto alcuna domanda di rivendica della proprietà, sicché la domanda di usucapione risultava diversa per petitum e causa petendi e costituiva perciò una vera e propria mutatio libelli.

Le soluzioni giuridiche

A fronte dei motivi di impugnazione del ricorrente, la Seconda Sezione riteneva di dover rimettere gli atti alla Prima Presidente per le valutazioni di competenza circa l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite, involgendo la decisione la corretta interpretazione dell'art. 183 c.p.c., ancora applicabile a tutti i processi introdotti antecedentemente l'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022. Ci si chiede, infatti, se sia possibile per l'attore, che abbia proposto una domanda di negatoria servitutis, domandare soltanto con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. e in conseguenza delle difese del convenuto, l'accertamento con efficacia di giudicato dell'intervenuta usucapione in suo favore, oltre cioè il limite della prima udienza, previsto dal medesimo art. 183 c.p.c. per l'esercizio dello ius variandi da parte di chi ha agito in giudizio. Si osserva, infatti, che appartenendo il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento alla categoria dei diritti autodeterminati, perché individuabili in base alla sola indicazione del loro contenuto (cioè, il bene che ne costituisce l'oggetto), la causa petendi delle azioni a loro difesa si identifica con il diritto stesso e non con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.), la cui deduzione è necessaria, quindi, soltanto ai fini della prova del diritto e non della sua individuazione (Cass. civ., sez. II, sent., 21 giugno 1995, n.  7033). Benché, pertanto, presupposto dell'actio negatoria servitutis sia, in uno alla violazione lamentata, la proprietà dell'immobile interessato dalla condotta altrui, irrilevante è il modo con cui tale proprietà sia stata acquistata, sicché la deduzione dell'attore di aver acquistato il fondo per intervenuta usucapione a fronte dell'eccezione del convenuto di mancata allegazione del titolo di proprietà non costituisce modifica del thema decidendum, essendo sufficiente per chi agisce in negatoria servitutis, a differenza di chi agisce in rivendica, la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido. Nel caso specifico, tuttavia, l'attrice, a fronte dell'eccezione del convenuto, non si era limitata a dedurre di avere acquistato il fondo oggetto di domanda per intervenuta usucapione, ma aveva chiesto accertarsi con efficacia di giudicato il proprio diritto di proprietà sul bene, dando vita ad una «causa pregiudiziale» introdotta, però, soltanto con la prima memoria ex art. 183 c.p.c.. Al fine di valutare l'ammissibilità di simile domanda, la seconda sezione ripercorre l'evoluzione giurisprudenziale registratasi con riferimento all'ampiezza e al contenuto della facoltà di modifica della domanda prevista dall'art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. (e prima ancora, antecedentemente alle riforme del 2005-2006, dall'art. 183 comma 5 c.p.c. nel testo di cui alla l. n. 353/1990). Se, infatti, con Sentenza n. 3567 del 14/02/2011, le Sezioni Unite avevano affermato che le memorie da depositare nei termini fissati all'art. 183, quinto comma, c.p.c., nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1 marzo 2006, fossero finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente, ma non a proporne di ulteriori, non essendo ammissibile estendere con esse il thema decidendum, con la sentenza n. 12310 del 15/06/2015, sempre le Sezioni Unite avevano chiarito che la «modificazione» della originaria domanda ammessa nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., oltre l'udienza di trattazione, poteva riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risultasse comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determinasse la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali, purché la nuova domanda non si aggiungesse a quella iniziale, ma la sostituisse e si ponesse in rapporto di alternatività rispetto ad essa, perché comunque tendente a realizzare la medesima vicenda sostanziale. Su tale solco, con la successiva sentenza n. 22404 del 13/09/2018, le Sezioni unite avevano ritenuto ammissibile, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria, se riferita alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi, appunto, di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. Anche nell'ambito di tale evoluzione giurisprudenziale, tuttavia, è rimasto sempre tendenzialmente fermo il principio per cui la diversa domanda introdotta con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. dovesse sostituirsi a quella originariamente proposta (quantomeno in termini di alternatività) e non potesse affiancarsi ad essa (dovendo, altrimenti, l'attore far valere le pretese nate dalle difese del convenuto entro il limite della prima udienza, ai sensi dell'art. 183 comma 5 c.p.c.).

Nella vicenda all'esame dei giudici di legittimità, di contro, la nuova domanda di usucapione si affiancava all'originaria domanda di negatoria servitutis, senza che ricorresse tra le due domande un rapporto di alternatività o un rapporto di subordinazione (bensì., piuttosto, un rapporto di pregiudizialità). Ciononostante, la seconda sezione ritiene la fattispecie meritevole di approfondimento, in quanto involgente il rapporto tra questione e causa pregiudiziale. Si osserva, infatti, che ciò che costituisce oggetto di questione pregiudiziale è anche un elemento della fattispecie del rapporto giuridico oggetto della domanda, in quanto integra o un fatto costitutivo oppure un fatto impeditivo, modificativo ed estintivo del diritto soggettivo controverso: nella prima ipotesi, tra le due situazioni sostanziali, ricorre una connessione di pregiudizialità-dipendenza (nella specie, la decisione non avrebbe potuto essere favorevole all'istante, se l'esito dell'accertamento incidentale del diritto di proprietà fosse stato negativo); nella seconda ipotesi, ricorre invece, e per l'appunto, una connessione di incompatibilità giuridica (Cass. civ., sez. un., sent., 29 luglio 2021, n. 21763). Deve, quindi, valutarsi se la domanda di accertamento con efficacia di giudicato, proposta in conseguenza dell'eccezione di controparte, possa ricondursi all'ambito della «domanda modificata»​, proponibile nelle prime memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., trattandosi di modifica che non «sorprende» il convenuto, né comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 c.p.c. nella previsione dei termini delle memorie, anzi scongiura la possibilità che, in relazione ad una determinata vicenda sostanziale, l'attore sia costretto ad instaurare un nuovo giudizio dinnanzi ad un altro giudice che pure dovrà conoscere del medesimo diritto, verosimilmente sugli stessi elementi di fatto, con un innegabile dispendio di risorse conseguente alla proliferazione di giudizi.

Da qui la rimessione degli atti alla Prima Presidente, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., affinché valuti la sussistenza dei presupposti per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite allo scopo di stabilire se, proposta una domanda di negatoria servitutis, possa essere altresì proponibile, in conseguenza delle difese del convenuto, nelle prime memorie e dopo la prima udienza ex art. 183 c.p.c. (nella formulazione precedente l'art. 3 del d.lgs. n.149/2022, al comma 12, lett. i e al comma 13 lett. b), una domanda di accertamento, con efficacia di giudicato, della titolarità del diritto di proprietà per maturata usucapione.

Osservazioni

La pronuncia in commento invoca l'intervento delle Sezioni Unite in una materia già oggetto di importante evoluzione giurisprudenziale nel corso del tempo, vale a dire il discrimine tra il campo di applicazione del comma 5 dell'art. 183 comma 6 cpc (nella formulazione applicabile ai giudizi introdotti antecedentemente l'entrata in vigore del d.lgs. 149/2022) ai sensi del quale all'udienza di prima comparizione e trattazione «l'attore può proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte del convenuto» e quello del comma 6 n. 1 della medesima norma, ai sensi del quale le parti, nel termine previsto di giorni trenta concesso dal giudice possono «precisare» e «modificare» le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Letteralmente intese, infatti, le due disposizioni esaminate sembrano, in combinato disposto, imporre all'attore, a pena di decadenza, la formulazione in prima udienza delle domande nuove che siano conseguenza delle domande ed eccezioni del convenuto, consentendo, invece, con la memoria depositata ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., la precisazione e modifica delle domande ed eccezioni già proposte. Con il tempo, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità, con l'avallo di alcuni importanti interventi delle Sezioni Unite, ha progressivamente ampliato la nozione di «domanda modificata» ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., ammettendo l'introduzione di una domanda diversa per petitum o causa petendi (o entrambi) purché la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio – quantomeno per «alternatività» - senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali, posto che: la domanda "modificata" sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa; la modifica interviene pur sempre nella fase iniziale del giudizio di primo grado, prima dell'ammissione delle prove; l'eventuale modifica avviene sempre in riferimento e connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio e la parte sa che una simile modifica potrebbe intervenire a norma della disciplina processuale vigente. Si è, quindi, affermata l'ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo (Cass. civ. sez. un., sent., 15 giugno 2015, n. 12310), nonché la possibilità di introdurre con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., trattandosi di domande connesse per incompatibilità a quelle originariamente proposte:

- nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, della domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento (Cass. civ., sez. un., sent., 13 settembre 2018, n. 22404);

- nel processo introdotto mediante domanda di accertamento della nullità del contratto preliminare, della domanda di risoluzione del medesimo contratto per motivi inerenti la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

Si è sempre, tuttavia, escluso che l'ambito operativo della modifica della domanda ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. potesse spingersi fino al punto di includere anche una domanda aggiuntiva a quella originariamente prevista, ad essa non connessa per incompatibilità, dovendosi a tal fine - e ove la domanda fosse conseguenza delle domande ed eccezioni del convenuto - rispettare il limite decadenziale dell'udienza di prima comparizione e trattazione, ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c. (sempre nella formulazione antecedente la riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022).

La pronuncia in commento, tuttavia, mette in discussione anche tale assunto, con riferimento all'ipotesi della domanda di accertamento dell'intervenuto acquisto della proprietà che si affianchi – senza sostituirla – alla domanda di negatoria servitutis originariamente proposta, quale questione pregiudiziale rispetto alla domanda principale, che «non «sorprende» il convenuto, né comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 nella previsione dei termini delle memorie, anzi scongiura la possibilità che, in relazione ad una determinata vicenda sostanziale, l'attore sia costretto ad instaurare un nuovo giudizio dinnanzi ad un altro giudice che pure dovrà conoscere del medesimo diritto, verosimilmente sugli stessi elementi di fatto, con un innegabile dispendio di risorse conseguente alla proliferazione di giudizi»: ricorrerebbero, in altri termini, le medesime argomentazioni poste a base dell'estensione della nozione di “domanda modificata” già operata dalle Sezioni Unite, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. È evidente, per altro verso, che, assumere una impostazione particolarmente estensiva della portata dello ius poenitendi, rende sempre più difficile il rinvenimento di uno spazio di applicazione dello ius variandi di cui all'art. 183, comma 5, c.p.c., confinandolo, di fatto, all'ipotesi di introduzione di domanda del tutto nuova e non connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, la cui esigenza di proposizione, tuttavia, difficilmente potrebbe nascere dalla difesa del convenuto, come richiesto dalla medesima norma.

Riferimenti

Sul progressivo ampliamento della facoltà di ius poenitendi di cui all'art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. si vedano, tra le più significative, Cass. civ., sez. un., sent., n. 12310 del 15 giugno 2015 e Cass. civ., sez. un., sent., 13 settembre 2018, n. 22404.

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