Negato il mantenimento alla figlia laureata anche se guadagna poco

09 Maggio 2024

Sussiste l'obbligo del padre di versare l'assegno di mantenimento al figlio laureato, se non autosufficiente nonostante la laurea e le capacità professionali?

Massima

Per poter beneficiare dell’assegno di mantenimento il figlio ultra maggiorenne deve dimostrare in modo stringente le ragioni per le quali non è ancora riuscito a conseguire una sua autonomia economica.

Il caso

Un padre agisce in giudizio per ottenere la modifica delle condizioni di divorzio, e tra le istanze vi è quella finalizzata a conseguire l’eliminazione dell’assegno di mantenimento che il medesimo corrisponde in via diretta alla figlia di 35 anni (e che ammonta a 628,68 euro mensili). L’uomo, a supporto della propria tesi, sostiene che la figlia è un’insegnante d’arte e che lo stesso, ormai in difficoltà per età e problemi di salute, non è più nelle condizioni di poter far fronte a tale esborso.

La Cassazione, davanti alle cui cure giunge la vertenza, accoglie il ricorso.

La questione

Il reddito esiguo del figlio laureato, già in condizioni di poter mettere a frutto la propria capacità professionale, comporta l’obbligo del padre di corrispondergli l’assegno di mantenimento?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene che il ricorso proposto dal padre sia fondato e che debba essere accolto, anche sulla scorta di un principio enunciato nella sentenza n. 26875 del 20 settembre 2023 secondo cui «in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell'ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazioni, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell'autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa».

La Suprema Corte ha, in più occasioni, affermato che il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, previsto dall'art. 147 c.c., obbliga i coniugi a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

Nel caso specifico, si mette in luce che la Corte territoriale ha tenuto conto del fatto che il padre guadagna un importo doppio rispetto a quello guadagnato dalla madre e che la figlia, laureata in storia dell'arte e insegnante nella materia, negli anni 2018 e 2019 ha guadagnato circa quattromila euro annui, grazie a collaborazioni saltuarie, spendendone però seimila per cure psicologiche, poiché affetta da sindrome delirante, con manie di persecuzione, senza che, tuttavia, ricorra il caso della menomazione psichica e del conseguente regime giuridico del figlio affetto da tale condizione.

Seppur la figlia ha documentato un modesto guadagno, deve ritenersi che la medesima abbia iniziato a metter a frutto le proprie capacità professionali, anche se ancora saltuariamente esercitate, così cominciando a conseguire i propri redditi da lavoro e, anche se in attesa di una migliore e più sicura definizione del suo inserimento nel mondo del lavoro, ne consegue che, in forza dei suddetti principi, si deve dubitare che vi sia ragione per conservar l'assegno di mantenimento a suo favore, ferma l'eventuale possibilità di un aiuto del padre, ove ne ricorrano i presupposti, per l'ottenimento di un assegno alimentare.

La Corte territoriale ha disatteso tali principi, violando le regole sostanziali relative al regime dell'assegno di mantenimento dei figli ultra maggiorenni e, in ordine a tale violazione, la decisione deve essere cassata con rinvio allo stesso giudice, in diversa composizione.

Osservazioni

Pare necessario ricordare che il diritto del figlio al mantenimento e il correlato obbligo dei genitori si iscrivano nella più ampia rosa dei diritti dei figli cristallizzati dall'art. 147 c.c, oltrechè, sotto il profilo dei doveri genitoriali, dal testo costituzionale, che ricomprende, oltre a quello qui oggi in esame, quelli all'istruzione, all'educazione e all'assistenza.

Ai sensi dell'art. 147 c.c., il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'art. 315-bis c.c.

Il genitore non può sottrarsi a tale obbligazione verso il figlio, tenuto a provvedervi dalla sua nascita.

Si rammenta che l'obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto si averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda.

Tale obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 148 c.c., non cessa ipso facto al raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura immutato fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica, ovvero finchè il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica, ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente

Del resto, gli artt. 155-quinques e 337-septies, comma 1, c.c., ancorchè riferiti alla fase di separazione coniugale, prevedono esplicitamente la sussistenza dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente.

Tale obbligo è suffragato dalla corresponsione di un assegno periodico, denominato assegno di mantenimento, la cui durata è subordinato al raggiungimento, da parte del beneficiario, dell'autosufficienza economica.

In virtù di quanto previsto dall'art. 316-bis c.c., il mantenimento dei figli, siano essi legittimi o naturali, grava su ciascun genitore chiamato a contribuirvi in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo.

Per analizzare al meglio la fattispecie in esame, è opportuno partire dall'esame del principio dell'auto responsabilità, al quale l'ordinamento attuale riconosce un valore preminente, da contemperarsi con lo storico principio di solidarietà ai sensi dell'art. 2 della Costituzione.

Il principio dell'auto responsabilità impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, dal momento che l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle capacità, inclinazioni e aspirazioni del figlio e nella valutazione degli indici di rilevanza individuati dalla giurisprudenza.

Nel nostro ordinamento, non esiste un limite di età prestabilito oltre il quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli, tuttavia, ciò non vuol dire che i figli siano destinatari di “ogni possibile diritto” (Cass. civ., ord. 2 luglio 2021, n. 18758).

E' necessaria una valutazione caso per caso da parte dell'Autorità Giudiziaria, investita dalla richiesta di revoca del mantenimento da parte del genitore obbligato.

Una pronuncia innovativa su questo tema è rappresentata dall'ordinanza Cass. n. 17183/2020 che ha modificato i precedenti orientamenti in materia, stabilendo che l'obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età.

In seguito ad essa, l'obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, pertanto, alla maggiore età il figlio diviene auto responsabile, ritenendosi raggiunta la capacità lavorativa e con essa l'idoneità al reddito.

Al fine di evitare condotte parassitiche ad oltranza ai danni dei genitori, la giurisprudenza ha sancito la necessità di accertare il comportamento incolpevole del figlio per non aver raggiunto l'indipendenza economica.

L'obbligo di mantenimento del figlio trova, infatti, un limite ineludibile nella conclusione del percorso educativo – formativo da parte del figlio, presupposto che rende esigibile l'utile attivazione dello stesso nella ricerca di un lavoro.

L'obbligo in capo al genitore è quello di dover assicurare al figlio il conseguimento della capacità lavorativa, attraverso il mantenimento fino alla conclusione del percorso formativo. Ne consegue che rientra nelle responsabilità del figlio, una volta ottenuta tale capacità lavorativa, ricercare un'occupazione, evitando di gravare al genitore.

Quando il figlio dimostri di essere in una condizione di non auto sufficienza incolpevole perché impegnato in un percorso formativo o perché ancora privo di un'occupazione, nonostante un'attività e specifica ricerca, il Giudice può riconoscergli un contributo al mantenimento.

In linea con la pronuncia della Suprema Corte qui oggi in commento, si sottolinea come l'orientamento giurisprudenziale odierno preveda che, una volta iniziata un'attività lavorativa, anche se precaria e con retribuzione modesta, il diritto al mantenimento cessa e non risorge in caso di perdita dell'occupazione o andamento negativo della stessa.

Ciò che viene richiesto al figlio maggiorenne - e ultra maggiorenne a maggior ragione - è di attivarsi in tutti i modi per la ricerca di un ‘occupazione lavorativa e, se del caso, anche scendendo a compromessi laddove l'impegno offerto non dovesse essere totalmente rispondente alle proprie inclinazioni.

Sarà il figlio maggiorenne, secondo il rinnovato schema dell'onere della prova, a dover provare di aver esperito ogni possibile tentativo al fine di rinvenire un'occupazione lavorativa e non il genitore obbligato, come previsto in passato.

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