Limiti e presupposti della revocazione straordinaria nell'adozione di persona maggiorenne

22 Maggio 2024

La Suprema Corte affronta i presupposti e i limiti dei mezzi di impugnazione della revocazione straordinaria, per essere la sentenza l’effetto di dolo o collusione a danno dell’avente causa o del creditore di una delle parti, per affermare che il fratello dell’adottante (deceduto senza coniuge e figli), in quanto erede e successore a titolo universale del de cuius, qualora intenda dimostrare che la sentenza di adozione di persona maggiorenne sia stata l’effetto delle condotte ingannevoli poste in essere dall’adottata ai danni del genitore adottivo, è legittimato ad impugnare la sentenza solamente con il mezzo della revocazione straordinaria, e non mediante l’opposizione di terzo revocatoria, assumendo, in quanto erede, la qualità di successore a titolo universale ed effettivo titolare del diritto in contestazione.

Massima

Il rimedio della revocazione straordinaria della sentenza di adozione di persona maggiorenne, per dolo di una parte ai danni dell'altra, deve ritenersi in astratto esperibile dal fratello dell'adottante, in quanto costui non è titolare di un diritto autonomo ma di un diritto derivativo, trattandosi di erede che succede nella posizione giuridica del defunto, fermo restando che, se l’esercizio di tale azione dovesse risultare precluso al titolare originario, la medesima preclusione vale anche per il suo successore; viceversa, va esclusa la legittimazione dell’erede ad esperire il mezzo di impugnazione della opposizione di terzo revocatoria, non rientrando l’erede, successore a titolo universale, nella categoria dei creditori o aventi causa di una delle parti.

Il caso

Con sentenza resa in data 12/05/2017, il Tribunale di Busto Arsizio accoglieva la domanda di adozione di persona maggiorenne, proposta dall'adottante Sempronio nei confronti di Caia. Deceduto Sempronio nell'anno 2020, Tizio - suo fratello - esperiva l'azione di impugnazione per revocazione della sentenza di adozione ex art. 395 n.1 c.p.c., sul presupposto che l'adozione era stata l'effetto delle condotte penalmente rilevanti poste in essere da Caia, la quale, dopo esser stata assunta come badante da Sempronio, nel settembre 2016 lo aveva indotto ad adottarla, rendendosi responsabile del reato di circonvenzione di persona incapace, per il quale aveva anche riportato una condanna alla pena di tre anni di reclusione, oltre al pagamento di una multa. A sostegno della sua legittimazione attiva, Tizio dichiarava di aver promosso, in favore del fratello Sempronio, la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno; che il Pubblico Ministero aveva avanzato domanda di interdizione; che, soltanto in data 21/02/2020, egli “era venuto a conoscenza del dolo” dell'adottata nei confronti di Sempronio, padre adottivo.

Sia il Tribunale di Busto Arsizio sia la Corte d'appello di Milano, successivamente adita da Tizio, dichiaravano l'inammissibilità della domanda di revocazione exart. 395 c.p.c. Più in particolare, il giudice di prime cure rilevava il difetto di legittimazione attiva in capo a Tizio, in virtù del fatto che costui aveva adito il Tribunale in qualità, non già di erede, ma di fratello di Sempronio, senza esser stato “parte” del giudizio nel quale era stata dichiarata l'adozione di Caia; a tale argomento, la Corte territoriale aggiungeva che l'appellante, in quanto fratello dell'adottante, avrebbe potuto far valere il suo interesse a rimuovere la pronuncia di adozione unicamente con il rimedio dell'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., poiché la revocazione costituiva un mezzo ordinario di impugnazione riservato soltanto a coloro che avevano preso parte al precedente giudizio.

Avverso la decisione della Corte d'appello, Tizio ricorre in Cassazione, lamentando: a) con un primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 395, n. 1 c.p.c., in quanto gli eredi dell'adottante devono considerarsi, a tutti gli effetti, “parti del procedimento d'adozione”, essendo legittimati a presentare memorie e osservazioni per opporsi all'adozione, così come sancito dall'art. 298 c.c.; b) con un secondo motivo, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione degli artt. 395 e 404 c.p.c., eccependo come il Tribunale di Busto Arsizio, e poi anche la Corte d'appello, avessero omesso di riqualificare l'azione di revocazione nell'azione di opposizione di terzo revocatoria, essendo previsto dal comma 2 dell'art. 404 c.p.c. che taluni terzi possano “attaccare” la sentenza, quando questa è l'effetto di dolo a loro danno.

Di contro, Caia resiste con un controricorso in cui, rispetto al secondo motivo di impugnazione, rilevava come una eventuale riqualificazione dell'azione di revocazione nell'opposizione di terzo revocatoria sarebbe stata comunque vana, poiché l'azione risultava proposta quand'era già decorso il termine di 30 giorni dalla scoperta del dolo, scoperta che avrebbe dovuto farsi risalire all'anno 2017, quando Tizio sporgeva una querela nella quale già lamentava il dolo dell'adottata e, comunque, nel procedimento penale apertosi a carico di Caia, Tizio aveva potuto apprendere dell'esistenza della sentenza di adozione.

La questione

La questione in esame è la seguente: il fratello dell’adottante – deceduto senza moglie e senza figli, ad eccezione dell’adottata – può impugnare con il mezzo della revocazione straordinaria la sentenza di adozione che sia l’effetto di dolo, facendo valere la sua qualità di erede dell’adottante, quindi di successore a titolo universale che subentra nella stessa posizione processuale di colui che è stato parte del giudizio di adozione, oppure va considerato alla stregua di un terzo, portatore di un diritto e titolare di una posizione giuridica autonoma, non derivante da quella di colui che è stato parte del giudizio?

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, i Giudici di legittimità chiariscono, in primo luogo, che parti del procedimento di adozione della persona maggiorenne sono unicamente l'adottante, l'adottando e il pubblico ministero, non anche gli eredi dell'adottante, poiché la facoltà riconosciuta loro dalla legge di presentare memorie e osservazioni per opporsi all'adozione (art. 298, comma 4 c.c.) va correlata al solo caso in cui l'adottante muoia dopo la prestazione del consenso, ma prima della pronunzia di adozione (art. 298, comma 3 c.c.). Quanto alla questione della legittimazione di Tizio ad esperire il mezzo di impugnazione della revocazione per dolo di una parte ai danni dell'altra, la Suprema Corte corregge la decisione dei giudici di merito, che avevano dichiarato il ricorso inammissibile, affermando che, invece, “Il rimedio generale prescelto deve ritenersi in astratto ammissibile”.

Restringendo il focus sulla compatibilità tra la posizione di erede e l'azione di revocazione, i giudici di legittimità ricordano che «l'erede, nella sua qualità di successore nella stessa situazione giuridica del defunto, non è titolare di un diritto autonomo, ma di un diritto derivativo ad impugnare per revocazione o con l'opposizione di terzo, una sentenza effetto di dolo o collusione ai danni del suo autore, con la conseguenza che, se a costui sia rimasto precluso, per scadenza del termine o per altro motivo, l'esercizio della suddetta azione (come anche, di ogni altra azione trasmissibile con l'eredità), la medesima preclusione vale anche per il successore» (cfr. Cass. civ. n. 35/1971 e, più recentemente, Cass. civ. n. 8284/2016). Dunque, prosegue la Corte, essendo l'erede titolare di un diritto derivativo, «subentrando il medesimo nella stessa situazione giuridica del defunto, l'impugnativa è condizionata a quei medesimi fatti costitutivi, modificativi ed estintivi che condizionavano l'azione del precedente titolare».

Alla luce dei principi sopra richiamati, la Corte di cassazione giunge ad escludere che Tizio sia legittimato ad agire, in proprio, come erede di Sempronio, «atteso che l'erede dell'adottante non è parte del processo di adozione, dove non vi aveva infatti preso parte». Allo stesso tempo, pur facendo valere una posizione derivata, non autonoma, quale quella di unico erede e successore universale di Sempronio, Tizio «non poteva subentrare in una impugnativa in relazione alla quale il de cuius era già decaduto». Nel caso di specie, pertanto, a parere della Suprema Corte, Tizio avrebbe dovuto dimostrare, ai sensi dell'art. 396 c.p.c., che la scoperta del dolo da parte del suo dante causa (e non la scoperta del dolo da parte sua, come dedotto in ricorso) «fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per impugnare», poiché solo in questo modo, da un lato, l'adottante non poteva ritenersi decaduto dall'impugnativa e, dall'altro lato, il suo erede avrebbe potuto succedere nella stessa posizione processuale ancora aperta.

Nel respingere anche il secondo motivo di impugnazione, la S.C. osserva che, anche qualora la domanda di Tizio venga riqualificata nei termini di una opposizione di terzo revocatoria, ex art. 404, comma 2 c.p.c., avendo egli lamentato che la causa di adozione era stata frutto di una macchinazione fraudolenta ai suoi danni, deve escludersi la legittimazione ad agire, essendo questa riconosciuta esclusivamente ai creditori o aventi causa di una delle parti, categoria – quest'ultima – alla quale non appartengono gli eredi, ma, al più, i successori a titolo particolare. Ancora una volta, dunque, essendo l'erede successore nella situazione giuridica del defunto, costui diviene l'effettivo titolare del diritto in contestazione e perde la possibilità di essere considerato quale terzo legittimato all'opposizione.

Osservazioni

Prima di analizzare la soluzione a cui approda la Suprema Corte, pare utile ricordare i presupposti dell'azione di revocazione e dell'azione di opposizione di terzo.

La revocazione è di un mezzo di impugnazione eccezionale, a critica vincolata, che si propone quando ricorrono determinati motivi, tassativamente elencati all'art. 395 c.p.c.: il dolo di una delle parti (n. 1), la falsità della prova (n. 2), il ritrovamento di documenti decisivi (n. 3), l'errore di fatto (n. 4), la contrarietà ad un precedente giudicato (n. 5) e il dolo del giudice (n. 6). Di regola, solo i soggetti che hanno assunto la qualità di parte, nel giudizio in cui la sentenza è stata pronunciata, sono legittimati ad esperire tale mezzo di impugnazione, avendone interesse. Con specifico riferimento alla revocazione della sentenza che sia “effetto di dolo di una delle parti in danno dell'altra” (art. 395, n. 1), si ricorda che colui che promuove tale mezzo di impugnazione deve provare sia il dolo - perciò l'artificio, il raggiro, la macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sull'accertamento della verità processuale (cfr. Cass. civ., n. 8916/2002) - sia il momento della scoperta del dolo, in quanto il termine perentorio di 30 giorni per la proposizione dell'impugnazione decorre proprio dal giorno della scoperta (art. 326, comma 1 c.p.c.).

Anche l'opposizione di terzo è un mezzo di impugnazione eccezionale, finalizzato a porre rimedio a quelle situazioni in cui i terzi siano pregiudicati da una sentenza resa tra altre persone, in forza degli effetti che essa produce. L'art. 404 c.p.c. disciplina due diverse tipologie di opposizione: quella ordinaria o semplice, che può essere proposta dal terzo, quando la sentenza pregiudica i suoi diritti (comma 1); quella straordinaria o revocatoria , che può essere proposta dagli aventi causa e dai creditori di una delle parti, quando la sentenza è l'effetto di dolo o collusione a loro danno (comma 2). Dunque, l'opposizione ordinaria presuppone che l'opponente sia terzo - rispetto ai soggetti che hanno preso parte al precedente giudizio - e che veda pregiudicato un diritto proprio, una posizione giuridica autonoma, non derivante da quella di colui che ha rivestito la qualità di parte. Il terzo, per principio generale, non deve avere assunto la qualità di parte in senso formale nel giudizio; deve avere subito dalla decisione inter alios acta un pregiudizio ad un suo diritto; non deve trattarsi di terzo ammesso all'opposizione di terzo revocatoria ai sensi dell'art. 404, comma 2 c.p.c., qual è il creditore, l'avente causa o il titolare di rapporti dipendenti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 15 dicembre 2014, n. 6145). Il terzo, in altri termini, è tipicamente colui che vede compressa, soppressa o minacciata l'esistenza di diritti propri, “incompatibili e (asseritamente) prevalenti rispetto al diritto oggetto del processo e della sentenza” (Sassani B., Lineamenti del processo civile italiano, Giuffrè, 2019, pp. 666 ss.). Sempre la dottrina, ha osservato che “in tutti questi casi (…) il terzo avrebbe potuto far valere i suoi diritti attraverso l'intervento in causa in via principale o litisconsortile” tanto è vero, che la legittimazione all'opposizione di terzo ordinaria spetta precisamente a coloro che avrebbero potuto far valere i loro diritti anche in via di intervento ex art. 105, comma 1 c.p.c. (Mandrioli C., Diritto Processuale CivileIl Processo ordinario di cognizione, vol. II, Giappichelli, 2009, Ed. XX, p. 604). Diversa dalla posizione del terzo è, invece, quella dei creditori o aventi causa di una delle parti (per tali intendendosi coloro che sono succeduti a titolo particolare nel diritto controverso, si pensi, a titolo esemplificativo, all'acquirente del bene oggetto del contendere, al cessionario, al legatario), legittimati a proporre l'opposizione revocatoria solamente quando la sentenza è l'effetto di dolo o collusione a loro danno.

Ciò premesso in diritto, nel caso di specie, si osserva che Tizio ha fondato la propria legittimazione ad esperire l'azione di revocazione per dolo sul presupposto di essere il fratello dell'adottante. A fronte di tale deduzione, i giudici di primo e secondo grado hanno dichiarato la domanda di revocazione ex art. 395, n. 1 c.p.c. inammissibile, non avendo rivestito Tizio il ruolo di parte nel giudizio di adozione intercorso tra altri. Ripercorrendo l'iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte, per affermare o negare la legitimatio ad causam di Tizio, però, si nota che il ragionamento dei giudici di legittimità prende le mosse da una deduzione errata del ricorrente, ovvero quella di aver agito in veste di erede dell'adottante, quando, in realtà, erede non è.

Pare utile ricordare che l'art. 304 c.c. - in aderenza alla ratio dell'istituto dell'adozione della persona maggiorenne, ovvero quella di garantire un successore all'adottante – prevede che i diritti successori dell'adottato sono regolati dalle norme contenute nel Libro II del Codice civile, laddove si rinviene una perfetta equiparazione tra l'adottato e il figlio (v. art. 536 c.c., in tema di successione necessaria, e art. 567 c.c., in tema di successione legittima, che recita, testualmente, “Ai figli sono equiparati gli adottivi”). Ne discende che, nel caso deciso dalla Suprema Corte, solo l'adottata Caia poteva rivestire la qualità di erede di Sempronio, appartenendo ad un ordine di successibili superiore rispetto a quello di Tizio, che, invece, poteva rivestire solamente la posizione di “aspirante” erede.

Proseguendo, si osserva come l'assenza della qualità di erede in capo a Tizio produca delle immediate conseguenze sul piano della legittimazione ad impugnare la sentenza di adozione: il fratello dell'adottante, infatti, non potendo essere qualificato come erede – fino alla definitiva rimozione dello status di figlia adottiva in capo a Caia – è semplicemente terzo rispetto al procedimento di adozione.

Esclusa l'esperibilità dell'azione di opposizione di terzo revocatoria (art. 404, comma 2 c.p.c.), non rivestendo Tizio la posizione di avente causa - per i motivi, del tutto condivisibili, enunciati dalla Suprema Corte - resta da capire se vi sarebbe stato spazio per una riqualificazione della domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c. in opposizione di terzo ordinaria (art. 404, comma 1 c.p.c.). A chi scrive pare, però, che neppure questa strada possa essere percorsa: Tizio, in quanto fratello del de cuius, escluso dalla successione, risulta titolare non già di un diritto, di una vera e propria posizione giuridica sostanziale di vantaggio, bensì di una aspettativa di mero fatto, ossia quella di accedere, per via successoria, al patrimonio ereditario del fratello Sempronio. Sebbene sia indubbio che la sua aspirazione sia stata frustrata dalla sentenza di adozione resa inter alios, la sua posizione non appare sufficiente ad assurgere a diritto, come prescritto dal primo comma dell'art. 404 c.p.c.

Del resto, non va trascurato che – oltre ai casi di indegnità tassativamente previsti dall'art. 463 c.c. – il nostro ordinamento attribuisce a “coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti” il rimedio specifico della revoca dell'adozione ex art. 306 c.c. solamente nel caso estremo in cui l'adottato abbia “attentato” alla vita dell'adottante, e quest'ultimo sia morto in conseguenza dell'attentato. Dunque, pur di fronte ad una condotta oggettivamente meritevole di riprovazione, quale quella compiuta da Caia ai danni di Sempronio, pare di poter concludere che, in assenza di una domanda di revocazione per dolo, a suo tempo esperita direttamente da Sempronio nei confronti dell'adottata, non esista altro rimedio previsto dall'ordinamento giuridico per rimuovere lo status di figlia adottiva.

Riferimenti

Coppola C., Gli effetti successori dell’adozione di maggiorenni, in Riv. fam. pers. succ., 2011, pp. 282 ss.

Fazzalari E., voce «Revocazione (diritto processuale civile)», in Enc. del dir., vol. XL, 1989, 293 ss.

Nicoletti C.A., voce «Opposizione di terzo», in Enc. del dir., vol. XXX, 1980, 478 ss.

Ruscello F. Diritto di famiglia, Pisa, 2020, II ed., pp. 281 ss.

Torrente A., Schlesinger P., Manuale di diritto privato, 2017, XXIII ed., pp. 1353 ss.

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